I primi segnali di frenata degli investimenti industriali in tecnologia (Industry 4.0), registrati negli ultimi giorni, sono rivelatori.
Non possono essere solo gli incentivi a stimolare la trasformazione digitale necessaria al nostro sistema produttivo: serve un supporto multi-livello della politica industriale, che favorisca gli investimenti in tecnologie, un più stretto legame tra il mondo della ricerca e l’industria, la formazione e l’aggiornamento continuo delle competenze.
Questa la ricetta, secondo Confindustria, sulla quale servirebbe subito una nuova strategia nazionale che metta in fila i nuovi attori della digital transformation, come il cloud, la blockchain, la realtà aumentata, la cyber security con il vecchio manifatturiero (puntando su nuovi processi produttivi) per proporre prodotti sempre più adeguati alle nuove richieste del mercato.
I nodi vengono al pettine
La frenata è emersa nei giorni scorsi quando il Centro Studi di Confindustria, in collaborazione con il MEF, ha presentato il tradizionale rapporto sull’industria italiana; poi con lo stesso tono è arrivato un interessante studio dell’Osservatorio Industria 4.0 della School of Management del Politecnico di Milano. La sostanza che emerge è molto, molto evidente.
Dopo quattro anni di crescita, l’assenza di una precisa strategia nazionale, aggiunta al rallentamento dell’economia, produce nel 2019 robusti segnali di frenata di Industria 4.0.
Il mercato si contrae – in base ai risultati del primo trimestre – del 10-15% rispetto al 2018.
Secondo il report di PoliMi, nel 2018 il mercato di Industria 4.0 si è attestato su un valore di 3,2 miliardi registrando una crescita del 35% rispetto al 2017, trainato dai frutti degli investimenti effettuati nel 2017 (e fatturati nel 2018) sulla spinta del Piano Nazionale Industria 4.0, +140% se si considerano gli ultimi quattro anni, a cui va aggiunto un indotto di circa 700 milioni di euro in progetti “tradizionali” di innovazione digitale (circa 300 milioni in più dell’anno precedente). Segnaliamo anche che l’85% del fatturato è composto da Industrial IoT, Industrial Analytics e Cloud Manufacturing.
Ma il tema che emerge prepotente da entrambi gli studi è che la digitalizzazione della manifattura offre importanti benefici alle imprese: arricchisce l’offerta industriale di nuovi servizi” intelligenti “, migliora l’efficienza tecnica ed energetica dei processi industriali. Le tecnologie 4.0 costringono a prendere decisioni più rapide e precise (nuova organizzazione del lavoro), nuove forme di interazione uomo-macchina, interconnessione dell’intera catena del valore dell’impresa, fino a toccare l’intera catena di fornitura, quindi anche le PMI che si vedono costrette ad adeguarsi al nuovo mondo digitale per mantenere la competitività. La prima parola determinante è competitività.
Sostenere l’impresa digitale per mantenere il vantaggio competitivo
Ecco che diventa vitale per noi continuare a sostenere l’impresa digitale che è la vera leva per produrre sviluppo e diffondere il nostro vantaggio competitivo. Un vantaggio che però rischiamo di perdere, non solo noi italiani, ma tutta l’Europa, ci dice Confindustria, perché la sfida non è più per singoli Stati, ma per grandi continenti.
L’Europa rischia infatti di perdere la sfida globale contro Asia e Nord-America, in particolare per quanto riguarda la leadership nell’offerta di tecnologie abilitanti per la produzione digitale dell’industria, sempre restando nel settore dei brevetti applicati alle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione.
Italia senza strategia per la Trasformazione digitale e Industria 4.0
Pur in ritardo rispetto agli altri paesi (almeno 5 anni di ritardo rispetto alla Germania!), anche il nostro Paese nel 2016 ha varato un Piano Industria 4.0: una strategia di politica di medio-lungo periodo in linea con le migliori pratiche internazionali (Piano Nazionale Industria 4.0). La principale misura del governo italiano è stato lo strumento dell’iper-ammortamento, che si stima abbia riguardato 10 miliardi di investimenti.
Si è trattato di una misura importante, che è stata utilizzata prevalentemente dall’industria manifatturiera, sia per numero di imprese coinvolte che per quota degli investimenti attivati. All’interno della manifattura il settore in cui l’investimento è stato maggiore è quello dei prodotti in metallo, 26% del totale degli investimenti iper-ammortizzati, seguito dalla meccanica strumentale.
Bene, quindi, che ci si sia dati un Piano Paese, anche se non si è capito l’importanza dei processi, in Industria 4.0, privilegiando al solito macchinari, il vecchio hardware della vecchia manifattura, anziché premiare (cosa che in parte è arrivata successivamente) ricerca, innovazione e soprattutto software, digitale, formazione, consulenza di processo.
Segnali preoccupanti dall’economia reale
Nel 2017 il piano Industria 4.0 ha generato 10 miliardi di euro di monte investimenti delle imprese italiane in beni strumentali. Un terzo di queste risorse viene dalle grandi imprese, un terzo dalle medie e il restante dalle piccole. E’ un segnale incoraggiante, anche se ricordiamo che il tessuto italiano è fatto al 95% di PMI, e lì bisogna puntare per la vera digital transformation del sistema produttivo del Paese.
Il tempo stringe. Confindustria sottolinea come i dati dall’economia reale suggeriscono segnali preoccupanti, PoliMi rileva che è in corso un secco rallentamento sugli investimenti in Industria 4.0. Nel mese per mese, di questo inizio d’anno, si registra calo su calo, che segue la contrazione dell’industria e la stazionarietà dell’occupazione dei mesi precedenti. E anche nella mia regione, il Veneto (emblematico per le PMI), arrivano segnali preoccupanti.
L’ultimo rapporto di Bankitalia sull’economia del Veneto segnala un primo e preoccupante segnale: dopo oltre due anni di espansione complessiva dei prestiti, nel primo trimestre del 2019 torna il segno meno. Soprattutto tra le piccole imprese, in cui la sforbiciata dei pagamenti nel primo trimestre è del 3,8% rispetto all’1,9 che si registra tra le medie grandi.
Non solo incentivi: servono cultura e formazione
Un processo di questo tipo quindi non può vivere di soli incentivi, che sono soluzioni temporanee, ma qui servono interventi strutturali. Uno determinante – a mio avviso – è quello della formazione e cultura digitale (alfabetizzazione digitale).
Una cultura del digitale che non deve essere della sola manifattura, che è chiamata in primis ad una trasformazione in tempi davvero stretti.
Ma assieme alla classica manifattura sono ancora scarsamente pervenuti segnali di vera digital transformation in ampie sacche del mondo artigiano e commerciale, vere anime di questo nostro Paese.
Servono strategie almeno nazionali, se non europee, servono investimenti, pubblici e privati, serve fare in fretta. I mercati non ci attendono!
Una nuova cultura dell’Innovazione
La trasformazione digitale – ribadisco – è il cambio epocale del sistema produttivo delle nostre economie: vengono riscritte le regole del business, cambiano le gerarchie, si azzerano i vecchi vantaggi competitivi. Guardiamo a cosa sta succedendo nel mondo della grande distribuzione allo shock del commercio elettronico; guardiamo al settore dell’automobile che punta a fabbriche 4.0 ma si dibatte tra le difficoltà verso l’elettrico; guardiamo al settore bancario, dove prestare denaro non è più redditizio e ci si inventa nel proporre assicurazioni, vacanze etc.
Lo stesso governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, ha lanciato l’allarme recentemente affermando: “Il sistema produttivo italiano sta rimanendo indietro, e di molto, nella trasformazione digitale. Ai settori che compongono l’economia digitale è oggi riconducibile il 5% del valore aggiunto, contro circa l’8% in Germania e una media del 6,6% nell’Unione Europea”.
Non si tratta, a mio avviso, dei soliti appelli, ma di un insieme di considerazioni che dovrebbero spingere qualsiasi imprenditore, ma anche semplice cittadino/consumatore a confrontarsi con la trasformazione digitale, ad approfondire, conoscere, imparare, per non essere esclusi dal nuovo mondo che è già qui!
Restando al settore manifatturiero, strategico per il futuro dell’Italia, ripeto a costo di essere logorroico, che bisogna avere il coraggio e lungimiranza di introdurre nelle imprese una radicale innovazione sui processi e sui prodotti; modificare la cultura organizzativa dell’azienda in un’ottica di Industria 4.0 mettendo al centro le persone e mirando a processi produttivi sempre più stabili, flessibili e affidabili. Partire da questa premessa, nella testa di ciascuno di noi, sarebbe già un nuovo inizio.