Strategie e modelli

Oltre Industria 4.0: come tornare a crescere con l’economia circolare

Nuovi materiali per le costruzioni, simbiosi industriale: come la digitalizzazione di processi e prodotti e l’impiego sistematico di tecnologie di ubiquitous computing possono consentire percorsi di crescita dell’economia

Pubblicato il 19 Lug 2017

Mauro Lombardi

Scienze per l’Economia e l’Impresa, Università di Firenze

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Talvolta accade che, pur sforzandoci, non riusciamo ad afferrare opportunità che sono alla nostra portata. Guardiamo ma non riusciamo a vedere, per un motivo molto semplice: il nostro sistema di rappresentazione della realtà è focalizzato su aspetti differenti da quelli che sarebbero interessanti. Questa breve riflessione viene in mente se si pensa al problema che affligge molte economie: bassa crescita e inferiore a quella del passato, prima della Grande Recessione del 2008, sia negli Usa che in Cina, Sudamerica, Europa. Molti studi e ricerche parlano sempre più di scenari contraddistinti da un periodo di slow growth. Vi sono però Centri di ricerca internazionali che perseguono da anni traiettorie di analisi strategica e operativa, grazie alle quali le imprese e i micro-sistemi produttivi che le adottano ottengono ritmi di crescita paragonabili a quelli pre-crisi, ponendo così le basi per un futuro meno conforme ad ipotesi di “stagnazione secolare”. Vale la pena conoscere attentamente quanto accade e comprendere che non si tratta di ricette miracolistiche di politica monetaria e fiscale, bensì di una possibile crescita economica, basata sull’adozione di nuovi principi strategici e criteri operativi, che possono essere agevolmente messi in atto grazie alle innovazioni tecnico-scientifiche e all’insieme di tecnologie racchiuse nella formula ormai stereotipata di Industria 4.0.

Per spiegare di cosa si tratta partiamo da una domanda retorica: possiamo immaginare quale sia il potenziale di crescita economica generato da una progettazione su nuove basi dei processi di produzione di molti beni e servizi che oggi utilizziamo? Auto, computer, abitazioni, tessuti, macchinari di produzione, sistemi di produzione e distribuzione dell’elettricità, nuove modalità di trasporto urbano… L’elenco comprende quasi tutto ciò che ci circonda in casa, nelle città, nell’ambiente in cui interagiamo.  Pensiamo solo per un momento alla quantità e alla qualità dell’occupazione potenzialmente ottenibile dalla riqualificazione energetica di gran parte del patrimonio edilizio esistente: dagli operai che con un semplice dispositivo possono effettuare prove sclerometriche per valutare le condizioni del cemento armato delle costruzioni, agli ingegneri e architetti, oltre che ai manager di progetto, che potrebbero avere accesso a una strumentazione molto sofisticata  per la scelta di nuovi materiali costruttivi, per la progettazione e ristrutturazione a fini del risparmio o addirittura della produzione di energia. Per le nuove costruzioni si profila la possibilità di combinare conoscenze secolari e nuove tecnologie per realizzare edifici con prestazioni eccezionali in termini di resistenza agli stress, durata e risparmio energetico. Intendiamo riferirci al famoso calcestruzzo romano, con cui sono stati costruiti monumenti e abitazioni nell’antica Roma. Fino a pochi anni or sono non se ne conosceva la composizione precisa né i peculiari meccanismi costruttivi. Tre anni fa il contributo di un gruppo di ricercatori dell’Università di Berkeley (Jakcson et al., 2014, Proceedings of National Academy of Sciences) ha analizzato blocchi di calcestruzzo capitolini con tecnologie moderne (tomografia computerizzata, spettroscopia dei materiali mediante radiazione di sincrotone), mettendo in luce micro-componenti e pratiche costruttive molto utili in prospettiva per avere in un futuro non lontano un materiale dalle prestazioni statiche, dinamiche ed energetiche molto importanti ai fini della progettazione urbana di strutture edilizie, sostitutive di quelle obsolete.

Un altro esempio può essere individuato nell’impiego di plastica rinforzata con fibre di carbonio per la costruzione di ponti, come è accaduto a Kolding (Danimarca). La plastica potrebbe a tal fine essere recuperata da un’enorme quantità di discariche che, com’è noto, sono anche in forma isole galleggianti negli oceani sotto l’azione delle correnti marine. Un ulteriore esempio, particolarmente interessante per il nostro Paese, soggetto a fenomeni di dissesto idrogeologico, riguarda la possibilità di contenere e quindi evitare smottamenti di terreni (colline, strade) con strutture tubolari di materiali tessili naturali, in grado stabilizzare aree di terreno (“geo-columns”, installate a Kassel, Germania).

Cambiamo ambito di analisi e pensiamo alle città come “miniere urbane” di metalli preziosi, che sono contenuti nei dispositivi elettronici e in molti elettrodomestici. Essi possono essere recuperati e impiegati di nuovo nell’industria, come già avviene nella produzione orafa d’Arezzo. Le stime divergono, ma si tratta in ogni caso di valori molto elevati e di quantità considerevoli, soprattutto alla luce del fatto che il forte incremento del loro impiego in gadget e strumenti elettronici ha negli ultimi decenni subito un’accelerazione, fino a indurre gli analisti a stimare che al 2050 lo stock mondiale di riserve di 17 metalli preziosi sarà inferiore alla domanda, con probabili conflitti bellici per il loro controllo, soprattutto perché si tratta di elementi strategici per molte attività ritenute fondamentali per i sistemi socio-economici.

Questi e molti altri esempi indicano come sia oggi possibile sviluppare economie e creare occupazione qualificata mettendo in opera nuovi schemi progettuali e meccanismi operativi per produrre beni e servizi pervasivi, incentrati sulla green economy, vista come insieme di una serie di attività di ridefinizione di gran parte delle componenti attuali dei sistemi economici. Si tratta, quindi, di uno spazio tecno-economico rilevante che, riprendendo l’incipit di questo contributo, può essere visto solo se si modificano gli schemi concettuali con cui si mettono a fuoco temi cruciali per l’evoluzione futura delle società. Per stimolare la consapevolezza di tale mutamento di prospettiva, analizziamo tre approcci, attualmente ritenuti molto importanti a vari livelli, allo scopo di mostrare che sono oggi praticabili proficui modelli di business partendo da differenti visioni dei processi di produzione.

Sulla base di un ampio studio della Ellen MacArthur Foundation e del McKinsey Global Institute (2015), una Comunicazione della Commissione Europea del 2-12-2015 ha proposto il Piano d’azione per l’Economia Circolare. L’assunzione cruciale è che si debba cambiare il paradigma concettuale della progettazione, mettendo al centro eco-compatibilità di processi e prodotti. Il principio orientativo di fondo deve essere questo: superare il concetto di rifiuto alla base del tradizionale modello lineare, dagli input all’output, con rifiuti costituiti dal materiale utilizzato, ad esempio nei processi di estrusione, o alla fine del ciclo di vita dei prodotti. Il mutamento di prospettiva è radicale: si tratta di progettare e realizzare beni che utilizzano al massimo i “nutrienti naturali”, cioè materiali biologici che non depauperano il “capitale naturale” diventando rifiuti inutilizzabili. Al tempo stesso occorre ottimizzare l’uso dei “nutrienti tecnici”, cioè delle componenti tecniche, perseguendo così l’efficacia, ovvero riducendo al minimo le perdite del capitale naturale. In breve, dovrebbero ispirare la progettazione principi quali: recycle, remanufacturing, reuse, che sono tutti e tre presenti negli esempi precedentemente addotti e del tutto simili ai nove Principi assunti alla base dell’Expo di Hannover (2010), a loro volta ispirati allo schema concettuale denominato From cradle to cradle (“dalla culla alla culla”), i quali hanno trovato attuazione in numerosi progetti di comunità locali e di imprese in molte nazioni. In termini essenziali, si tratta di perseguire l’eco-efficacia, che significa il ripensamento di processi e prodotti sulla base dell’assunzione che “in natura non esistono rifiuti, tutti gli output di un processo diventano input di un altro. Non esiste il concetto di rifiuto” (Braungart, McDonough, Bollingher, 2007). Non c’è contraddizione, bensì complementarità, tra eco-efficienza ed eco-efficacia; il punto decisivo è concepire i flussi di input e output come matching ininterrotto tra due processi metabolici: il metabolismo biologico e quello tecnologico.

Un altro framework affine ai precedenti è la Simbiosi Industriale (SI), anch’essa tradotta in pratica in un notevole numero di progetti, realizzati a livello internazionale ed anche in Italia. La SI prevede di concepire e realizzare un eco-sistema industriale in aree geograficamente definite: le unità produttive si scambiano informazioni e si auto-organizzano sia con una migliore utilizzazione dei materiali, per es. con lo scambio di output di un processo prima destinato come input di un processo limitrofo, sia con l’organizzazione di partnership per l’uso di risorse strategiche come energia, acqua e trattamento rifiuti, coordinamento infrastrutturale. Per esempio, anche se non è definita ufficialmente Simbiosi Industriale, rientra in questo schema concettuale la visione adottata dall’Assoconciatori di S.Croce sull’Arno per realizzare un progetto di area-sistema della produzione conciaria, dove le acque reflue urbane di una vicina valle (Valdinievole) sono recuperate e quindi reimpiegate nel ciclo conciario, per essere poi di nuovo depurate prima dell’emissione finale. I benefici in termini di minori costi economici e ambientali sono consistenti.

La SI è una ben precisa linea di ricerca e sviluppo dell’ENEA, che ha realizzato una piattaforma nell’ambito della quale è stata creata una rete di agenti che cooperano e condividono informazioni, realizzando feedback virtuosi, upgrading qualitativi nell’uso delle risorse, innalzamento delle performances ambientali; il tutto è basato su una stretta cooperazione tra enti istituzionali e entità economico-produttive. La creazione di database e di una serie di procedure di accreditamento degli agenti permette lo sviluppo di processi di matching progettuale e operativo, con il conseguente sviluppo endogeno di flussi coordinati di input e output, basati sia su algoritmi che sull’azione catalizzatrice di iniziative programmate (meeting, incontri mirati). Per questa via sono stati ottenuti risultati significativi in termini di rapporti sinergici a livello settoriale e intersettoriale, con l’emergere di reti tra imprese e stakeholders, insieme all’innesco di attività collaborative multi-scala (ENEA, 2015).

Dagli esempi riportati emerge chiaramente che la digitalizzazione di processi e prodotti, dalla nano-scala alla scala ordinaria, insieme all’impiego sistematico di tecnologie di ubiquitous computing possono consentire percorsi di crescita dall’interno (growth from within è l’espressione adoperata nel documento della Commissione Europea da cui siamo partiti). Un potenziale di sviluppo è dinanzi a noi: per vederlo è necessario avere la capacità di integrare molteplici competenze e patrimoni conoscitivi, sviluppare nuovi processi di apprendimento, reimpostare i modelli di business trasformando modelli di progettazione e di organizzazione dei processi. Nel nostro Paese vi sono risorse intellettuali e materiali per muoversi in questa direzione, verso cui spingono le pressioni generate da fattori ambientali e fondate preoccupazioni per una crescita stentata nella produzione di ricchezza e di occupazione.

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