Nel mondo di Industria 4.0, l’investimento più strategico è sulle competenze. La quarta rivoluzione industriale si sta manifestando, oltre che in un’opportunità di grande crescita per i Paesi che sapranno ben interpretarla e metterla in campo, anche in un cambio paradigmatico per il mondo dell’industria. Analizziamo meglio il carattere delle competenze richieste.
Due processi
I motivi di tale affermazione risiedono principalmente nell’evoluzione di due processi indipendenti. Il primo ha a che fare con il mercato del lavoro: negli ultimi anni in molti Paesi (come l’Italia), sotto la spinta della crisi internazionale e di altre forze che hanno trasformato la società rendendola liquida nel senso di Baumann, il lavoro è divenuto precario e caratterizzato (da parte del prestatore d’opera) da forte opportunismo. Le aziende hanno difficoltà a trattenere le competenze maturate al proprio interno. Ciò ha portato ad attribuire un rinnovato valore al capitale umano ed alle competenze che esso induce nei processi.
Il secondo è legato alla natura stessa della rivoluzione dell’industria 4.0: essa introduce nuove figure professionali (come ad esempio l’innovation manager), molte delle quali devono essere in grado di integrare conoscenze provenienti da ambiti molto diversi. La necessità di innovare oggi impone al manager di saper coniugare competenze settoriali (dei diversi ambiti industriali: meccanico, tessile, chimico, etc) con competenze digitali, divenute sempre più trasversali (perché necessarie, appunto, in tutti gli ambiti di settore).
Competenze per Industria 4.0
Prima di tutto bisogna risalire all’origine e definire cosa si intende per competenza. L’EQF (European Qualification Framework) definisce la competenza come la “capacità di utilizzare conoscenze, abilità, capacità personali, sociali e metodologiche. L’e-CF (e-Competence Framework), che si rivolge nello specifico al contesto dell’ICT, definisce la competenza come “una abilità dimostrata di applicare conoscenza, abilità e attitudini”. In altri ambiti, si afferma che il talento (l’insieme di competenze che concorrono al successo professionale di un individuo) richiede conoscenza, abilità e motivazione3.
Le diverse definizioni hanno un tratto comune: evidenziano come la competenza richieda, oltre al sapere (la conoscenza) ed al saper fare (l’abilità), un coacervo di ulteriori caratteristiche che includono tratti personali e coinvolgono la sfera delle relazioni sociali ed interpersonali dell’individuo. Nel seguito, per semplicità e per evitare i punti di non totale accordo delle definizioni sopra citate, diremo che la competenza consiste principalmente nelle tre componenti del sapere, saper fare, saper essere.
Le competenze possono essere poi classificate in vari modi: ad esempio suddividendole in competenze di base, tecnico-professionali e trasversali. Le prime sono quelle fondamentali per l’occupabilità delle persone, le seconde sono connesse all’esercizio efficace dell’attività professionale e le distinguono in base al settore di applicazione, le terze sono indipendenti da quest’ultimo.
Le soft skill
In questo quadro occorre introdurre le cosiddette soft skill, ovvero le abilità trasversali che concorrono a rendere gli individui efficaci dal punto di vista relazionale e comunicativo, metodologico e manageriale, indipendentemente dall’ambito applicativo professionale (che l’individuo lavori in una azienda di meccanica, chimica, di servizio o manifatturiera, etc). Quasi sempre, nel quadro delle tre componenti della competenza (sapere, saper fare, saper essere), le soft skill vengono inserite tra (o quasi completamente sovrapposte a) le capacità del saper essere. Vogliamo qui proporre un diverso modo di concepire le soft skill, “elevandole” al rango di competenze (trasversali) e quindi riconoscendole composte dalle componenti del sapere, del saper fare e del saper essere.
Ad esempio, la capacità di buona comunicazione interpersonale non si basa solo su attitudini e caratteristiche più o meno innate; richiede conoscenze teoriche (sapere), esperienza ed applicazione di metodo (saper fare), nonché certamente tratti personali come ad esempio la capacità di ascolto (saper essere). Ad ulteriore esempio, esaminiamo la capacità di lavorare in gruppo: essa dipende da un insieme di abitudini, comportamenti e attitudini. Un buon team member è assertivo, sa ascoltare, rispetta le differenze di pensiero e culturali ed ha buone capacità di comunicazione interpersonale. Alcune di queste caratteristiche si possono imparare attraverso percorsi di formazione che insegnano le tecniche della buona comunicazione e dell’assertività (sapere) ed attraverso l’esperienza (saper fare). Ma altre sono attitudini personali (saper essere) che spesso è difficile modificare: è il caso della capacità di ascolto, di saper cogliere le opportunità. Vi sono attitudini che sono radicate nel sistema neurologico dell’adulto e non possono essere insegnate o manipolate. Anche le soft skill, dunque, talvolta, possono includere le componenti del sapere, saper fare e saper essere. In altri casi, l’esperienza può portare miglioramento (saper fare) ma la conoscenza (sapere) non è in grado di eradicare attitudini (saper essere) consolidate.
Tre tipi di competenze per l’Industria 4.0
Le competenze per l’Industria 4.0 sono state analizzate nel dettaglio in un position paper prodotto durante il 2018 da AICQ, l’Associazione Italiana Cultura della Qualità. Tuttavia in questo caso vogliamo proporre un approccio più semplice, che metta in evidenza per macrocategorie le competenze richieste in ambito l’Industria 4.0.
Distinguiamo le competenze tecnico-professionali specialistiche da quelle accessorie. Le prime sono specifiche dell’ambito applicativo dell’azienda. Ad esempio, per un progettista di una azienda del settore meccanico, la competenza specialistica è il risultato di un percorso di formazione nell’ambito della meccanica (es: Laurea Magistrale) e di applicazione di tali conoscenze ai processi industriali meccanici; il saper essere in questo caso include capacità come il problem solving, la creatività, la visione sistemica. Ma se l’azienda intende inserire processi digitali e tecnologie abilitanti proprie del mondo dell’elettronica e telecomunicazioni (l’Internet of Things, il big data) o dell’informatica (il cloud computing, l’intelligenza artificiale), il progettista deve disporre altresì di competenze accessorie, sempre di stampo tecnico-professionale ma proprie di altri settori tecnologici. Tali due categorie dovranno poi essere accompagnate dalle competenze trasversali, o soft (indipendenti dall’ambito applicativo: la leadership, la capacità di lavorare in gruppo, di comunicare e presentare in pubblico, etc).
Dunque in sintesi le competenze nell’ambito dell’Industria 4.0 si possono vedere stratificate a tre livelli: specialistiche, accessorie e trasversali. Su ciascun livello occorre sapere, saper fare e saper essere. Quest’ultima affermazione prende le distanze dall’usuale schema logico in cui le soft skill (quasi) coincidono con il saper essere.
Il ruolo della comunicazione interpersonale
Concludiamo con una ulteriore considerazione. Come detto, l’operatore di intelletto (progettista, innovation manager, project o product manager, etc) dell’Industria 4.0 deve sapere integrare competenze specialistiche e accessorie. Necessariamente ciò impone una grande capacità di relazione (con altri specialisti), di assorbire e saper analizzare concetti (sapere) e pratiche (saper fare) propri di altri settori.
La comunicazione interpersonale è, tra le competenze trasversali, forse la più importante nell’ambito dell’Industria 4.0, perché la relazione impone buone capacità di comunicazione. Si tratta di una competenza per la quale, come richiamato sopra, occorre formazione, esperienza ed attitudini. L’industria 4.0 richiede persone che oltre a sapere, saper fare e saper essere, devono anche saper comunicare.