In questi giorni, alle tante parole spese usualmente sul tema dell’innovazione, si sovrappongono due filoni di commenti.
- Un primo filone riguarda la preoccupazione per una congiuntura economica che pare volgere in negativo e che preoccupa investitori e imprese.
- Un secondo filone rinnova i tradizionali ragionamenti di fine anno con previsioni e anticipazioni su quella che potrebbe essere la dinamica nel settore nel 2019 ormai alle porte.
Alcuni segnali paiono essere positivi a testimonianza di una ripresa complessiva del mercato e di un interesse apparentemente in crescita delle imprese verso i temi del digitale. Tuttavia, si affacciano sempre più preoccupanti anche i segnali di una possibile recessione o comunque di un vistoso rallentamento che è ormai nei fatti e non solo nei timori di molti.
Questo contesto così incerto è reso ulteriormente più complicato dal consueto sovrapporsi di parole chiave, retorica, annunci sulle rivoluzioni prossime venture che ci cambieranno la vita e che dovrebbero ora diventare le top priorities dei politici, dei manager e dei decision makers in generale.
Le parole dell’hype in tecnologia
Non passa minuto senza che si ripetano parole chiave come “blockchain”, “machine learning”, “startup”, “open innovation”, “hackaton” e chi ne ha più ne metta. Capiamoci: sono tutte parole che rimandano a tecnologie, concetti, principi certamente importanti e utili. Ma troppo spesso sono sopravvalutate e sovraccaricate di aspettative e di capacità miracolistiche che non hanno alcun riscontro nella realtà.
Spesso poi, si tratta di tecnologie ancora non sufficientemente mature e che quindi devono essere certamente studiate e sperimentate, ma senza aspettarsi risultati travolgenti nel breve periodo.
Ma quindi cosa ha senso fare oggi? Quali sono le tematiche calde che possono dar luogo a progettualità concrete e che vanno al cuore dei problemi delle imprese?
Quali le priorità alla luce della congiuntura e delle sfide nazionali e internazionali?
La nostra (e mia) esperienza ne suggerisce tre che provo qui di seguito a illustrare in estrema sintesi.
Prima priorità: estrarre valore dai dati
La competitività di un’impresa dipende sempre più dalla sua capacità di raccogliere, organizzare, elaborare, interpretare e valorizzare le informazioni e i dati che in modo diretto o indiretto ne caratterizzano e definiscono le dinamiche. È una complessa catena del valore che, in generale, si sviluppa a partire dal mondo fisico (sensoristica e fog computing) per arrivare fino al cloud, all’analytics e alla business intelligence.
È una catena del valore che rivoluziona completamente l’offerta, il posizionamento, la strategia, i modelli di business, il rapporto con il cliente, le dinamiche e le competenze di un’impresa. Per esempio, non vendo più un macchinario o una telecamera industriale o un motore di aereo, quanto volumi di produzione, ore di sorveglianza, ore di volo e, soprattutto, tutti i servizi collegati a questi processi complessi. È la faccia (forse quella più tecnologica) di quel processo di servitization di cui per molto tempo si è parlato e che ormai non è solo una tra le molte opzioni possibili quanto, per molti, l’unica strada da percorrere per restare competitivi e crescere. Ed è una strada che deve essere centrata sulla valorizzazione dei dati, non solo quelli dei social network di cui troppi parlano, quanto di tutto ciò che viene prodotto nella relazione e nelle dinamiche che coinvolgono prodotti, processi, servizi, azienda e clienti.
Seconda: costruire ecosistemi digitali
La sfide poste dalla trasformazione digitale, dalla globalizzazione e in generale dallo sviluppo della società richiedono che le imprese ripensino in modo profondo il loro modo di essere e operare sul mercato. Ciò impone di rinnovare sia la propria offerta e il proprio posizionamento competitivo, sia le modalità secondo le quali l’azienda si organizza e opera al proprio interno e nel rapporto con altri attori esterni all’impresa stessa: clienti, fornitori, partner, istituzioni, pubblica opinione. In altre parole, una azienda moderna non è un monolite, quanto un insieme di parti che in modo organico e coordinato si muovono, operano e interagiscono sia all’interno dei perimetri aziendali classici, che nel rapporto con il “mondo esterno”.
In tutto ciò le tecnologie giocano un ruolo essenziale in quanto definiscono e realizzano il sistema nervoso e operativo che rende possibile la creazione di questi complessi ecosistemi digitali. Ancora una volta, si tratta non tanto e non solo di adottare qualche tecnologia innovativa, quanto di ripensare le dinamiche interne e esterne all’azienda coniugando tecnologie, processi, modelli di business, partnership & alleanze alla luce delle sfide poste dalla modernità.
Con il modello di business ad ecosistema, un’impresa può condividere in maniera regolamentata i propri asset, in particolare i propri dati, con altri attori sia privati che pubblici per sviluppare business sulla base del principio della coopetition: si collabora nella definizione di un insieme di regole e infrastrutture comuni e condivise, il cosiddetto «level playing field», e si compete (o comunque si opera in modo indipendente) nella realizzazione e offerta di servizi ai propri clienti. Le tecnologie digitali supportano il modello della coopetition perché consentono di creare l’infrastruttura alla base dello scambio dei dati e garantire il rispetto delle regole, abilitando la nascita di relazioni digitali e nuovi servizi per i clienti con estrema velocità.
Terza: sviluppare una cultura di impresa ai tempi del digitale
Le innovazioni tecnologiche, organizzative e di mercato stanno provocando una profonda trasformazione del mondo del lavoro e delle professioni. Interi settori economici sono stati profondamente sconvolti con impatti evidenti sul mercato del lavoro, sul profilo delle competenze richieste ai lavoratori, sul ruolo stesso di imprese e catene del valore. In alcuni casi si parla addirittura di “fine del lavoro” in quanto si ipotizza che per molte attività lavorative l’automazione renderà inutile l’intervento umano. Ancor più rilevante, intere catene del lavoro sono stravolte, ristrutturate, cancellate dall’avvento delle tecnologie.
In questo quadro, ovviamente le persone, i singoli e le stesse imprese devono mettere in campo azioni in grado di adeguare competenze e professionalità del personale. Obiettivo deve essere la digital employability, vista sia dal punto di vista del singolo che dell’impresa. È infatti interesse di entrambe la parti assicurarsi che le persone sviluppino competenze, skill, e attitudini che le rendano ricollocabili sia all’interno della stessa impresa che, eventualmente, in altri contesti lavorativi.
Ma il tema è ancora più generale e va ben oltre il tema classico della formazione. Non si tratta di dare una verniciata di digitale alle imprese esistenti, quanto di ripensare in modo profondo la cultura di impresa. Non è semplicemente un problema di sviluppo di una generica “cultura digitale”: dobbiamo sviluppare una cultura moderna per i tempi del digitale che coinvolga in primo luogo il top management e che permei di conseguenza tutte le dimensioni aziendali.
Tre sfide concrete
Si tratta di tre sfide difficili e al tempo stesso inevitabili, concrete e che richiedono risposte immediate. Nella nostra esperienza, nei diversi progetti che abbiamo seguito su questi ambiti, le imprese che hanno affrontato queste sfide sono partite da tre decisione chiave:
- Coinvolgere le strutture aziendali che raccolgono o generano dati (produzione, vendite, customer care, …), sfidandole a integrarli in maniera interfunzionale così da renderli actionable, cioè utili per prendere decisioni strategiche in tempo reale.
- Avviare iniziative di progettazione condivisa tra i diversi attori interni e esterni all’impresa così da identificare nuove modalità di interazione e nuovi modelli di business che sfruttino gli asset presenti nell’ecosistema.
- Coinvolgere la struttura HR e le unità di business nella definizione della nuova cultura e dei nuovi comportamenti necessari trasversalmente in tutte le strutture per restare al passo con l’innovazione digitale nei processi, sia quelli interni che quelli che coinvolgono i clienti. Su questa base si potranno impostare azioni di profondo coinvolgimento di tutte le persone, che vanno ben oltre la formazione.