Il Triveneto unisce tutti i principali atenei del territorio di un progetto di competence center che punta all’applicazione delle tecnologie 4.0 a settori chiave del Made in Italy: automazione, abbigliamento, arredamento e agroalimentare. «E’ un progetto su cui lavoriamo da un anno – spiega Fabrizio Dughiero, prorettore al Trasferimento tecnologico e rapporti con le imprese dell’Università di Padova -, e che si concentra su quelle che abbiamo definito tecnologie Smact, ovvero social, mobile, analytics, cloud, e internet of things».
I settori sopra citati esprimono anche un forte valore imprenditoriale proprio del territorio. «Le aree individuate dal bando – sottolinea Dughiero – sono matematica, fisica, chimica, le ingegnerie, economia e statistica. Quindi l’agroalimentare, ad esempio, non ne fa decisamente parte. Ma la sfida è quella di applicare queste tecnologie ai settori che abbiamo scelto»
IL QUADRO DEI COMPETENCE CENTER INDUSTRY 4.0
Le caratteristiche del competence center Triveneto
Il competence center del Triveneto è capitanato dall’università di Padova, comprende Università degli Studi di Verona, Ca’ Foscari di Venezia, Iuav (Istituto universitario di architettura di Venezia), Università degli studi di Trento, Libera Università di Bolzano, Università degli studi di Udine, Università degli studi di Trieste, Sissa (Scuola superiore di studi avanzati) di Trieste. E’ strutturato in tre laboratori fondamentali: il demonstration lab, il co-desing lab, e il transformation lab.
«Il demonstration lab è il luogo in cui facciamo awareness, ovvero sensibilizzazione e formazione, sulle tecnologie 4.0. Quindi live demo, linee pilota, formazione. In pratica, avviciniamo le imprese tramite il demonstration lab, facendo l’assessment e le dimostrazioni», quindi facendo una valutazione del livello di preparazione e consapevolezza dell’impresa sulla digitalizzazione e poi «facendo vedere loro concretamente cosa vuol dire Industry 4.0, impostando il lavoro sulle tematiche più adatte alle diverse imprese che si rivolgeranno a noi». Ci saranno quindi veri e propri impianti dimostrativi, messi a disposizione anche da aziende che hanno già tecnologie 4.0 e che si aprono come show room alle Pmi non concorrenti.
Il co-design lab «è la parte più importante, che prevede il coinvolgimento di imprese, ricercatori e stakeholder. Ricordiamo che Industria 4.0 non è solo tecnologia e prodotto, ma anche cambiamento di business model. E qui lavoriamo su progetti di innovazione ad alto trl (technology readiness level, livello di maturità tecnologica). Il ministero ha indicato che il competence center non deve fare ricerca di base, ma trasferimento tecnologico. Quindi bisogna lavorare su progetti non di lunghissimo termine, ma con un respiro di medio termine, che abbiano una ricaduta quasi immediata sull’attività dell’impresa, sia sulla parte tecnologica che sul business model. Insieme (imprese, tecnici, ricercatori, dottorandi) sviluppano il progetto. Poi, bisogna farlo diventare qualcosa di reale». E siamo al terzo passaggio, che riguarda il transformation lab: qui, il ruolo fondamentale è dei provider tecnologici, siano o meno interni al competence center. Insieme a loro, bisogna tradurre il progetto in un prodotto, in un processo, in un modello di business innovativo presso l’impresa.
Tutti gli atenei coinvolti nel processo metteranno a disposizione le proprie specializzazioni nell’ambito delle Smact, quindi l’organizzazione non è geografica ma per competenze, che verranno messe a sistema. Non è previsto un grosso investimento in nuove strutture (anche se qualcosa ci sarà), l’impostazione di fondo consiste nel mettere in rete cose risorse esistenti, e magari sono per lo più sfruttate in ottica di ricerca di base: laboratori, live demo, anche con progetti finanziati dalle Regioni, in alcuni caso già partiti. Prevista anche la collaborazione con Confindustria Veneto, e con le strutture territoriali dell’organizzazione imprenditoriale, che sono state coinvolte nella fase di progettazione del progetto.
La mission dei competence center? «Le agevolazioni come l’iperammortamento e i finanziamenti hanno poco significato se non sono supportati da un progetto di innovazione insieme a università e centri di trasferimento tecnologico. I competence center, prosegue, sono «il tassello che mancava, perché se si vuole portare la trasformazione digitale alle imprese, non bastano i finanziamenti. Le macchine che si acquistano se non concepite in un contesto più ampio, perdono di significato. I competence center devono dare supporto alle aziende per investire e dar luogo a una trasformazione digitale che abbia un senso. E che le possa aiutare a fare profitto e a posizionarsi sul mercato». Andando incontro anche alle esigenze di quelle che imprese che, sfruttando gli incentivi 4.0, hanno già investito in nuovi macchinari digitali nel 2017, aiutandole magari a rileggere i progetti giù messi in cantiere in chiave di innovazione.