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Software “Made in Italy”, così l’Italia vince la sfida dell’IA



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Il 37,1% degli occupati italiani utilizza il digitale, ma l’Italia è ancora sotto la media europea. Per crescere, è essenziale un Piano per il Software Made in Italy, mirato a diffondere competenze digitali, sostenere l’industria software nazionale e incentivare l’adozione di software nelle PMI. Un’opportunità strategica per il Paese

Pubblicato il 18 giu 2024

Pierfrancesco Angeleri

presidente di Assosoftware



software
(Immagine: https://unsplash.com/@ikukevk)

Secondo i risultati di un recente report dell’Istat sulle competenze professionali nel mercato del lavoro italiano, il 37,1% degli occupati svolge attività che richiedono l’utilizzo del digitale.

Un dato che, seppure ancora inferiore alla media europea, mette in evidenza come le competenze digitali siano ormai fondamentali per i lavoratori: basti pensare che, sempre secondo l’Istat, più dell’80% degli impiegati dedica almeno la metà del proprio tempo lavorativo ad attività che richiedono l’utilizzo di strumenti digitali, e quando parliamo di digitale parliamo innanzitutto di applicazioni software.

È evidente che questo trend crescerà ancora nei prossimi anni insieme con l’uso dell’Intelligenza Artificiale, destinata a diffondersi non solo tra le grandi aziende ma anche tra le PMI.

Tuttavia, per riuscire a sfruttare a pieno le potenzialità dell’IA, soprattutto nelle PMI che compongono la reale spina dorsale del sistema produttivo, è necessario, oltre che sostenere i lavoratori, soprattutto quelli più giovani, ad affrontare le sfide della trasformazione digitale, promuovere lo sviluppo di applicazioni software nazionali che abbiano tra gli ingredienti anche le tecnologie IA. È solo puntando a rafforzare insieme questi due aspetti che l’Italia riuscirà infatti a diventare un paese all’avanguardia nel campo dell’IA.

I pilastri di un Piano per il Software Made in Italy

Detto in altre parole, affinché il nostro Paese possa realmente vincere la sfida dell’IA – che la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha posto al centro dell’agenda politica e della presidenza italiana del G7 – è fondamentale riuscire a mettere in campo un Piano per il Software Made in Italy integrato e strutturato su più pilastri:

Diffusione delle competenze digitali

Uno degli ostacoli principali che oggi le imprese italiane affrontano nel percorso verso la trasformazione digitale è quello di reperire lavoratori con le competenze necessarie per sfruttare le potenzialità delle nuove tecnologie: basti pensare che l’Italia ha una percentuale di ICT specialist sul totale degli addetti che è più basso rispetto alla media europea.

Il Piano per il Software Made in Italy deve quindi partire dal sostegno alle attività formative dalla scuola dell’obbligo, con l’obiettivo di iniziare a insegnare la cultura del dato e degli algoritmi fin dalla scuola primaria e ancor più nella scuola secondaria. Inoltre, è necessario stimolare l’integrazione tra mondo delle imprese e gli enti di formazione per favorire l’ingresso dei giovani nelle aziende, coinvolgendo gli ITS e le università in maniera integrata. Sotto questo profilo, un modello da seguire è senza dubbio l’alternanza scuola-lavoro del sistema “duale” tedesco con il contributo della ricerca applicata, come avviene con il Fraunhofer Institute for Software and Systems Engineering. L’obiettivo è quello di formare, in 5 anni, un milione di nuove figure professionali già pronte per l’inserimento nel mondo del lavoro, che possono diventare linfa vitale per lo sviluppo dell’industria del software, così come per la nascita di nuove start-up e per il supporto alla digitalizzazione delle imprese.

Sostegno all’industria del software nazionale

Il settore del software rappresenta oggi un’eccellenza del Made in Italy: parliamo infatti di un comparto che, come mostrano i dati della ricerca del 2023 “Software nelle PMI: un motore d’innovazione per l’Italia”, a cura degli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano, nel 2022 ha impiegato oltre 137.000 persone, generando un fatturato di 56,3 miliardi di euro, con una crescita del 9% rispetto all’anno precedente. In particolare, è stato il settore dei software gestionali a registrare l’incremento mediamente più alto, pari a +12% rispetto al 2021, creando un fatturato totale di 22,4 miliardi di euro cioè il 40% di quello dell’intero comparto.

È evidente che si tratta di un trend positivo che genera benefici non solo per il settore, ma per tutto il sistema-Paese: come emerso dallo studio “Cultura del Software, Sviluppo Italiano”, promosso da AssoSoftware in collaborazione con il Data Lab Luiss e il Centro Studi Confindustria, a fronte di una crescita del 20% della domanda finale di software e servizi connessi, si stima un aumento di 9,63 miliardi di euro di produzione domestica, un aumento di 4,821 miliardi di euro di valore aggiunto e un aumento di addetti pari a 67 mila unità.

Le potenzialità di crescita dell’industria dei software in Italia sono quindi enormi, si stima una forchetta tra 1 e 2 punti di Pil entro i prossimi 5 anni, ma è necessario che tutti gli attori coinvolti, dalla politica al mondo delle imprese, acquisiscano consapevolezza di questa opportunità.

Per liberare queste energie, il Piano per il Software Made in Italy deve includere un grande programma di investimenti a sostegno delle nostre aziende tech. Attualmente ci sono infatti moltissime PMI e microimprese, attive nello sviluppo del software e delle nuove tecnologie, che hanno le potenzialità per rendere l’Italia l’hub europeo delle applicazioni software per l’IA.

Se guardiamo al panorama internazionale, negli USA tra le prime 100 aziende per valore ci sono 39 realtà legate al software (dato 2020), 25 in Asia, 7 in Europa, solo 4 in Italia, per contro abbiamo un numero elevatissimo di PMI e start-up attive nel software e nelle nuove tecnologie.

Per sostenere la crescita del settore, è necessario innanzitutto coinvolgere il settore finanziario, da Cassa Depositi e Prestiti ai Fondi d’investimento, compresi i Fondi Pensione, prevedendo misure ad hoc come, per esempio, l’obbligo di dedicare una quota parte dei capitali presenti in questi fondi agli investimenti nel settore tech nazionale.

In questo modo, si stima che nel giro di tre anni possano svilupparsi diversi campioni del settore tech su tutto il territorio nazionale, rendendo l’Italia la “Silicon Valley” d’Europa.

A questo programma di investimenti devono essere affiancate politiche mirate di sgravi contributivi e previdenziali capaci di attirare anche capitali esteri e valorizzare gli insediamenti in territori meravigliosi ma ancora “acerbi” del nostro Paese, come quelli del Mezzogiorno, favorendo la nascita di poli specializzati in Ricerca e Sviluppo nelle Regioni del Sud.

Incentivi al software per le aziende

Oggi il livello di adozione di software gestionali integrati da parte delle PMI italiane è ancora molto basso, di poco superiore al 30%. Percentuale che si riduce ulteriormente se si considerano anche le microimprese. Secondo il 46% delle imprese intervistate dai ricercatori degli Osservatori Digital Innovation, la difficoltà principale che ostacola l’adozione di software gestionali è la mancanza di incentivi statali dedicati.

In questo contesto, il Piano Transizione 5.0, recentemente approvato dal Governo, rappresenta senza dubbio un risultato molto importante, perché per la prima volta viene riconosciuto da parte delle istituzioni il ruolo del software gestionale come fattore abilitante alla transizione digitale del Paese.

Tuttavia, il Piano prevede che il software venga incentivato solo se permette un risparmio di consumi energetici. Nel regolamento operativo per le imprese che utilizzeranno gli incentivi, che sarà pubblicato nei prossimi giorni dal MIMIT, sarà quindi molto importante definire in modo specifico la metodologia con la quale calcolare la riduzione ottenibile attraverso l’acquisto di un software gestionale, dei consumi energetici della struttura produttiva o dei processi interessati dall’investimento. Si tratta, tuttavia, di una misura con un alto grado di complessità di accesso che rischia di scoraggiare gli investimenti delle imprese verso nuove soluzioni software.

Parallelamente al Piano Transizione 5.0 – che avrà una durata temporale limitata (fino a dicembre 2025) – è necessario quindi stimolare la domanda di software con incentivi specifici, al fine di permettere a tutte le PMI di incrementare gli investimenti nel software che rappresenta la leva per lo sviluppo di tutte le nuove tecnologie, a partire dall’IA. Per questo, il Piano per il Software Made in Italy dovrà includere un programma di incentivi per l’acquisizione di qualsiasi strumento software che permetta di creare efficienza, ottimizzare i processi e migliorare l’organizzazione delle imprese.

Conclusioni

Auspico davvero che tutti i principali attori pubblici e privati possano lavorare insieme per realizzare questo Piano che sarà fondamentale per il futuro del nostro Paese.

AssoSoftware è a disposizione del Governo offrendo il contributo di tutto il comparto in termini di idee, esperienze e best practices, anche alla luce dell’expertise maturata in questi anni grazie alla collaborazione con gli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano, che ha portato, a partire da quest’anno, alla nascita del primo Osservatorio Software & Digital Native Innovation.

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