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Attuare Industria 4.0, che lezione trarre da Germania e Giappone

Confronto con quanto stanno facendo altri due Paesi manifatturieri con forte tessuto di PMI. Il modello tedesco punta su efficienza e produttività, quello italiano su incentivi e formazione. Il Giappone su risorse umane e, come la Germania, a cambiare paradigma da Technology Driven a Human Driven

Pubblicato il 14 Dic 2017

Gianni Potti

Presidente Fondazione Comunica e founder DIGITALmeet

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In questo periodo si fa un gran discutere in Parlamento, come nelle associazioni degli imprenditori e nelle Camere di Commercio dell’attuazione del piano Industria 4.0, ma vale la pena ritornare per un attimo su come si stia sviluppando in Europa e nel mondo il cambio epocale rappresentato dalla quarta rivoluzione industriale. In sostanza, come viene diversamente interpretato a seconda dei diversi sistemi industriali. Ecco quindi che prendiamo a riferimento i principali Paesi manifatturieri come Germania, Italia e Giappone, con tessuto industriale simile, dove (specie Italia e Giappone) è consolidato un forte tessuto di PMI.

Ma facciamo un rapido rewind su queste tre economie manifatturiere e il diverso approccio ad Industria 4.0.

Il modello tedesco va oltre la sola Information Technology e propone il cosiddetto CIM – Computer Integrated Manifacturing. L’approccio è centralizzato e deterministico, con soluzioni It per integrare fortemente il processo. La strada per Industria 4.0 tedesca è comunque quella del cd cyber physical systems, ovvero un sistema informatico in grado di interagire in modo continuo con il sistema fisico in cui opera. Obiettivo,  generazione e acquisizione dei dati, computazione ed aggregazione dei dati precedentemente acquisiti ed, infine, supporto al processo decisionale. Parole chiave: interconnessione, comunicazione e replica digitale, che significa prima di tutto la presenza di oggetti interconnessi i quali, tramite sensori, attuatori ed una connessione di rete, sono in grado di generare e produrre dati di vario genere, riducendo così le distanze tra i diversi soggetti coinvolti. IoT, cloud e realtà virtuale sono alcune delle cosiddette tecnologie abilitanti al servizio del Digital Twin. In conclusione un cyber physical system, visto dai tedeschi, è definibile come un sistema in cui si richiede che gli oggetti fisici siano affiancati dalla propria rappresentazione nel mondo digitale, siano integrati con elementi dotati di capacità di calcolo, memorizzazione e comunicazione, e che siano collegati in rete tra loro. Il modello tedesco di Industria 4.0 punta ad un deciso risparmio dei costi ed efficentamento di sistema, in sostanza efficienza e produttività.

Il progetto italiano, riassunto nel Piano governativo Industria 4.0 punta, come è noto, essenzialmente su aree strategiche di azione, competenze, infrastrutture, investimenti innovativi, strumenti di supporto pubblico. Sicuramente le leve fiscali sono l’architrave del progetto, ma dietro a questo stimolo all’investimento ora è in arrivo la formazione, piuttosto che il radicamento nel territorio dei Digital Innovation Lab e dei Competence Center (entrambe le reti ben lungi dall’essere concretamente operative al servizio delle nostre imprese). Ma l’approccio italiano si caratterizza, come rileva una recente ricerca dell’Università di Padova, per una particolare attenzione al mercato e al cliente. A tal riguardo i professori De Maria e Bettiol hanno svolto l’indagine su un campione di 5.421 imprese manifatturiere selezionate nei settori del made in Italy (Casa-arredo, Meccanica, Moda), provenienti dal Nord Italia (Piemonte, Lombardia, Veneto, TTA, FVG, Emilia-Romagna). Bene, in questa indagine, al di là di confermare che solo il 18,8% degli intervistati ha già iniziato ad adottare Industria 4.0 (conferma che c’è ancora da fare un enorme lavoro culturale sui nostri imprenditori), emerge che gli adottandi delle nuove tecnologie, cercano il vantaggio competitivo principalmente per puntare alla qualità dei prodotti e ad un servizio al cliente (oltre che per la flessibilità produttiva). E alla domanda ancora più diretta del perché investono in Industria 4.0 il 51% degli intervistati risponde per dare un miglior servizio al cliente e il 40% per nuove opportunità di mercato. Efficienza e produttività più dietro al 41%. Cliente e mercato quindi come vero fine ultimo degli italiani.

Infine interessante annotare, in questo excursus, che Society 5.0 è il modello human technology oriented, nell’ambito dell’Industria 4.0, scelto dal Giappone come guida di riferimento per il futuro, che rimette la tecnologia al servizio della persona.

Le PMI sono state identificate come la chiave per raggiungere la crescita sostenibile di medio e lungo termine necessaria alla Society 5.0 perché in Giappone, come in Italia, rappresentano il tessuto produttivo di riferimento. Dice il primo ministro giapponese Shinzo Abe: “Le PMI sono la chiave per diffondere la quarta Rivoluzione Industriale in Giappone. Promuoveremo e supporteremo l’introduzione di IT e robot adatti ai bisogni di aziende di medie e piccole dimensioni in base alle condizioni aziendali di ogni impresa”.

Si punta chiaramente ad una tecnologia dedicata alle persone e a vivere meglio le nostre città.

A sancire il tutto segnalo la cosiddetta dichiarazione di Hannover, firmata lo scorso 19 marzo al CeBIT di Hannover dai due primi ministri di Germania e Giappone. Da ciò si coglie che Giappone e Germania hanno intrapreso un percorso di stretta collaborazione su Industria 4.0. Per la prima volta si esplicita il ruolo atteso sulle nuove tecnologie per la soluzione di tematiche sociali determinando un cambio di paradigma da Technology Driven a Human Driven. Una volta di più si coglie la rapidità dell’evoluzione di questo cambio epocale che viviamo nella quarta rivoluzione industriale. L’Italia, oltre a dare un’accelerata complessiva al sistema, farebbe bene a tenere d’occhio quanto stanno facendo Giappone e Germania.

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