Sono due gli appuntamenti fondamentali del prossimo autunno con il Piano Industria 4.0: la partenza operativa dei competence center, dopo la lunga procedura di bando, graduatoria, assegnazione risorse, e gli accordi fra imprese e sindacati per utilizzare gli incentivi alla formazione previsti dalla legge di Bilancio, e, per ora, diciamolo, rallentati dalla mancanza delle intese sindacali previste per legge. Il tutto, nella cornice della prossima Legge di Bilancio, che non è chiaro se e in che modo si occuperà del Piano Industria 4.0, ad esempio prorogando gli incentivi.
Su tutto si profila così il nuovo fondamentale ruolo dei sindacati, nel bene e nel male.
Partiamo con il capitolo più caldo, quello della formazione 4.0.
Marco Bentivogli, segretario generale Fim Cisl, in generale sottolinea come il tutto stia «partendo molto lentamente, mentre sarebbe fondamentale evitare una formazione legata a vecchi clichè, come i cataloghi. Bisogna intrecciare la strategia di impresa con l’interesse e le competenze dei lavoratori, e in questo senso la necessità di un accordo sindacale è una garanzia».
Credito d’imposta formazione 4.0 e accordi
Facciamo un passo indietro: la normativa sugli incentivi alla formazione, introdotta dalla Legge di Stabilità 2018, che consiste in un credito d’imposta al 40% sulle spese di formazione 4.0 per il personale dipendente con un tetto di 300mila euro per ciascun beneficiario, valido per il 2018. La norma prevede con precisioni quali investimenti sono ammissibili, limitando il campo di applicazione alla formazione digitale in chiave Industria 4.0. Ma soprattutto, e qui sta il punto relativo agli accordi, prevede che per utilizzare l’incentivo fiscale ci debbano essere accordi fra imprese e sindacati sulla formazione. Nel dettaglio, (comma 47 della manovra) le attività di formazione sono pattuite attraverso «contratti collettivi aziendali o territoriali».
Ci sono settori, come quello dei metalmeccanici, nei quali questi contratti sono stati siglati. Ci sono anche contratti territoriali, per esempio in Lombardia (Assolombarda – Cgil, Cisl e Uil). C’è un accordo Confindustria – sindacati che stabilisce le linee guida fondamentali di questi contratti, stabilendo che possono essere firmati a livello aziendali dalle Rsu, dove ci sono, oppure a livello territoriale dalle associazioni imprenditoriali e sindacali. Si tratta, in tutti i casi, di accordi molto recenti, siglati fra giugno e luglio, dopo che in giugno è stato pubblicato il decreto attuativo ministeriale. In pratica, quindi, l’iter attuativo di fatto ha necessitato di sei mesi per mettersi in moto, rallentando parecchio quindi la possibilità di utilizzo dell’incentivo. Sarà prorogato? Oppure resta limitato al 2017? Domande che troveranno risposta nel prossimo autunno. Così come si capirà se e come l’esecutivo proseguirà la strada degli incentivi all’acquisto di macchinari.
Un esempio di accordo sulla formazione 4.0: i metalmeccanici
Nel frattempo, vediamo cosa prevedono questi contratti, dove ci sono. L’accordo per i metalmeccanici, siglato da Federmeccanica, Assistal, Fim, Fiom e Uil lo scorso 12 luglio, impegna le parti a una formazione che «risponda all’esigenza di aziende e collaboratori, rappresentando così un investimento e un valore condiviso per i soggetti coinvolti», e all’analisi del fabbisogno formativo, «per identificare le competenze da sviluppare per aumentare la competitività aziendale e la professionalità delle persone». L’analisi del fabbisogno si inserisce in un processo ciclico, che comprende pianificazione della formazione e monitoraggio dell’azione intrapresa. L’intesa individua anche le aree tematiche ritenute prioritarie per la formazione dei metalmeccanici e fornisce anche esempi concreti di percorsi formativi. Si tratta, in entrambi i casi, di strumenti indicativi e non prescrittivi. Rilevante la parte relative alle competenze trasversali, suddivise in soft skill e competenze informatiche. Le soft skill individuate sono:
- public speaking,
- leadership,
- gestione del tempo,
- team working e team building,
- negoziazione e gestione dei conflitti,
- problem solving e decision making,
- lean thinking,
- formare i formatori,
- comunicazine digitale (social, wen analytics, presentazioni),
- consapevolezza del ruolo e sviluppo delle competenze,
- gestione del denaro,
- interculturialità,
- conoscenza del CCNL,
- conoscenza della busta paga.
Le competenze trasversali di natura informatica:
- programmi di videoscrittura,
- foglio elettronico,
- presentazioni,
- programmi di posta elettronica,
- database,
- project management per l’ICT,
- alfabetizzazione digitale finalizzata anche alla corretta fruizione degli istituti contrattuali, fondi pensione e welfare.
Vengono poi definite competenze digitali, tecniche, gestionali, per le diverse aree aziendali.
In generale, sottolinea Bentivogli, il messaggio da far passare è «l’investimento massiccio che va fatto con la formazione», utilizzando uno strumento importante come il credito d’imposta per puntare su una formazione di qualità. In realtà, la difficoltà sta proprio qui, nel mettere a punto percorsi di costruzione delle competenze che vadano al di là dei classici cataloghi dei centri di formazione.
Il ruolo del sindacato
Il sindacato in tutto questo ha un ruolo importante. «Deve passare dalla job protection allo sviluppo di professionalità, lo skill development». La FIM, nell’ambito del progetto Rewind, ha dato vita negli ultimi due anni a più di mille eventi per la formazione digitale, per formare delegati a valutare progetti formativi. La sfida è fondamentale, «dopo la salute il diritto alla formazione è il più importante», e va trattato come tale. Mettendolo nei contratti, e facendolo applicare. «E’ un diritto del lavoratore, come l’orario. E il sindacato deve essere in grado di valutare se i percorsi hanno la qualità adeguata». Il discorso del sindacalista qui si amplia anche a un tema molto dibattuto nelle ultime settimane, quello delle nuove regole sui contratti a termine, al centro del Decreto Dignità trasformato in legge dal Parlamento a inizio agosto. «Nessuno che dice che anche i contratti a termine, se fossero riempiti di formazione, sarebbero più forti», ovvero più efficaci nel garantire poi una continuità in sede di rinnovo.
I competence center
La Fim lavora anche con i competence center, ad esempio con il Politecnico di Milano, proprio nella messa a punto di percorsi finalizzati alle competenze 4.0. «Lavoriamo su questi temi dal 2014 – insiste Bentivogli -, e molte università ci ritengono un soggetto che ha qualcosa da dire». Le università intanto lavorano alla partenza, ormai imminente, dei competence center. Qui, in realtà, manca l’ultimo passaggio, quella della distribuzione delle risorse. Il ministero dello Sviluppo economico ha messo a punto una graduatoria provvisoria dei competence center che hanno partcipato al bando, ai quali in totale vanno 73 mln di euro. E’ in corso la fase di negoziazione, che prevede appunto la distribuzione delle risorse fra i centri inseriti nella graduatoria (che alla fine dell’operazione diventerà definitiva). Eccola in tabella:
Competence center | Punteggio | Posizione in graduatoria |
Politecnico di Torino: Manufactoring 4.0 | 9 | 1° |
Politecnico di Milano: Made in Italy 4.0 | 9 | 2° |
Alma Mater Studiorum Bologna: BI-REX | 8 | 3° |
Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa: ARTES 4.0 | 8 | 4° |
Università degli Studi di Padova: SMACT | 7 | 5° |
Università degli Studi di Napoli Federico II: Industry 4.0 | 7 | 6° |
Cnr: START4.0 | 6 | 7° |
La Sapienza di Roma: Cyber 4.0 | 6 | 8° |