IL COMMENTO

I punti di forza del modello italiano di Industria 4.0

L’Italia con il Piano Industria 4.0 ha acquisito una leadership anche di metodo in tutta Europa per il mix fra incentivi fiscali, competenze, lavoro, ben vengano incentivi alla formazione, ragioniamo su nuove forme contrattuali

Pubblicato il 03 Ago 2017

Marco Taisch

Politecnico di Milano e World Manufacturing Forum Scientific Chairman

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Il Piano Nazionale Industria 4.0 e in generale degli sforzi messi in campo dall’Italia per affrontare la quarta rivoluzione industriale ci stanno consentendo di recuperare terreno rispetto ai ritardi accumulati fino all’anno scorso, tanto che oggi stiamo acquisendo una leadership anche di metodo in tutta Europa su questi temi. Infatti gli altri Paesi del Vecchio Continente ora guardano con molto interesse il mix di incentivi fiscali, Competence Center, Digital Innovation Hub. In sintesi, abbiamo un piano molto articolato e completo. Gli altri hanno lavorato solo su alcune dimensioni: i tedeschi sui competence center, i francesi sulla costruzione di Alliance Industrie du Futur, con un approccio verticale su alcuni settori. Adesso bisogna proseguire sul percorso tracciato, muovendosi su diverse direttrici: valorizzare gli investimenti che le imprese stanno facendo grazie agli incentivi formando le persone che usino i nuovi macchinari, quindi puntare su lavoro e competenze.
Non a caso, nell’ambito del report 2017 dell’Osservatorio su Industria 4.0 abbiamo messo a punto 100 nuove competenze da proporre alle imprese. Il sistema industriale italiano, bisogna dirlo, ha reagito in maniera più che decisa alle misure fiscali previste dal Piano. I dati ormai noti di associazioni imprenditoriali come Ucimu, o Federmacchine, sugli ordinativi sono molto confortanti, così come le revisioni al rialzo del pil 2017: secondo le stime di Confindustria, siamo passati da previsioni di crescita dello 0,8% all’1,2 – 1,3%. Tutti fattori molto positivi.
Ora da una parte bisogna consolidare queste esperienze, innanzitutto con l’attività dei Competence Center, il cui bando per l’assegnazione attendiamo a breve. E’ un pilastro che manca, ed è sicuramente molto importante proprio perché ha il ruolo di rendere nel lungo periodo sostenibile il Piano, anche lavorando sulle PMI. I Digital Innovation Hub invece stanno partendo, molte Regioni li hanno annunciati, e hanno iniziato a erogare i relativi servizi. Noi, come Politecnico di Milano, con Assolombarda faremo 25 assessment di maturità digitale delle imprese lombarde a partire dal prossimo mese di settembre. 
I capitoli competenze e lavoro sono strettamente legati, sono due facce della stessa medaglia. Dobbiamo lavorare su due livelli, partendo dalla considerazione che la rivoluzione 4.0 è molto più veloce delle altre del passato, quindi non possiamo limitarci a formare nuove risorse lasciando che gli attuali lavoratori vadano in pensione. E’ corretto preparare adeguatamente i giovani che entrano e si preparano ad entrare nel mondo del lavoro, ma anche coloro i quali sono già in azienda, fornendo le competenze che servono.
Ben vengano, quindi, nell’ambito del nuovo capitalo dedicato al Lavoro 4.0 in vista della prossima Legge di Stabilità, gli incentivi fiscali sulla formazione: un credito imposta sulla formazione di competenze 4.0, potrebbe essere la misura più indicata; sarebbe l’omologo dell’iperammortamento sugli investimenti in macchinari 4.0, e continuerebbe ad aiutare le imprese che hanno voglia di investire.
E’ poi necessario ragionare su nuove forme contrattuali, adeguate ai cambiamenti in corso nel mondo del lavoro. Non ho la soluzione, ma certamente alcuni lavori stanno cambiando: penso alla dematerializzazione del luogo fisico del lavoro, a nuove forme di organizzazione che vadano oltre lo smart working. Se, per esempio, posso comandare la macchina di un’impresa da un’altra impresa, divento responsabile di quello che succede in un’azienda che non è la mia. Un cambiamento che richiede legislazioni e regole contrattuali adeguate.
La nuova legge sullo smart working è sicuramente un passo avanti in questa direzione, ma rappresenta solo  un pezzo del mondo del lavoro 4.0. Non è applicabile facilmente alla fabbrica, o a realtà nuove del mondo dell’economia digitale, come Uber, Foodora. Ci sono dunque diversi aspetti ancora tutti da affrontare, su un tema particolarmente importante, che richiede riflessioni serie da parte del legislatore e delle parti sociali. 

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