Oggi l’emergenza coronavirus ci impone di reagire non solo rispetto all’emergenza sanitaria ma anche mettendo in campo provvedimenti che ci facciano fare finalmente il salto di qualità come sistema paese nel complesso. Bisogna sconfiggere il covid-19 ma anche gli altri due “virus”: quello della recessione economica e quello di un paese costretto sempre a vivere nell’emergenza.
Se da una parte vanno bene i provvedimenti e gli aiuti alle imprese e ai lavoratori, vanno meno bene i provvedimenti che distribuiscono incentivi a pioggia senza una reale programmazione. Davanti alle tre grandi sfide che si presentano all’umanità, cioè tecnologica, ambientale, demografica c’è la necessità che la politica si liberi dal ricatto del breve termine.
Serve che il Paese cominci realmente a pianificare interventi e soluzioni durature.
L’emergenza sanitaria di queste settimane ci sta mostrando, ad esempio, come la riforma del Titolo V su alcuni importanti temi come quello della Sanità, (ma anche dell’energia, e trasporti.) se fosse stata affrontata con uno spirito di visione di bene comune e non propagandistico oggi ci avrebbe permesso di avere strumenti normativi sicuramente più efficaci per affrontare e gestire la crisi sanitaria con molta più efficienza e rapidità. Perché questo esempio? Perché bisogna uscire dal ricatto del breve termine ma anche da un clima da campagna elettorale permanente di cui a fare le spese è il Paese intero.
La tempesta perfetta per industria e lavoro
Tornando all’industria e al lavoro, la somma di emergenza sanitaria e recessione rischia di trasformarsi in una tempesta perfetta. Molte imprese cominciamo a fermare la propria attività per mancanza di forniture e componentistica, dalla Magneti Marelli di Corbetta, alla Bentel Security, in Abruzzo. Questo ci impone una riflessione rispetto all’organizzazione delle catene di valore. Una riflessione che già i cugini francesi hanno avviato. Il ministro francese delle finanze, Bruno Le Maire, ha lanciato un appello-provocazione alle multinazionali di produzione, troppo concentrate in Cina: “c’è la necessità imperativa di rilocalizzare un certo numero di attività e di essere più indipendenti”. Personalmente non credo che la soluzione risieda dentro un autarchismo o in società chiuse; se sconfiggeremo questo virus, come sarà, è proprio grazie alla collaborazione tra i vari laboratori di tutto il mondo, una modalità di lavoro per cui dobbiamo ringraziare la virologa Ilaria Capua, che nel 2006 diede il via alla scienza open source per combattere il virus dell’aviaria. Questa crisi ci sta mostrando come le produzioni di prossimità rappresentino un valore. Dobbiamo quindi tenerci strette produzioni strategiche come l’acciaio, il biomedicale, l’automotive e così via, averle e non averle in situazioni di crisi fa la differenza.
L’importanza di ecosistemi territoriali per lo sviluppo
Per questo è sempre necessario progettare ecosistemi territoriali comunitari per lo sviluppo, capaci di consolidare le reti d’impresa presenti e creare le condizioni di attrattività di nuovi investimenti industriali. Questo significa avere una visione “ecosistemica” dello sviluppo territoriale, ma per farlo serve contrastare la cultura diffusa di resistenza all’innovazione e del “ si è sempre stato fatto così” che purtroppo si annida non solo nella provincia ma anche nella politica nazionale e tra molti imprenditori.
Adesso tutti parlano di smart working, va bene, ma le aziende devono capire che utilizzare bene e al meglio lo smart working vuol dire progettarlo e condividerlo con il sindacato e i lavoratori. Siamo usciti dal modello fordista di organizzazione del lavoro, tempo e spazio sono variabili sempre più indipendenti questo a prescindere dal Covid-19.
Il lavoro, oggi, grazie alla tecnologia può essere modellato per andare incontro alle esigenze di vita delle persone, con dipendenti più contenti e che condividono le scelte aziendali. Questo significa responsabilizzarli e quindi ottenere degli aumenti di produttività. Senza considerare che lo smart working può rendere policentriche le città, ridare vitalità alle aree interne e periferiche, ridurre il traffico e l’inquinamento, aumentare la qualità della vita delle persone.
Scuola e impresa insieme per una nuova formazione
Ma va pensato e programmato dentro una politica industriale di lunga visione, per farlo servono investimenti, in tecnologie digitali e infrastrutture Ict, a partire dalla rete 5G. Parallelamente vanno messe in campo azioni formative diffuse e nuove. L’alternanza scuola lavoro, poco sostenuta da questo Governo, dovrebbe invece diventare una prassi consolidata.
Oggi, quello che una volta era il “lavoro in bottega”- che ha fatto grande l’artigianato italiano – quello dove i ragazzi imparavano un mestiere “rubando” il know-how e i segreti degli artigiani con gli occhi e con la ripetitività dei gesti, deve essere messo a sistema in chiave moderna. Scuola e impresa, insieme, possono formare gli studenti con una nuova dimensione olistica del sapere dove teoria e pratica non sono lontane ma dimensione alta della conoscenza.
Come metalmeccanici, nel Contratto Nazionale abbiamo introdotto 8 ore di diritto soggettivo alla formazione, ma non basta. Servono maggiori investimenti sia in termini di ore che di qualità dell’offerta formativa. La formazione nella sua intera filiera, che va dalla scuola alle aziende, resta l’unica arma a nostra disposizione insieme agli investimenti, non solo per guardare con fiducia al futuro ma per aspirare a un futuro di qualità.
Gli skill-monitor aziendali e territoriali delle competenze in questo senso sono uno strumento utilissimo; mappare, orientare i territori agli investimenti, tutto in un’ottica “ecosistemica”, capace di far promuovere e far funzionare il sistema locale e territoriale, sulla base di una dotazione non solo di servizi e infrastrutture ma anche di competenze e di investimenti sulle persone. Il rischio, altrimenti, è di prendere da queste trasformazioni solo il peggio. Non serve lo “Stato Proprietario e burocratico”, serve lo Stato “abilitante e facilitante”, capace di attivare investimenti privati, limitando la burocrazia e creando l’ecosistema di base che favorisca l’attratività degli investimenti.
Conclusioni
L’attuale crisi può rappresentare e trasformarsi in una grande opportunità a patto che si abbia una visione di medio e lungo termine. Anche oggi chi pensa che la soluzione sia quella di chiudere le frontiere, annullare i saloni internazionali e immagina un mondo chiuso è fuori strada.
Il nazionalismo industriale praticato da troppi governi europei non ha aiutato certo una visione di medio e lungo termine. Oggi più che mai, davanti all’emergenza, bisogna lavorare più che a cambiare il modello di globalizzazione, all’integrazione dell’industria europea favorendo la nascita di campioni europei dell’industria.