Quando si parla di automazione del lavoro, la discussione vira immediatamente sulla possibilità che questa faccia aumentare la disoccupazione. Il dibattito però dovrebbe essere più elevato perché, soprattutto nel caso dei cobot, la macchina non è pensata per rimpiazzare ma per aiutare l’uomo nei compiti più pesanti o pericolosi.
Un tema attuale e a suo modo scottante che merita di essere affrontato da un punto di vista più ampio.
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I cobot
Cobot è un termine coniato nel 1996 negli Stati Uniti nell’ambito di un progetto di ricerca della Northwestern University, iniziato alcuni anni prima con il supporto della General Motors. L’obiettivo era quello di trovare un modo di rendere i robot industriali e gli apparati loro assimilabili sufficientemente sicuri al punto di collaborare con le persone.
I pesanti e veloci bracci robotici industriali che, nell’immaginario collettivo, sono associati alle linee di produzione automatizzate dell’industria automobilistica, sono infatti macchine che operano in assenza di esseri umani, con barriere e sistemi di protezione che prevengono qualsiasi tipo di contatto accidentale.
Un cobot, al contrario, è una macchina progettata per lavorare assieme agli esseri umani, dotata di sensori e sistemi sofisticati che permettono di adattare forze e velocità di spostamento dei bracci in modo da non costituire alcun tipo di pericolo per gli operatori circostanti.
I primi brevetti di cobot sono stati presentati già nella seconda metà degli anni Novanta, ma è solo negli ultimi anni che hanno raggiunto caratteristiche tecnologiche ed economiche tali da essere diventati di fondamentale importanza per lo sviluppo in direzione digitale delle piccole imprese.
Partendo dal preconcetto che vede associata la robotica industriale alla grande produzione in serie, dove l’elevato grado di automazione favorisce e rafforza le economie di scala, l’associazione di questa disciplina al settore delle imprese artigiane e delle microimprese industriali potrebbe apparire un controsenso.
In realtà non è così. L’attuale generazione di cobot è destinata a dare i maggiori benefici proprio nel settore delle imprese più piccole, e rappresenta una delle maggiori opportunità nel processo di trasformazione in senso digitale che chiamiamo Transizione 4.0. Le due caratteristiche dei moderni cobot che permettono di supportare questa affermazione sono: il basso costo di acquisto e l’elevata flessibilità d’impiego.
L’evoluzione dei cobot
Per capire meglio questi due punti importanti, è opportuno fare un passo indietro ed analizzare il processo di evoluzione che ha portato all’attuale generazione di robot collaborativi.
Abbiamo già detto che la ricerca nella seconda metà degli anni Novanta era focalizzata sull’aspetto della sicurezza. Per consentire all’uomo di operare in prossimità di una macchina robotica è ovviamente necessario che questa sia dotata di sensori precisi e soprattutto affidabili e sistemi di controllo del movimento altrettanto affidabili.
Sensori, microcontrollori e strumenti per la programmazione erano inizialmente tecnologie costose e, i primi cobot, comparsi sul mercato tendevano ad essere economicamente più impegnativi rispetto alle controparti di tipo non collaborativo. Nell’ambito dell’automazione della grande industria non c’è mai stato un vero vantaggio nel reingegnerizzare la produzione definendo fasi di lavorazione che prevedessero una collaborazione tra uomo e robot con presenza simultanea durante una specifica attività.
La situazione è radicalmente cambiata nel corso del tempo per effetto di una serie di sviluppi nel settore delle tecnologie impiegate per realizzare i cobot.
L’Information technology ha fatto passi da gigante in termini di nuovi prodotti e strumenti e nello stesso tempo ha abbassato i costi d’ingresso favorendo l’aumento degli addetti consentendo la comparsa sul mercato di prodotti sempre più sofisticati e sempre più economici.
Lo sviluppo e l’affermarsi del paradigma Open source ha dato un ulteriore impulso a questa disciplina contribuendo ad arricchire enormemente l’offerta di soluzioni di ottima qualità in tutti i possibili settori di impiego.
La microelettronica ha continuato ad evolvere secondo la nota Legge di Moore, alimentando il mercato con schede hardware a microcontrollore e microprocessore, anche in questo caso sempre più potenti e sofisticate e sempre più economiche.
L’Intelligenza Artificiale, o più correttamente la tecnologia di Machine learning, dopo anni di promesse e attese è finalmente esplosa mostrando tutto il suo potenziale e, in pochi anni, ha totalmente rivoluzionato molti settori sia nell’informatica che nell’elettronica, evolvendo verso un modello Open source che ne ha consentito una vera e propria democratizzazione.
E, infine, la crescita del movimento maker e del paradigma Open hardware nel secondo decennio degli anni 2000, ha contribuito ad abbattere i costi di tutte le macchine a controllo numerico (Cnc) di cui i robot sono un esempio.
L’impiego dei cobot
Come conseguenza dell’evoluzione delle tecnologie abilitanti, oggi i cobot sono una realtà consolidata, in grado di operare con la massima sicurezza, ma soprattutto hanno un costo per l’acquisto e la messa in opera comparabile con quello delle macchine utensili di tipo tradizionale.
I sensori che equipaggiano un moderno cobot, pur avendo costi contenuti, sono enormemente sofisticati, affidabili e precisi, tanto che la loro importanza è da tempo uscita dal tradizionale ambito di gestione della sicurezza, per assumere un ruolo fondamentale nel settore dei cosiddetti Eoat (End Of Arm Tool), cioè degli utensili e strumenti che possono essere collocati all’estremità del braccio robotico. È proprio in questo ambito che si gioca la partita più importante.
Nella sua struttura essenziale un cobot è costituito da un braccio articolato in cui, ogni articolazione, permette un movimento rotatorio in un diverso piano dello spazio ed è chiamata asse o grado di libertà. Al termine dell’ultimo segmento del braccio è collocato l’utensile.
Maggiore è il numero di articolazioni o assi, maggiore sarà la capacità del braccio di far raggiungere all’utensile un punto preciso nello spazio secondo un percorso in grado di evitare eventuali ostacoli.
Gli assi sono realizzati da motori passo passo per macchine Cnc e sensori di controllo. Il costo base del braccio dipende ovviamente dal numero di assi richiesto dal cliente, tuttavia è l’Eoat che determina cosa realmente il cobot può fare. Il settore degli Eoat è attualmente in fase di forte sviluppo, tanto che esistono aziende specializzate solo nella realizzazione di utensili di questo tipo.
I produttori di cobot leader di mercato come Universal Robots, Kuga, ABB offrono un certo numero di strumenti a catalogo, ma l’offerta dei produttori specializzati, tra partner ufficiali, certificati e aziende indipendenti è enormemente più vasta.
Oltre ai classici strumenti a pinza, esistono sistemi pneumatici a ventosa per afferrare scatole e scatoloni, lastre di materiale e oggetti vari, strumenti di precisione in grado di afferrare piccoli oggetti come pillole, confetti, bulloni, dadi, sistemi per la presa di liquidi, strumenti per effettuare saldature, tagli, estrusione di paste e filamenti plastici.
Gli Eoat possono essere puramente elettromeccanici oppure possono comprendere sensori di qualunque tipo, dal rilevamento di prossimità alla vera e propria visione artificiale.
L’ambiente di programmazione dei cobot attuali è destinato ad una utenza non specializzata. Gran parte del successo dei cobot si deve al fatto che, la loro programmazione, può essere effettuata dagli stessi utenti finali.
Un esempio
Per fare un esempio che chiarisce questo concetto, si immagini di premere un comando sul tablet di controllo che pone il cobot in uno stato di “apprendimento”. In questo stato i motori degli assi sono liberi di muoversi e i relativi sensori sono pronti ad inviare i dati al computer di controllo.
L’operatore, dopo aver messo il cobot nello stato di apprendimento, muove manualmente il braccio facendo percorrere il movimento desiderato e specifica sul tablet le azioni che l’utensile deve svolgere nei vari punti salienti del percorso. Una volta terminato il percorso, l’operatore preme il comando di salvataggio sul tablet di controllo e il cobot memorizza la sequenza di movimenti e azione.
A questo punto sarà sufficiente richiamare il programma così impostato per far sì che il cobot svolga la sua azione.
È chiaro che una macchina di questo tipo può facilmente essere adattata e programmata per svolgere qualunque operazione di tipo ripetitivo.
Alcuni impieghi sono oramai considerati di tipo canonico. Uno di questi è la cosiddetta pallettizzazione, cioè la preparazione dei bancali destinati al trasporto delle merci. Una volta che i prodotti sono stati confezionati, un cobot può prendere le singole scatole da un nastro trasportatore o da un banco e collocare le scatole in modo ordinato su un pallet.
Tuttavia, l’ambito di impiego può essere estremamente vasto. Tra le imprese associate alla Confederazione nazionale dell’Artigianato (Cna di Roma) abbiamo visto impiegare i cobot nei modi più disparati. Tanto per citare qualche esempio poco convenzionale, cobot a tre assi sono usati per cucire bandierine di stoffa sulle aste, collocare tre o cinque confetti nel sacchetto delle bomboniere, riordinare dadi e bulloni sparsi su un banco da lavoro nelle relative scatole, preparare lasagne collocando gli strati di pasta e stendendo ragù e besciamella, collocare le ciliegine sulle torte, riempire bignè, e potremmo continuare.
Il costo dei cobot
Il costo di un cobot parte da meno di 10mila euro e può raggiungere diverse centinaia di migliaia di euro a seconda del grado di sofisticazione delle componenti Eoat e delle applicazioni correlate, spesso basate su Intelligenza artificiale.
Da quanto detto finora, la flessibilità dei cobot è evidente, ed è chiaro che i costi sono nell’ambito di spesa di un’impresa artigiana, comparabili con quelli di una normale macchina utensile.
I cobot e l’occupazione
Ma qual è l’impatto sulla riorganizzazione dei processi produttivi? E come la mettiamo con il problema della potenziale perdita dei posti di lavoro? Partiamo proprio da quest’ultimo argomento, un vero classico quando si parla di automazione.
È un dato di fatto che se si analizza la storia dello sviluppo industriale, l’automazione non ha mai ridotto i posti di lavoro ma, al contrario, ha sempre avuto l’effetto di creare nuovi impieghi e con un grado di specializzazione maggiore, anche se ciò ha richiesto un adattamento del mercato con problemi di riqualificazione professionale per coloro che svolgevano le attività meno pregiate.
Nel caso dei cobot, il problema non sussiste perché l’automazione, in questo caso, viene applicata a microimprese che spesso non hanno personale se non il titolare stesso dell’attività oppure hanno personale ridotto, spesso sono aziende di tipo famigliare. L’economia di un’impresa artigiana spesso non consente l’incremento di personale per una serie di motivi, sia culturali che economico-finanziari. La maggior parte degli artigiani preferisce rinunciare a nuove commesse e allungare i tempi di consegna piuttosto che assumersi il rischio di un incremento di personale.
Troviamo spesso il titolare dell’impresa, o i suoi dipendenti, a svolgere mansioni inferiori alla propria qualifica ma necessarie a completare i cicli di produzione. Immaginate una pasticceria che realizza dolcetti per la piccola distribuzione, che al termine della preparazione dei propri prodotti, impiega il personale di aiuto cucina per il confezionamento e la collocazione delle scatole sui pallet. In questo caso, introdurre un cobot per svolgere questa fase del ciclo produttivo avrebbe un costo una tantum inferiore alla retribuzione annua lorda di un operaio, che comunque non è presente in azienda, e permetterebbe di liberare due persone qualificate come pasticceri, da impiegare a tempo pieno in cucina per aumentare la produzione.
Introdurre uno o più cobot, nell’ambito di un processo produttivo artigianale, non cambia la natura artigianale del prodotto perché la macchina ha il solo scopo di sollevare un essere umano da un compito che non contribuisce alla qualità del prodotto e consente al personale umano di dedicare più tempo alle attività che richiedono inventiva e creatività.
Da un punto di vista teorico le opportunità connesse alla robotica collaborativa sono indiscutibili ed evidenti, tuttavia, dal punto di vista pratico è importante individuare con attenzione ed efficacia il punto di intervento nell’ambito del processo produttivo.
Le possibilità di impiego e la flessibilità dei cobot sono talmente elevate da costituire l’elemento di maggiore criticità nei progetti di automazione e transizione digitale.
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Ridisegnare i processi di produzione
Non sempre, infatti, la soluzione migliore è quella di inserire un cobot in una fase di un flusso di lavoro finora svolto in modo manuale. Spesso, la soluzione più vantaggiosa da un punto di vista tecnico, qualitativo ed economico è procedere a una reingegnerizzazione dell’intero processo, riorganizzando il lavoro in modo da beneficiare al massimo dell’introduzione dei cobot. Non bisogna infatti dimenticare che determinati processi sono stati ottimizzati nel corso degli anni modellandoli sulle esigenze e sul modo di lavorare degli esseri umani.
Avendo a disposizione una squadra mista, composta da persone e robot, è importante pensare mantenendo la mente aperta e tenere in considerazione le diverse capacità e caratteristiche operative che contraddistinguono l’essere umano dal robot, in modo da progettare un nuovo processo produttivo ottimizzato sulle nuove risorse.
Per questo, è opportuno affrontare un progetto di digitalizzazione e automazione affidandosi ad un system integrator competente, cioè a una azienda di consulenza specializzata in progetti di questo tipo e indipendente dai produttori di cobot o di Eoat, capace di integrare tra loro sistemi eterogenei.
In molte situazioni pratiche, gli Eoat sono stati realizzati ad hoc per la specifica applicazione. Per quanto l’offerta di mercato sia molto vasta, la specificità di molte Pmi può richiedere soluzioni uniche. Anche in questo caso, l’evoluzione tecnologica ha reso attuabile ed economico lo sviluppo di prodotti sofisticati come gli Eoat, da produrre in uno o pochissimi esemplari.
La stampa 3D, non a caso, domina in questo settore. Il settore dell’Eoat costituisce oggi uno degli ambiti di applicazione della fabbricazione additiva più importanti in termini di fatturato globale.