Le misure eccezionali e stringenti adottate dal governo per far fronte all’emergenza coronavirus impongono attente riflessioni e importanti sacrifici da parte di tutti.
Salvaguardia della vita o della libertà, diritto alla salute, crisi e rischio di collasso del sistema sanitario nazionale nonché dell’economia del Paese non rappresentano, infatti, slogan vuoti elettorali da portare in qualche talk show ma un terreno di scontro cui tutti, grossomodo, siamo chiamati a partecipare;
Il richiamo unanime al restare a casa, le lotte di Sindaci e governatori regionali ai cosiddetti cittadini “irresponsabili” perché inosservanti le disposizioni delle ordinanze e dei decreti, i controlli, l’intervento dell’esercito e le numerose sanzioni (penali) comminate, costituiscono soltanto la punta dell’iceberg di un sistema che reagisce alla pandemia.
Le limitazioni ai nostri diritti e le conseguenze della pandemia sull’economia
In questo contesto così delicato abbiamo ormai appreso che i diritti fondamentali possono subire limitazioni incisive purché temporanee e proporzionali.
Lo stesso diritto alla privacy, come ricorda l’Autorità Garante, ammette “nell’emergenza ogni deroga possibile purché non irreversibile” aprendo un varco importante al tema della tracciabilità degli spostamenti dei soggetti contagiati.
Non gode di maggior fortuna neanche il principio di libertà d’impresa cui le misure di contenimento del contagio “attentano” imponendo al tessuto produttivo del nostro paese sanguinosi sacrifici.
La chiusura delle attività, il blocco della produzione, gli incentivi alla cassa integrazione o la raccomandazione alle ferie seppur inevitabili al momento, sono contrarie alle logiche economico-produttive del nostro tempo e, inutile dirlo, peseranno sul sistema Italia e su noi cittadini per lungo tempo.
E per quanto ingente sia lo stanziamento messo a disposizione per famiglie, imprese e lavoratori da parte del decreto “cura Italia” e dalla manovra di scostamento del bilancio, esso non costituirà da solo una “panacea” in grado di cancellare con un colpo di spugna la crisi che ci aspetta nel prossimo futuro.
Crisi che potrebbe essere acuita dal rischio di farsi trovare impreparati quando si tratterà di ripartire.
Come intervenire (ora) per preparare il tempo della ripresa
Siamo chiamati, pertanto, ad intervenire ora per evitare che le emergenze si sommino.
Come? Sfruttando (per quanto possibile) questo amaro periodo per aggiungere un piccolo vantaggio competitivo alle nostre imprese.
Il punto di partenza per tutti non può che essere l’analisi degli impatti dell’emergenza Covid-19:
Una specie di DPIA che risponda a questa domanda: l’avvento della pandemia e le conseguenti misure di contenimento varate dal governo o imposte dal personale senso di responsabilità come hanno impattato sul nostro modo di generare valore?
Aumentare la conoscenza del proprio business, imparare dagli errori e innovarsi costituiscono, infatti, il mantra di un’azienda che vuole diventare o restare competitiva nel tempo.
Si tratta, cioè, di capire e valutare:
- quali sono stati i punti di debolezza dell’impresa (es. catena decisionale, comunicazione interna, rapporti col personale e con i fornitori, gap tecnologici, incapacità di lavorare a distanza, la scarsa formazione del personale ecc.);
- quali dovevano essere gli asset da preservare cioè quelli più importanti dell’attività e quali influenze abbiano avuto da fattori interni (ad esempio personale, infrastrutture tecnologiche ecc.) ed esterni (fornitori principali, clienti ecc.);
- quali sono stati i tempi di risposta nel ripristinare le normali attività o di contenimento delle perdite;
- quali perdite abbiamo avuto (in termini di fatturato, incassi potenziali, danni, ecc.)
E di utilizzare queste informazioni per gestire le future crisi nell’ottica della continuità operativa
Conoscere la propria storia e le difficoltà affrontate per non farsi trovare impreparati alle nuove, proceduralizzare le azioni di risposta ad ogni emergenza in relazione agli impatti probabili.
Anche se non esiste un “vaccino” alle crisi aziendali, né tantomeno soluzioni univoche, i nostri sforzi devono concentrarsi sul fornire risposte il più possibile tempestive e razionali anche in caso di emergenza.
Quanti dipendenti possono lavorare in smart working, quanti devo mandare in cassa integrazione ecc, non sono considerazioni da affidare al caso ma devono essere contenute in protocolli che non risentano dell’emozione, degli istinti o delle contingenze del momento.
Non bisogna, poi, dimenticare che in questi momenti è opportuno che le decisioni siano prese in maniera tempestiva e che le stesse siano recepite e non ingenerino malumore (pensate a quanto possano essere contenti i dipendenti costretti ad andare in ferie per restare dentro casa). Tutto ciò comporta un’attenzione all’equità delle decisioni che può essere raggiunta attraverso una logica formalizzata e trasparente.
Ai miei clienti, per esempio, suggerisco tra le altre cose di istituzionalizzare un comitato di crisi che coinvolga alcune figure chiave tra responsabili interni (direttore del personale, direttore marketing, ecc.) e consulenti esterni dell’impresa (Commercialista, Dpo, Rspp ecc.) con il compito di consigliare il vertice decisionale dell’impresa e di proporre su misura i piani di risposta agli accadimenti;
È opportuno poi, che queste indicazioni siano scritte e condivise. Per quanto potrebbe sembrare ovvio in realtà di una certa dimensione, non lo è nelle piccole aziende.
Le politiche interne, quelle che disciplinino doveri e responsabilità, quelle relative alla catena di comando vanno messe ad opportuna conoscenza di tutti gli attori aziendali.
Ristrutturare (innovando) la propria azienda
In un momento in cui le imprese sono più impegnate a contare i danni del Covid-19 che a produrre utilità, l’unica ancora di salvataggio possibile è alzare l’asticella dell’innovazione: La rivoluzione culturale 4.0 alla quale siamo chiamati da tempo, infatti, non può attendere anche la fine della crisi pandemica.
Un piano di innovazione richiede conoscenza del contesto ed esperienza ma può essere concepito anche a distanza, da quei soggetti (i consulenti) già abituati agli strumenti di lavoro agile e costituisce senza dubbio il miglior modo di investire tempo e risorse aziendali in questi giorni di stop forzato.
A processi fermi o rallentati, infatti, si possono testare più facilmente gli apporti del cambiamento sui fattori interni (le persone e l’ambiente di lavoro, i processi e la governance), su quelli esterni (come la compliance normativa o il rapporto con clienti e fornitori), si possono scegliere più efficacemente le cd. tecnologie abilitanti e valutare più semplicemente la portata disruptive dell’innovazione.
Va da sé, poi, che un aspetto fondamentale di qualsiasi trasformazione sta nella capacità e nella velocità di un’organizzazione di assorbire il cambiamento, qualità che per essere ottimizzata necessità di programmi formativi e di sensibilizzazione che facilmente possono essere erogati in distance learning anche agli operatori che in questo momento lavorano da casa.
Azioni che risulterebbero efficaci proprio perché:
- sfruttano a proprio vantaggio strumenti già esistenti e restrizioni già avviate;
- fanno sentire i dipendenti parte di un progetto più ampio.
In questi giorni di tempo “rallentato”, però, più che di organizzazione ed innovazione si è parlato:
- dei benefici del cosiddetto “smart working”, quasi fosse uno strumento nuovo o alternativo al normale lavoro di ufficio.
- della possibilità di disposizione autoritativa delle ferie dei lavoratori (ipotesi caldeggiata dal governo stesso nel testo dei vari DPCM susseguitisi nei giorni scorsi).
Francamente, questi approcci, oltre a non rispondere efficacemente all’attuale esigenza del nostro paese, perdono di vista l’essenza delle cose: le politiche di smart working, infatti, devono coincidere con un ripensamento degli schemi presupposto del lavoro. Passare dal lavorare a ore a lavorare per obiettivi non si traduce in prendi un computer, connettilo in rete e fai quello che hai sempre fatto in ufficio comodamente da casa tua ma impone la scomposizione delle attività, la creazione di specifiche e modalità di controllo differenti.
Per chi come me ha una struttura “snella”, non è difficile assicurare continuità operativa anche in contesti emergenziali e passare da una modalità di lavoro in presenza ad una “agile” ma lo stesso vale per tutti?
La mia esperienza è che pur avendo attivato una stanza virtuale a beneficio dei clienti, gli stessi hanno preferito contattarmi telefonicamente.
Conclusioni
“L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, non sulle ferie forzate ed è da questo che bisogna partire se vogliamo tenere in piedi la nostra Nazione.
Pertanto, invece di denunciare:
- la scarsa copertura nazionale della rete internet ultraveloce;
- la resistenza culturale all’innovazione (per la quale il MISE avrebbe potuto e dovuto mettere in campo più risorse rispetto a quelle pensate con il famoso “voucher”);
- la mancanza di piani efficaci di business continuity e disaster recovery (che mai come in questo caso rendono evidente il fatto che non possano limitarsi alle sole implicazioni informatiche);
si è preferito richiamare l’art. 2109 del Codice civile per permettere ai datori di lavoro di tenere a casa i dipendenti.
Risposte semplici a problemi complessi. Risolvere la contingenza invece di guardare al futuro e sopravvivere ad esso.
È inutile dire che innovare richiede sforzi, incentivi e capacità di programmazione tali da rivoluzionare culturalmente la propria organizzazione ma allo stesso modo delle limitazioni alle libertà di cui parlavo nell’incipit dell’articolo, sono necessari.
La ripresa del sistema Italia, infatti, non dipenderà dall’assistenzialismo dello Stato ma dalla nostra capacità di reazione.