La strategia italiana per Industria 4.0 deve partire dalle potenzialità di un settore manifatturiero a forte vocazione artigiana e dal Made in Italy.
Stefano Micelli, docente di Economia e Gestione delle Imprese all’Università Ca’ Foscari di Venezia, sintetizza: «gli americani si sono impadroniti dello slogan “manufactury renaissance“. Almeno prendiamocelo noi il rinascimento manifatturiero, e inventiamoci qualcosa che abbia a che fare con questo nuovo rinascimento. Abbiamo un patrimonio di tensione al bello, che è la cifra di quello che si chiama Made in Italy», valorizziamo il patrimonio, tutto italiano, di «competenze, saper fare, creatività». Aggiunge Giorgio Merletti, presidente di Confartigianato: «Fare bene le cose, rispettare le regole del “su misura”, della personalizzazione, della cura maniacale per i dettagli rimangono valori che ci fanno apprezzare in tutto il mondo. Dobbiamo continuare ad esprimere questi valori con strumenti nuovi. Del resto, non è un caso che oggi un po’ tutti, multinazionali in testa, riscoprano, addirittura appropriandosene senza meriti, il valore artigiano, il saper fare a regola d’arte». La Germania «ci presenta un proprio modello di politica industriale, con un approccio alla digitalizzazione d’impresa che riguarda soprattutto la grande impresa», osserva invece Stefano Valvason, direttore generale di API (Associazione Piccole e Medie Industrie), riferendosi al piano tedesco Industrie 4.0. «Essendo il nostro tessuto produttivo rovesciato, noi abbiamo bisogno di un modello diverso, che valorizzi le caratteristiche del nostro sistema industriale: rapidità, personalizzazione, creatività». Tra l’altro, la valorizzazione delle competenze artigiane e manifatturierie del Made in Italy, oltre che sulla conquista dei mercati internazionali, può puntare sul mercato interno, perchè, sottolinea Antonio Corrias, direttore didattico e Sviluppo SIAM1838 (società di incoraggimaneto arti e mestieri, storica realtà milanese), «noi italiani siamo individualisti nati, ci piacciono le cose esclusive. Penso all’abbigliamernto, all’autombile, il consumatore italiano è viziato, ama il lusso personalizzato. Il mercato dell’auto è emblematico: il modello base di un’auto in Italia non lo compra quasi nessuno. In Francia, è il grosso del mercato». Non è un aspetto da sottovalutare, considerando che l’Italia è il 12esimo mercato interno del mondo, secondo i dati del World Economic Forum (Global Competitiveness Reporto 2015-2016).
«Se noi continuano ad inseguire quello o quell’altro movimento non facciamo del bene a noi stessi» argomenta Micelli, che al tema ha dedicato il suo ultimo libro, “Fare è innovare”, per i tipi de “il Mulino”, e secondo il quale bisogna porsi la domanda: «cosa abbiamo di interessante in casa che possiamo coniugare con la cultura digitale?». Risposta: una cultura della personalizzazione del prodotto e del su misura già molto sviluppata, che si traduce in prodotti di successo. Esempi: «la meccanica strumentale, produciamo macchine su misura, l’ingegneria meccanica, gli abiti, l’agroalimentare. Tutti settori in cui valorizziamo anche la varietà del prodotto».
Il mercato
La dimostrazione pratica delle potenzialità rappresentate dal binomio tecnologia-artigianato è rappresentato dalla mostra, organizzata dalla Triennale di Milano alla Fabbrica del Vapore, “New Craft”, curata dallo stesso Micelli. Il visitatore, fino al prossimo 12 settembre, può attraversare un percorso che passa attraverso la moda (dal body scanner agli specchi virtuali, le tecnologie al servizio dell’abito sartoriale su misura), il tessile (dalla ricerca al recupero dei materiali per innovare i tessuti), alla ceramica (con le app disponibili su mobile per personalizzare i decori di preziosi oggetti), all’oreficeria, all’oggettistica, all’orolegieria, ai componenti per l’industria, all’arredemento. Per non parlare del vero e proprio recupero di settori che sembravano superati, dalla legatoria, alla tipografia (con progetti che uniscono la creatività dei designer alle tecniche tradizionali alle potenzialità del digitale), alle biciclette, che presentano innovazioni di design, qualità, estetica, possibilità estreme di personalizzazione. Un settore, quest’ultimo, che conosce un piccolo boom e che vede l’Italia protagonista. Produzione in costante aumento dal 2013, nei primi due mesi del 2016 l’Italia registra un + 13,8% contro il + 6,6% dei paesi Ue (dati Confartigianatao). Le imprese che producono, riparano e noleggiano biciclette sono 3mila 043, danno lavoro a 7.815 addetti, e nella stragrande maggioranza dei casi (2.103 imprese e 3.936 addetti) sono artigiane. Fatturato del settore, 1,2 miliardi, export 2015 a quota 617 milioni di euro, +2,2% sul 2014, con boom di vendite in Gran Bretagna e negli Usa.
Internet e l’e-commerce consentono alle imprese, anche di piccole dimensioni, di raggiungere mercati fino a pochi anni fa appannaggio delle grandi multinazionali. «Utilizzando le nuove tecnologie – sottolinea Merletti -, gli imprenditori del settore manifatturiero hanno superato i problemi delle distanze e le barriere fisiche e portano nel mondo l’eccellenza del Made in Italy. La rivoluzione tecnologica apre spazi infiniti per dare vita a piccole imprese. Il settore dell’Ict si popola di nuovi mestieri: si va dall’animatore digitale che costruisce musei virtuali al riparatore di computer on line. Ma la rivoluzione tecnologica stimola anche la trasformazione e la rinascita di mestieri tradizionali o vecchie attività che sembravano in declino». Come la domotica, perchè «se la casa del futuro sarà tutta cablata e ‘in rete’ serviranno i cyber-idraulici in grado di effettuare la manutenzione degli elettrodomestici ‘intelligenti’, dalla lavatrice telecomandata al frigorifero che fa la spesa da solo. L’autoriparazione è un altro settore tipicamente artigiano in forte evoluzione: nel 2013 è stato istituito per legge il meccatronico, una figura imprenditoriale, con le competenze del meccanico e dell’elettrauto e la qualificazione necessaria per riparare e manutenere le autovetture sempre più piene di tecnologia».
Sintetizza Micelli: «l’artigiano del futuro usa nuove tecnologie per vendere, comunicare, produrre. Ma porta con se’ cultura del prodotto, servizio, rapporto con il cliente che noi italiani siamo in grado di esprimere. Queste dimensioni rendono spendibile la tradizione italiana, e la agganciano a un mondo, digitale, che senza storia rischia di produrre oggetti senz’anima».
Le tecnologie
Quando si parla di industria 4.0, uno dei punti fondamentali è rappresentato dal cambio di paradigma del metodo di produzione, e dagli effetti che questo è destinato ad avere sul fattore lavoro. Le tecnologie e la robotica sostituiscono il lavoro umano, con tutte le conseguenze che questo può comportare sul fronte dei livelli occupazionali, e cambiano le professionalità richieste. Per il settore dell’artigianato, non c’è il pericolo che la stampa 3D rappresenti una minaccia paragonabile a quella che la robotica rappresenta per l’industria? Qui le risposte sono univoche: la stampa 3D, peraltro utilizzata da anni dalle imprese manifatturiere, è più un’opportunità che un rischio. Spiega Merletti: «Per gli artigiani la stampa 3D non significa lavoro in serie, annullamento del pezzo unico. E’ invece uno strumento che esalta la creatività dell’imprenditoria e consente di trovare nuove occasioni di business». Esempi: l’oreficeria di Arezzo, «proprio grazie alle stampanti 3D, i maestri orafi riescono a perfezionare la loro arte e a dare vita ad opere inimitabili», oppure gli artigiani calzaturieri che, «senza muoversi dal proprio laboratorio in Italia, realizzano scarpe su misura che calzano a pennello per clienti distanti migliaia di chilometri» grazie al foot scanner, che posizionato in qualsiasi negozio del mondo, «prende le esatte misure del piede del potenziale cliente e le trasmette, via Internet, agli artigiani in Italia i quali sono così in grado di realizzare a distanza la scarpa perfetta desiderata dal cliente, su misura come quelle che soltanto gli artigiani sanno fare». Il digitale, insomma, «trasforma il laboratorio artigiano in un’impresa virtuale e globale e apre grandi opportunità sul fronte dell’aggregazione in rete degli imprenditori e della loro affermazione sui mercati esteri».
Sulla stessa linea Valvason: «le opportunità tecnologiche, la nuova organizzazioine dei processi produttivi della manifattura digitale, la digitalizzazione dei processi, sono su misura per la piccola dimensione, artigiana o della piccola industria, per ridurre i tempi di consegna del prodotto sul mercato, personalizzare soluzioni che altrimenti avrebbero richiesto alti investimenti. Prendiamo il caso di una sperimentazione per un cliente: bisogna progettare, realizzare uno stampo che ha un suo costo, stampare, consegnare, verificare con il cliente se realizzare lo stampo definitivo o andare a produrre. Tutto questo ha tempi di sviluppo e costi elevati. Con la stampa additiva, si può realizzare un prototipo senza passare per lo stampo intermedio, con tempi molto accorciati. Se il prodotto piace, si manda in produzione di serie con la stampa additiva. E’ una grande opportunità, si riducono tempi e costi».
I campi di applicazione della stampa 3D, aggiunge Paolo Zabeo, coordinatore ufficio studi CGIA Mestre, «grazie a materiali sempre più tecnici, sono sempre più vasti. Penso a molte nostre aziende del settore orafo e del campo dell’odontotecnica, ma l’applicazione è così varia che si passa dal medicale, alla meccanica alla realizzazione di prototipi in generale, alla realizzazione di plastici o alla riproduzione di monumenti e sculture». Ma attenzione, «il rischio di rimanere indietro con conseguenze nefaste anche per l’occupazione e la professionalità non è da sottovalutare. Ritengo che oggi la sfida più importante, e anche più complessa, sia quella di agire con rapidità: la dimensione della manifattura/industry 4.0 è già oggi una realtà del mondo in cui operano le aziende, ma occorre agire in fretta, imprese e istituzioni devono fare uno sforzo maggiore».
Il salto culturale
Uno dei fattori considerati più critici è quello culturale: «ho una lunga esperienza di lavoro, sia con grandi imprese sia con realtà piccole e medie – segnala Corrias -. Purtroppo, è molto difficile che un artigiano, o un imprenditore, abbia la sensibilità per fare investimenti in formazione e in sviluppo». Valvason fornisce dati precisi, relativi a un sondaggio sul grado di consapevolezza delle imprese verso digitalizzazione e sfide di Industry 4.0: l’86% degli imprenditori conoscono la tematica, ma il 50% la ritiene un fatto di moda.
Più positivo, sul grado di digitalizzazione dell’impresa artigiana, Giorgio Merletti: «nel 2015 è aumentata la presenza delle piccole imprese sul web», al 68,9% dal 67,4% del 2014, «arriva al 12,4% la quota di piccole imprese che ha attivato sistemi di ordinazione sul proprio sito Internet, in aumento rispetto all’11% del 2014», il 9% vendono on line prodotti o servizi (dal 7,3% del 2014), triplica l’utilizzo di fatturazione elettronica, dal 4,6% del 2014 al 14,1% del 2015. «In aumento anche la quota di piccole imprese presenti sui social network (Facebook, Linkedln, Xing, Viadeo e Yammer)» che dal 28,5% del 2014 sale al 34,2% del 2015 e si allinea con la media Ue, aumenta dall’8,9% al 12,1% l’uso di risorse per la condivisione di contenuti multimediali. «L’utilizzo dei social network delle piccole imprese italiane supera quello di Germania (31%), Francia (27%) mentre è in linea con quello (35%) registrato dalle imprese spagnole». Fra le motivazioni, prevale (34,1%) la leva di marketing seguito dal miglioramento della collaborazione con altre imprese/organizzazioni (29,4%) e l’interazione con la clientela (15,9%).
Micelli offre un ulteriore spunto di riflessione: «il mondo dell’impresa ha investito in innovazione: macchine a controllo numerico, stampanti 3D, (magari in outsourcing), robotica, con percentuali che non sono basse. Il problema è che cosa non riusciamo a fare: abbiamo comprato tecnologie per fare meglio cose che facevamo già prima, perseguendo efficienza. Non ci siamo posti il problema di cosa fare in più». Il docente cita l’esempio di un’azienda di produzione infissi, e che grazie a nuove macchine a controllo numerico ha scoperto che si possono fare prodotti tutti diversi l’uno dall’altro. In parole semplici, ci vuole più innovazione. Altro tema: l’internet of things (internet delle cose), su cui «siamo in difficoltà. E’ un tema lontano dalla sensibilità dei nostri imprenditori, pur al netto di esperienze interessantissime» E’ un terreno su cui, secondo Micelli, c’è molto spazio di sperimentazione fra scuola, università, impresa».
La formazione
Confartigianato aiuta gli imprenditori a trovare nuove opportunità di mercato, spiega Merletti, proseguendo: «accendiamo i riflettori sui makers, sugli artigiani innovativi e la manifattura digitale. Portiamo le nostre imprese a iniziative come ‘Maker Faire’ e le promuoviamo su piattaforme come Amazon e Samsung Academy. Da novembre scorso abbiamo organizzato il contest ‘Artigenio’ proprio per stimolare l’inventiva dei giovani, e organizziamo in tutta Italia eventi che spingono sulle potenzialità dell’artigianato digitale. Cito la più recente a Macerata ‘Make in Marche. Digital fashion’, un evento di 2 giorni che ha fatto incontrare gli imprenditori con i massimi esperti e protagonisti della manifattura digitale e con le ultime novità dei produttori di attrezzature per il design, la modellazione, la prototipazione e la produzione di calzature, pelletteria, abbigliamento e gioielli. Ci sono anche iniziative rivolte ai ragazzi, come il portale www.valorizzati.it, che connette le scuole e gli istituti professionali con le attività artigiane per fa conoscere ai giovani l’impresa artigiana e orientarli sulle potenzialità occupazionali di centinaia di attività, da quelle tradizionali ai mestieri più innovativi. «Segnalo, poi, il Faber lab di Confartigianato Varese, un luogo di innovazione tecnologica in cui i giovani possono sperimentare concretamente le loro abilità e che ha consentito di trasformare una passione, una vocazione, in lavoro gratificante. E, ancora, Mts, Motorsport Technical School, a Monza, la prima scuola in Italia, promossa da Confartigianato Motori, di alta formazione professionale per meccanici di auto e moto da corsa e per ingegneri di pista».
API, in collaborazione con il SIAM1838, ha appena presentato l’Osservatorio Manifattura 4.0, per monitorare livelli di digitalizzazione e cambiamenti del mercato del lavoro, e lo Sportello Orientamento Manifattura, per offrire un supporto concreto alle imprese. «Facciamo poi una continua attività informativa e di sensibilizzazione, orientamento, consulenza vera e propria su tematiche come reingegnerizzazione, qualificazione professionale».
Per il SIAM1838 la formazione è la mission fondamentale. «Abbiamo un palinsesto di iniziative con attenzione a posizionamento competitivo – spiega Corrias -, offerta digital, stimolo all’aggiornamento e all’accesso, con budget aggressivi». E anche questo (la spesa per formazione e aggiornamento) è un punto critico: è appena partito un primo corso dedicato all’artigiano 2.0, «che affronta le tematiche dell’innovazione digitale per gli artigiani, e abbiamo fatto il pienone perchè è finanziato al 100% da una fondazione. Se una cosa è gratis, un po’ di sensibilità c’è, ma appena si mette a mercato un’iniziativa, il ritorno è molto più basso». Anche qui, secondo Corrias c’è una sorta di resistenza culturale da parte dell’imprenditore italiano, che mediamente «anche quando ha un corso finanziato, si lamenta perché deve distaccare le persone dall’attività lavorativa».