La costruzione di una brand identity di successo – che sia corporate branding o product branding – è un processo articolato, un lavoro di concerto tra un’azienda e la web agency a cui affida l’incarico.
Creare un brand non significa solo ideare un logo accattivante o scegliere un nome evocativo.
Richiede un approccio strategico lungo il percorso che inizia con la definizione della mission e dei valori aziendali, l’individuazione del vantaggio competitivo; analizza il mercato e il pubblico di riferimento, identifica i competitor e individua il posizionamento distintivo; prosegue, poi, con lo sviluppo dell’identità visiva – loghi, colori, tipografia – e con la definizione del tone of voice, che deve essere coerente con la personalità del brand. Infine, il brand viene implementato sui canali di comunicazione per garantire uniformità e riconoscibilità, per permettere agli utenti prospects di associare quel brand, o marchio, all’azienda che lo promuove.
Eppure, in questo percorso, viene spesso trascurato un passaggio cruciale, un terzo pilastro: l’analisi del mercato dal punto di vista dei diritti di proprietà intellettuale (d.p.i.), cioè delle privative industrialistiche su segni distintivi di prodotti o di servizi, quali ad esempio i marchi di impresa. I d.p.i. conferiscono ai titolari dei segni la facoltà esclusiva di sfruttarli economicamente, decidendo chi può utilizzarli e in che modo, quindi inibendo anche l’uso non autorizzato, reclamando eventuali danni conseguenti l’illegittimità dell’utilizzo.
Tra tutti i segni distintivi disciplinati dal Codice di Proprietà Industriale (c.p.i.), il marchio d’impresa è quello che più viene richiamato quando si parla di brand. Il diritto sul marchio può dipendere sia da un atto formale, quale è la registrazione del marchio presso gli uffici competenti (ad esempio l’Ufficio Italiano Brevetti e Marchi e l’European Union Intellectual Property Office) che segue ad una apposita domanda, sia dall’uso del marchio in concreto come segno distintivo.
Sempre più spesso, le aziende decidono di tutelare il proprio brand registrandolo come marchio d’impresa, nazionale o europeo – in alcuni casi estendendo la protezione in altri territori a livello internazionale – e associandolo ad uno o più prodotti e servizi.
Il marchio, da semplice simbolo grafico, si trasforma così in un asset immateriale di notevole rilevanza giuridica ed economica, incidendo sulla competitività e sostenibilità dell’impresa. Proprio come gli altri elementi patrimoniali e intangibili che determinano il valore commerciale di un’azienda, il marchio deve essere adeguatamente tutelato fin dalla sua creazione, valutando attentamente i vantaggi e le eventuali criticità legate alla protezione legale.
Indice degli argomenti
Gli ostacoli alla registrazione del marchio
Gli ostacoli alla registrazione del marchio possono sorgere sotto diversi profili.
Il rigetto della domanda di registrazione
L’impresa Alfa decide di registrare il proprio marchio di fatto per godere delle prerogative concesse previste dai marketplace ai titolari di d.p.i. registrati e ottenere un vantaggio sui venditori concorrenti.
La domanda di registrazione viene presentata in Europa per una classe di prodotto, versando tasse pari a 850 euro.
A seguito dell’analisi di ammissibilità effettuata da parte dell’EUIPO, la domanda viene rigettata perché il marchio è descrittivo – le parole che lo compongono descrivono letteramente il prodotto che l’azienda offre – e pertanto non è dotato di capacità distintiva sufficiente ad ottenere tutela.
La capacità distintiva è una delle caratteristiche richieste dalla legge per la registrazione del marchio e consiste nella sua idoneità a identificare un prodotto o un servizio come proveniente da una determinata impresa, distinguendolo da quelli dei concorrenti. Il marchio ha, in questo senso, una funzione pro-concorrenziale: consente la pluralità di operatori, la trasparenza informativa e la razionalità del giudizio dell’acquirente. Tuttavia, la sua registrazione riduce il numero di segni disponibili per altre imprese, creando un “monopolio” che deve essere regolato per evitare distorsioni della concorrenza.
Nel caso, di Alfa, il carattere descrittivo del segno, porta all’interruzione del procedimento senza possibilità per l’azienda di recuperare quanto versato.
Il ritiro della domanda di registrazione
In un altro caso, la società Beta, operante nel settore turistico, avvia un attività ricettiva in una città rinomata e si affida ad una società di web design e web marketing per realizzare il sito internet, preparare un piano di comunicazione online, configurare e predisporre le azioni necessarie ad ottimizzare il posizionamento sui motori di ricerca, attivare campagne adv, e registrare la struttura ricettiva sulle diverse Online Travel Agencies (OTA). Dopo un primo periodo di attività e i primi feedback positivi, Beta reclama anche le pagine di Tripadvisor e Trustpilot create dai clienti che rilasciano recensioni. Beta decide allora di registrare il marchio in Italia.
La legge prevede una durata massima della procedura di registrazione, tra deposito e pubblicazione della domanda di marchio, intercorrono 180 giorni; nella prassi il procedimento può richiedere anche otto o dieci mesi, anche in base al carico di lavoro dell’Ufficio, o oltre un anno, in presenza di rilievi ufficiali emersi durante la fase di assessment preliminare o di opposizioni di terzi.
Nel caso di Beta, durante la fase di verifica della ricevibilità della domanda e dell’esame tecnico per controllare che non ci siano impedimenti assoluti alla registrazione, l’UIBM chiede di eliminare dal marchio il nome della città, perché non registrabile ai sensi dell’articolo 13 c.p.i., e di fornire una traduzione in italiano del marchio, perché i termini in lingua straniera possono essere registrati ma è obbligatorio fornire una traduzione.
Superate le anzidette fasi, dopo qualche tempo la pubblicazione della domanda nel Bollettino dei Marchi Registrabili, che ha in genere cadenza mensile, Beta riceve una lettera di diffida ad adempiere a cessare l’uso del marchio e del nome a dominio associato da parte di un noto gruppo internazionale del settore alberghiero, che reclama la titolarità di un marchio anteriore identico a quello richiesto da Beta.
Beta si rivolge ad un avvocato e inizia così uno scambio tra i consulenti legali che porta alla sottoscrizione dal parte di Beta di un impegno a ritirare la domanda di marchio, a non utilizzare più il marchio e il corrispondente nome a dominio. Nella pratica, in realtà, Beta deve svolgere una serie di attività piuttosto onerose:
- ritirare la domanda di marchio depositata;
- avviare un’attività di re-branding;
- avviare le pratiche amministrative presso il comune competente per effettuare il cambio nome e richiedere il nuovo CIN;
- registrare un nuovo nome a dominio;
- creare un nuovo sito internet, con conseguente perdita del posizionamento raggiunto fino a quel momento;
- inviare comunicazioni a tutte le OTA interessate per il cambio del nome.
La rinuncia a un marchio registrato
L’azienda Omega, operante nel settore alimentare da decenni, decide di avviare una nuova linea di cosmetici per differenziare la produzione. Lavora alla creazione di un brand, avvia la produzione di 10.000 pezzi, realizza un sito internet, apre pagine sui canali social, domanda la registrazione del marchio che viene pubblicato senza alcuna osservazione da parte dell’Ufficio o di terzi. Dopo circa un anno e mezzo dall’inizio della commercializzazione dei prodotti, Omega riceve una lettera di diffida a cessare l’uso del marchio da parte di una società multinazionale titolare di un marchio simile registrato in data anteriore nella classe merceologica dell’abbigliamento, che in funzione della sua notorietà e rinomanza, ha acquisito una tutela ultramerceologica, oltre la classe di appartenenza. Anche in questo caso, a seguito dello scambio tra i rispettivi consulenti legali, le due società hanno raggiunto un accordo, in forza del quale Omega ha dovuto:
- presentare istanza di rinuncia al marchio registrato (una procedura che richiede un passaggio di fronte all’Agenzia delle Entrate per la registrazione dell’istanza di rinuncia e il pagamento dell’imposta di registro in misura fissa pari a € 200,00, e la trascrizione presso l’UIBM e il pagamento di altre spese vive);
- iniziare un’attività di re-branding considerando anche i costi di rietichettatura di tutti gli articoli in stock;
- ritirare i prodotti distribuiti dal mercato;
- aggiornare il sito internet;
- ripensare la comunicazione online, attivare nuove pagine social con perdita di visibilità e follower già acquisiti.
Questi esempi dimostrano che la registrazione del marchio è una fase cruciale nella costruzione dell’identità aziendale, ma non priva di insidie. Un marchio non adeguatamente studiato e valutato prima del deposito può portare a contestazioni per diritti anteriori, rigetti, diffide e costose azioni legali, nel caso in cui i procedimenti di composizione bonaria delle controversie, mediazione e negoziazione, non portino a risultati definitivi. Oltre alle perdite economiche dirette, il rischio maggiore è l’impatto sulla reputazione e sulla riconoscibilità dell’azienda nel mercato.
Branding e proprietà industriale: la necessità di un approccio multidisciplinare
Per prevenire questi problemi, è fondamentale adottare un approccio multidisciplinare che integri la strategia di branding con la tutela della proprietà industriale, inquadrando il marchio in una visione d’insieme di crescita a medio e lungo termine, tenendo conto del progetto di espansione e dell’investimento che intende dedicare alla valorizzazione del marchio
In questo processo non possono mancare due passaggi preliminari: la pianificazione e la difesa proattiva.
Tutela della proprietà industriale: le tre attività fondamentali
La pianificazione dal punto di vista della tutela della proprietà industriale si traduce in tre attività fondamentali:
- Analisi di anteriorità per identità o similitudine: prima di investire nella registrazione di un marchio, è essenziale verificare se esistano segni identici o confondibili già registrati. Questo passaggio consente di ridurre il rischio di opposizioni, contenziosi e costi di rebranding imprevisti.
- Valutazione delle classi merceologiche: il marchio deve essere registrato per specifiche categorie di prodotti o servizi (classi di Nizza). Una pianificazione attenta consente di coprire le aree di interesse attuali e future dell’impresa, evitando lacune nella protezione.
- Considerazione delle prassi degli uffici competenti: i criteri di esame delle domande di registrazione possono variare nel tempo e tra le diverse giurisdizioni. Monitorare l’evoluzione delle interpretazioni normative è fondamentale per ottimizzare la strategia di deposito e difesa del marchio.
Una strategia proattiva di difesa del marchio: i passaggi chiave
La difesa proattiva consiste nell’elaborazione di un programma che prevede un monitoraggio costante del mercato e degli strumenti di tutela a disposizione. Il programma si sviluppa su diversi livelli:
Monitoraggio del mercato e dei segni simili o identici
Attraverso strumenti di sorveglianza sui database ufficiali (EUIPO, WIPO, UIBM) e servizi specializzati, è possibile rilevare in tempo reale la pubblicazione di domande di marchio potenzialmente conflittuali. Questo consente di intervenire tempestivamente con opposizioni o diffide, evitando la proliferazione di segni confondibili che possano erodere il valore del brand.
Controllo dei nomi a dominio
La protezione del brand passa anche dalla tutela del suo spazio digitale. La registrazione di nomi a dominio corrispondenti al marchio e la verifica di eventuali tentativi di cybersquatting o utilizzi fraudolenti sono attività essenziali per prevenire danni reputazionali e perdite di traffico web.
Gestione del budget per la tutela del marchio
L’investimento in un marchio non si limita alle spese di registrazione e marketing. È fondamentale accantonare risorse dedicate alla protezione legale, da impiegare per opposizioni, azioni legali e gestione di controversie. Le aziende strutturate adottano veri e propri piani di enforcement, che prevedono la sorveglianza del marchio e l’intervento in caso di violazioni, garantendo così la difesa dell’asset immateriale nel tempo.
Integrare questi passaggi nella strategia aziendale significa proteggere il valore del brand e la sua esclusività sul mercato fin dalla sua nascita, consentendo alle aziende di agire consapevolmente invece di reagire di fronte ad eventi prevedibili ma non adeguatamente prevenuti.