È di 0,5 nanometri, un centosessantamillesimo di capello umano, il distanziamento spaziale tra atomi di silicio, elemento base nella realizzazione di chip. L’attuale processo produttivo industriale è 5 nanometri. Solo 10 volte la distanza tra due atomi di silicio. È quindi naturale interrogarsi sul futuro dei nostri chip e se ci saranno nuove tecnologie che consentiranno di andare oltre un approccio inaugurato quasi sei decadi or sono.
La fame di chip
La richiesta di incremento nel numero di transistor nei chip è in continuo aumento, spingendo la ricerca a trovare nuove vie per realizzare sistemi capaci di funzionalità complesse per assicurare che anche dispositivi mobili siano in grado di effettuare calcoli un tempo riservati solo ai centri di elaborazione più grandi.
L’emergenza è l’approvvigionamento industriale
Gli impulsi del Chip and Science Act americano e dello European Chips act spingeranno la ripresa dei processi produttivi in America e in Europa, ma l’obiettivo primario è assicurare l’approvvigionamento industriale necessario ai sempre più numerosi settori produttivi che introducono l’automazione del controllo mediante l’uso di processori digitali.
Entrambe le iniziative prevedono ingenti investimenti anche nella ricerca di semiconduttori (11 miliardi di dollari nel primo caso e 11 miliardi di euro nel secondo) per mantenere la superiorità tecnologica che ha contraddistinto l’occidente nel dopoguerra e che recentemente ha portato all’embargo di tecnologie abilitanti di ultima generazione a paesi come la Cina.
Il problema dell’assorbimento e della dissipazione termica
Ci sono evidenze, almeno per quanto riguarda gli attuali processi produttivi, che la richiesta di energia per effettuare calcoli sia in crescita a causa del costante avvicinarsi dei componenti, contribuendo ad acuire il problema dell’assorbimento e della dissipazione termica che sta inevitabilmente portando all’introduzione del raffreddamento a liquido direttamente nei server.
L’incremento è principalmente dovuto al continuo aumentare dei transistor in un singolo chip, ma con l’arrivo dei chiplet il design sembra orientarsi verso un affiancamento di design di CPU piuttosto che l’ulteriore complicarsi dell’architettura dei singoli core.
Sicuramente i problemi di sicurezza evidenziati da Spectre e Meltdown hanno contribuito ad un approccio più conservativo nel design dei singoli core per evitare l’introduzione involontarie di nuove falle in sistemi computazionali che ormai occupano una rilevanza strategica nel funzionamento della civiltà moderna.
I circuiti 3D
Una strada che ha già prodotto risultati nel mondo dei semiconduttori è sicuramente quella di ricorrere alla terza dimensione per la realizzazione di chip per aumentare la densità di transistor a parità di superficie. In effetti si potrebbe parlare di 2D e mezzo poiché, almeno ad oggi, si è lavorato alla realizzazione di chip che interconnettono strati differenti.
Nel 2004 queste tecniche hanno consentito la realizzazione della memoria della console portatile PSP, e negli anni seguenti l’impiego della terza dimensione ha consentito la realizzazione di memorie sempre più capaci, soprattutto nelle memorie flash dove hanno consentito la realizzazione di dischi a stato solido da molti Terabyte.
Ad oggi Micron produce chip di memoria sovrapponendo 232 livelli di porte NAND, oltre il doppio di quello che era possibile solo tre anni fa.
L’idea: il carburo di silicio
Il silicio non è l’unica opzione per la realizzazione di circuiti elettronici, il carburo di silicio è stato utilizzato agli inizi del ‘900 per la realizzazione dei primi LED e in tempi più recenti per la realizzazione di transistor di potenza capaci di sostenere correnti elevati.
Nell’ultimo anno questo materiale è stato impiegato con successo anche per la realizzazione di chip che hanno trovato impiego nell’industria automobilistica e in quella dei pannelli fotovoltaici.
La chiave è nei materiali bidimensionali
Lo sviluppo di nuove tecniche basate su semiconduttori non è l’unica via percorribile. Esistono materiali, come il grafene, che sono fogli spessi un atomo. Ma il grafene non è l’unico materiale in questa lista dove compare, ad esempio, anche il fosforo nero, uno strato di atomi di fosforo. Questi materiali hanno infatti interessanti proprietà conduttive ed interagiscono in modo efficace con la luce. Si pensi che un sensore fotografico di grafene potrebbe catturare immagini sia nelle ore diurne che durante la notte.
I materiali 2D consentirebbero la realizzazione di chip più efficienti da un punto di vista elettrico rispetto ai normali chip basati su silicio, e si potrebbero anche usare per realizzare chip capaci di piegarsi.
Si tratta di tecnologie ancora nello stadio della ricerca e sicuramente non minacceranno il primato del silicio nei prossimi anni.
La promessa di un chip ottico
Come hanno mostrato le fibre ottiche, l’impiego di fotoni al posto di elettroni offre non pochi vantaggi: la luce non scalda (troppo) al passaggio il suo conduttore e si propaga decisamente più veloce di un segnale elettrico (si stima 300 volte più veloce).
Purtroppo, creare circuiti ottici miniaturizzati è molto complesso e sono ora allo studio sostrati capaci di realizzare circuiti con componenti ottici e non elettronici, ma è sicuramente una tecnologia del futuro.
Lunga vita al silicio
Nonostante la ricerca prosegua nel trovare alternative per superare il semiconduttori basati su silicio per ora sembra che l’immediato futuro sarà ancora dominato dai cari vecchi chip. Si possono immaginare elementi che potranno incorporare nuovi materiali per impieghi specifici, ma la maggior parte dei chip saranno realizzati con questo materiale anche perché è tra i più abbondanti che abbiamo sul nostro pianeta, fattore assolutamente da non sottovalutare.