Preoccupante, banale e contraddittorio. Il programma illustrato da Giuseppe Conte alla Camera non poteva non mostrare la bipolarità di un premier – che ha parlato da capogruppo di partito – che doveva in parte smentire quanto firmato fino a pochi giorni prima.
Preoccupante perché, per compiacere le tecnocrazie europee, il presidente del Consiglio ha cancellato con un colpo di spugna gli aspetti di novità e di pregio che avevano comunque tenuto alto il consenso complessivo dell’esecutivo: autonomia e sicurezza. Il ministero richiesto dalle Regioni che tengono in piedi a suon di tasse e risparmi l’Italia (Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna) è sparito dalla carta geografica giallorossa, per lasciare spazio a politiche di assistenzialismo che potrebbero – ahinoi – riesumare la nefasta cassa del mezzogiorno. E insieme al ministero per l’Autonomia sono spariti da Palazzo Chigi anche i ministri fisicamente residenti al Nord, ridotti a riserva minoritaria. Via l’autonomia, via la sicurezza. Zingaretti evoca i porti aperti, le cooperative si fregano le mani, persino l’Ordine dei giornalisti stacca un assegno da duemila euro per patrocinare un festival giornalistico dove verrà premiata (sic!) Carola Rackete. Del resto, il business dell’immigrazione clandestina cubava ogni anno 5 miliardi di euro per cooperative, amministratori corrotti e satelliti finto-umanitari.
Il programma di Conte è apparso poi di una banalità disarmante: frasi da baci Perugina senza lo straccio di un numero (a parte gli appunti presi da Conte dalla lezione impartitagli dall’ex viceministro Garavaglia) e passaggi addirittura di estrema ilarità come quando il premier-bis ha parlato di “smart nation”, incespicando nell’inglese. La nostra è la seconda potenza industriale europea e per essere “smart” non ha certo bisogno di tutto lo statalismo vetero-comunista con cui Conte ha condito il suo discorso, non ha bisogno di tante misure contenute nel Decreto Dignità, non ha bisogno del salario minimo, non ha bisogno di scriteriate revoche di concessioni autostradali (pur mantenendo fermezza e durezza nei confronti di Autostrade), non ha bisogno di sventolare lo spauracchio del 5G come fatto da alcuni parlamentari cinque stelle. Banale perché parlare di “green new deal” senza fare un cenno ai termovalorizzatori è come portare Greta in piazza e poi lasciare le nostre scuole senza i cestini per la raccolta differenziata. Talmente banale che Conte non ha resistito alla bufala del “non faremo aumentare l’Iva”, come se lui, premier fino a due giorni prima, non sapesse che i soldi per neutralizzare l’Iva la Lega li aveva già messi da parte, nonostante i miliardi destinati al Reddito di cittadinanza e al sempreverde bonus Renzi. Non è un caso se Conte ha perso la pazienza, passando da piccolo lord a piccolissimo ultras, durante la lectio magistralis del capogruppo leghista a Montecitorio, Riccardo Molinari. Ha perso la pazienza perché, con estrema semplicità, Molinari l’ha inchiodato alla sua banalità: come farà il Governo a mantenere quota 100, flat tax e rdc? Con quali soldi? Con quali manovre? Avrebbe potuto farlo, incrementando addirittura le misure, mantenendo una identità sovranista e picchiando i pugni sui tavoli europei.
E invece Conte (e il Movimento 5 stelle) si è fatto commissariare dal PD e da Gentiloni. Il PD e Gentiloni si sono fatti commissariare a loro volta da Ursula Von Der Leyen e dal falco lettone Valdis Dombrovskis, che resta vicepresidente della Commissione europea con delega economica. E infatti alla notizia della nomina di Gentiloni, la stampa tedesca (dal quotidiano economico Handelsblatt al conservatore Frankfurter Allgemeine Zeitung, fino al progressista di Monaco Suddeutsche Zeitung) si è portata avanti ricordando a Conte che un’Italia indebitata dovrà mantenere il patto di stabilità. In sintesi: più immigrati con i porti aperti e meno flessibilità. Peggio che con Renzi…
Sono le contraddizioni di un presidente del Consiglio che, se da un lato si è liberato del vero premier del governo gialloverde, ovvero Matteo Salvini, dall’altra deve giustificare agli irriducibili della piattaforma Rousseau il fatto di aver tradito il suo stesso inventore, Luigi Di Maio. Conte alla festa del Fatto Quotidiano ha dapprima rinnegato (in maniera davvero sconcertante e falsa) la sua appartenenza al Movimento, poi ha assecondato il sacrificio del suo ex vicepremier, confinandolo alla Farnesina senza un briciolo di grammatica inglese e tra le grinfie di Gentiloni e Sassoli. Quando Di Maio ricorda che Quota 100 e Reddito di cittadinanza non si toccano, non lo fa certo per rispondere a Salvini: lo fa per avvisare Conte, con un ultimo sussulto da capo politico, per gridare all’amico che lo ha tradito che “qualcosa di grillino” deve pur dirlo, senza svendersi anima e corpo al Pd, alla Germania e alla Francia.
Non c’era niente, dunque, nel programma di Conte. La plastica conferma che questo esperimento giallorosso serve solo per dare un senso all’ex avvocato del popolo, per dare una poltrona ai parlamentari 5 stelle, per dare il tempo a Renzi di organizzarsi e a Zingaretti di capire che sarebbe lui il segretario del PD. Al programma vuoto dell’asse PD-M5S stanno rispondendo le piazze piene: a Roma la prima, a Pontida, il 15 settembre, la prossima. Aspettando la manifestazione senza bandiere convocata da Salvini in piazza San Giovanni, sempre a Roma, il 19 ottobre.