Una stagione di grandi ritorni. Così si presenta il governo Draghi composto da volti non proprio nuovi, ma di sicure competenze nei propri ambiti di riferimento. Daniele Franco, Giancarlo Giorgetti, Vittorio Colao e Roberto Cingolani si trovano in prima linea per l’attuazione del piano #NextGenerationItalia e per continuare e migliorare quanto già programmato dal governo Conte II.
Ascoltando le prime parole in Parlamento del nuovo primo ministro, però, è richiesto uno sforzo collegiale di tutta la squadra esecutiva. Industria 4.0 e competitività devono essere supportate da riforme più ampie che coinvolgono anche la pubblica amministrazione e la giustizia, pertinenza dei ministri Renato Brunetta e Marta Cartabia. In poche parole, fare gioco di squadra. Ma è possibile in un governo tecnico-politico dove sono dentro quasi tutti e alcuni poco convinti?
Nuovo Governo e obiettivi 4.0
“Estendere alle PMI e rendere facilmente fruibile il piano nazionale della Transizione 4.0, per favorire e accompagnare le imprese nel processo di transizione tecnologica e di sostenibilità ambientale”.
Questo il passaggio più specifico della replica di Mario Draghi alle suggestioni emerse durante la maratona parlamentare in vista del primo voto di fiducia al nuovo esecutivo.
Le parole chiave: internazionalizzazione, accesso al credito e investimenti.
In particolare il primo ministro ha elencato una serie di misure molto generiche per poter portare avanti questi obiettivi tra le quali sostegno al processo di internazionalizzazione delle piccole e medie imprese, potenziamento del credito di imposta per gli investimenti e la ricerca e sviluppo nel Mezzogiorno e anche quello per le spese di consulenza relative alla quotazione delle piccole e medie imprese”.
Si ritrova quindi buona parte di quel piano Transizione 4.0 già impostato dal ministro Stefano Patuanelli (oggi trasferito al dicastero dell’agricoltura) e particolarmente apprezzato dalle imprese. Sembrerebbe lecito, dunque, aspettarsi continuità per quanto riguarda le misure fondamentali per l’innovazione, l’automazione e la digitalizzazione nel settore manifatturiero.
Molte di queste sono peraltro contenute anche nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) elaborato dal precedente governo.
Lo strumento principale rimarrà verosimilmente quello dei crediti d’imposta, già potenziati con la manovra finanziaria in discussione presso la Camera dei Deputati, i cui cardini principali sono fondamentalmente tre: beni materiali e immateriali, formazione 4.0 e R&S-innovazione-sostenibilità ambientale.
Il valore complessivo stimato per queste voci è, ad oggi, di circa 24 miliardi. Una cifra consistente nel complesso anche se bisogna considerare che verrà distribuita nell’arco di un triennio circa (fino al 31 giugno 2022) e che sarà molto sbilanciata per la parte di credito d’imposta sui beni materiali e immateriali (circa 20 miliardi).
Cosa resta da fare: giustizia, PA, infrastrutture
Tutto questo, però, non sembra sufficiente per quella svolta che in molti si aspettano dall’esecutivo di “quasi unità nazionale”. E il primo ministro Draghi sembra averne contezza visto che ha ribadito quanto raccomandato anche dalla Commissione Europea ossia che le riforme devono viaggiare in modo parallelo e coinvolgere anche la pubblica amministrazione e la giustizia, con particolare riferimento a quella civile. Sarebbe, poi, il caso di aggiungere anche una maggiore digitalizzazione della macchina burocratica in generale che ogni anno fa perdere 312 ore ogni anno alle imprese.
Sicuramente i ministri collocati nei ministeri chiave, con grande lungimiranza, sono consapevoli dei principali nodi che attanagliano la crescita e riducono la produttività italiane. Il ritorno di Colao fa presumere che le raccomandazioni elaborate nel suo famoso piano verranno potenziate o integrate con maggiore convinzione nel #NextGenerationItalia. In particolare per quanto riguarda la connettività e le infrastrutture digitali. Non è sufficiente, tuttavia, avere una squadra di persone competenti e specializzate nei settori di loro pertinenza.
Il problema più gravoso è e rimane il gap da colmare proprio nel digitale e negli investimenti infrastrutturali; in un paese dove il 13,9% dei Comuni italiani si è già detto contrario al 5G. Parlare di transizione 4.0, ricerca e competenze è obbligatorio, ma piuttosto sterile se non si parte costruendo dal basso. La prima raccomandazione che il governo Draghi dovrebbe raccogliere per il suo obiettivo primario – la gestione dei fondi europei – è proprio quella di potenziare le risorse dedicate alla banda ultralarga e alle reti di nuova generazione come il 5G per le quali sono oggi dedicati solamente 4,2 miliardi di euro nei prossimi anni.
Infratel: “Nuovi fondi BUL nel PNRR e nuove policy pubbliche: ecco che bisogna fare”
Rafforzare il dialogo pubblico-privato
Un altro punto fondamentale, in cui si spera che la presenza di un governo autorevole possa avere maggiore presa, è il rafforzamento del dialogo tra privato e pubblico all’insegna degli investimenti e delle politiche di ampio respiro. In questo senso non è sufficiente un’azione mirata ad agevolare semplicemente l’acquisizione di nuovi macchinari, software e installazioni come il piano Transizione 4.0.
Mancano le politiche per il trasferimento tecnologico e le attività di R&S dove l’Italia rimane molto indietro rispetto ai paesi industrializzati e la parte del collegamento tra educazione pubblica e formazione permanente all’interno delle aziende. La Fondazione ENEA Tech da questo punto di vista è un ottimo punto di partenza e potrebbe essere un’apripista fondamentale per estendere la pratica sul modello del Fraunhofer che però ha una mission ancora più estesa e coinvolge 75 istituti di ricerca con un budget di quasi 3 miliardi di euro.
Poco tempo per tutto
Il vero dubbio, però, sul governo Draghi rimane quello della risorsa più preziosa: il tempo. Non è ancora chiara la durata di questo esecutivo (un anno e mezzo al massimo e alcuni sostengono pochi mesi) né la capacità dei partiti al suo interno di procedere in modo compatto per portare a termine tutti gli impegni elencati.
Di sicuro verranno apportate modifiche al PNRR in modo che l’Unione Europea possa avere meno remore nella concessione degli ingenti prestiti poliennali. Ma è sufficiente questo poco tempo e un solo “dossier” per rimettere in piedi un paese zoppo e carente proprio nei fondamentali?