Come un aliante che trova la corrente giusta in quota, anche il nostro Paese sembra aver colto finalmente un’opportunità che mancava da molto tempo: la pandemia ha prodotto nel nostro sistema un punto di biforcazione, il sistema poteva collassare e invece è riuscito ad innescare un’evoluzione, in cui il Digitale è diventato il nuovo paradigma della crescita. Lo è stato durante i duri mesi di lockdown, lo è ora in modo più strutturato attraverso i progetti che cominciano a intravedersi nel PNRR.
I dati del mercato ci dicono proprio questo: un’accelerazione della trasformazione digitale che porta il comparto ICT a raggiungere i 34,4 miliardi di euro, in crescita del 4,1% rispetto al 2020, con un trend di previsione stabilmente positivo.
Ma i dati del recente Assintel Report (qui il report digitale), letti in controluce, ci raccontano anche di un mercato che avrebbe potuto crescere di più, molto di più: il 32% delle aziende non è riuscita ad attivare il cambiamento, e il 42% sono restate a guardare, puntando solo su progetti specifici che sostenessero le proprie attività durante la crisi. Questo non ci stupisce: il nostro resta ancora un Paese non facile, con un tessuto economico fatto di micro e piccole imprese, una cultura imprenditoriale e manageriale spesso analogica, una carenza cronica di competenze digitali, una diffusa difficoltà a finanziare l’innovazione.
PNRR, istruzioni per l’uso: ecco le regole per spendere le risorse a disposizione
PNRR, lo scenario futuro
Credo che il vero banco di prova sarà la messa a terra del PNRR, che io vedo come una sorta di Piano Marshall che guarda al futuro con le lenti dell’innovazione, per la prima volta mettendo il Digitale al centro del paradigma della crescita, del benessere, della sostenibilità e della persona. La sua realizzazione concreta, oltre agli sperati effetti di riattivazione della macchina produttiva, rappresenta un’enorme opportunità per mettere i pilastri di una nuova economia digitale, fatta di Ecosistemi, Api Economy e Servizi Data Driven. Ma deve essere guidato, in modo strategico e capillare, perché deve riuscire a coinvolgere un vasto tessuto socioeconomico fatto di micro, piccole e medie imprese, che spesso non hanno la cultura e le risorse per uscire dalla comfort zone e attivare il cambiamento.
In questo contesto sarà sempre più decisivo il ruolo delle associazioni imprenditoriali e dei Digital Innovation Hub, come il nostro EDI – Confcommercio, che in sinergia con le istituzioni possono attivare le proprie imprese creando aggregazioni e filiere trasversali in un clima di fiducia. Un processo immane, se ci pensiamo, perché significa lavorare a testa bassa su ogni territorio, quasi porta a porta, disseminando progetti, parlando il linguaggio delle piccole imprese e facendo toccare con mano quelle che sono le opportunità che il digitale offre loro, creando dei ponti fluidi con le pubbliche amministrazioni, intercettando fondi, mantenendo salda la motivazione e l’obiettivo. Ma questo occorre fare, oggi, per porre le basi di un’evoluzione davvero organica e generalizzata.
Rimettere in discussione le regole del gioco
Questo momento storico è anche propizio per rimettere in discussione alcune regole del gioco.
La prima regola: finanziare davvero l’innovazione, costruendo un framework che faciliti la partecipazione delle micro, piccole e medie imprese. I bandi a fondo perduto devono coprire almeno il 60% dell’investimento, con una rendicontazione semplificata e veloce e con una premialità per le aggregazioni d’imprese all’interno dei DIH. Ma non solo: le MPMI spesso non hanno la disponibilità per anticipare l’investimento, sebbene abbiano vinto un bando. Occorre una modifica normativa affinché l’azienda vincitrice possa ottenere immediatamente dalla banca il 100% della componente a fondo perduto dell’investimento, che quindi sarebbe garantito dallo Stato visto che è garantito dall’aggiudicazione del bando. La restante quota non coperta dal fondo perduto potrebbe essere finanziata dai COFIDI. Ma ci si potrebbe spingere addirittura oltre: il criterio di valutazione del merito creditizio potrebbe spostarsi sul Progetto e non sulla Società richiedente.
La seconda regola del gioco riguarda invece le aziende ICT e Digitali dell’Offerta: occorre incentivare gli investimenti in ricerca e sviluppo.
Anche il Made in Italy Digitale è costituito per la stragrande maggioranza da MPMI, per cui valgono le medesime criticità legate alla dimensione d’impresa e alla possibilità di finanziare l’attività innovativa. Anche per loro deve crearsi la possibilità di accedere subito a finanziamenti bancari che anticipino la cifra a fondo perduto aggiudicata in un bando. Ma in questo caso ancor più importante è creare una cabina di regia con le associazioni di categoria, le università e gli enti di ricerca per condividere un piano di razionalizzazione di tali iniziative al fine di farle convergere verso lo schema di rete di ecosistemi dell’innovazione.
La terza area su cui intervenire riguarda invece la Pubblica Amministrazione: dobbiamo creare le condizioni per favorire la partecipazione delle MPMI al processo di trasformazione digitale della PA. Che impatta sulla revisione delle regole delle gare Consip, ad esempio, introducendo una percentuale minima di almeno il 30% da dedicare in modo esclusivo alle MPMI e una premialità per le reti stabili d’impresa: solo così si potrà uscire dalla sudditanza del subappalto e innescare un processo virtuoso di aggregazione funzionale. Non voglio più sentire questa frase che oramai imperversa nel mercato della PA: “Perché voi MPMI vi lamentate? E’ vero, le gare le vincono i grandi, ma poi le attività per la maggior parte le svolgete voi”.
Noi MPMI non vogliamo più fare i “subappaltatori” nella gare della PA perché noi siamo soggetti innovatori e non solo esecutori, vogliamo e dobbiamo essere protagonisti e finalmente avere il ruolo che ci spetta non di diritto ma per merito.
La concorrenza leale e trasparente deve essere il principio cardine della nostra economia, per cui il Governo deve fare in modo che sia sempre garantita ed enfatizzata. Solo così avremo un’economia realmente competitiva a livello nazionale ed internazionale, accantonando meccanismi obsoleti e nefasti e sostituendoli da un dinamismo che caratterizzerà sia la domanda di tecnologie che l’offerta.
Il legame tra territorio e digitale
Il territori e la loro economia sono fondamentali per il Sistema Paese: ogni territorio è diverso dall’altro ed ha le sue peculiarità che rendono l’Italia il gioiello che tutto il mondo ci invidia. Dobbiamo valorizzare il territorio anche dal punto di vista del Digitale, sembra un concetto distonico ed invece è la chiave di volta. Dobbiamo creare un Ecosistema Digitale di prossimità, facendo in modo che le MPMI della domanda possano interloquire con le MPMI dell’offerta dei loro territori.
La vicinanza, la conoscenza del territorio, vivere le problematiche di quel territorio , saper interloquire in quel territorio rappresentano gli elementi per avviare la vera Trasformazione digitale delle imprese e della PA Locale. Ed in questo contesto le MPMI Digitali del territorio sono la soluzione giocando un ruolo fondamentale nell’innovazione dei nostri Territori, un’innovazione vera e profonda perché parte dalla radice e non dai rami più alti.