INDUSTRIA 4.0

Il “cobot” nuova star della fabbrica smart, ecco i vantaggi

La robotica collaborativa rappresenta una nicchia nel mercato della robotica industriale. Ma destinata a crescere in fretta, anche fra le Pmi. Riduzione di costi e tempi dell’investimento in automazione, Roi più favorevole, accelerazione dell’apprendimento le opportunità chiave. Ma serve una forte spinta sulle competenze

Pubblicato il 17 Dic 2019

Paolo Rocco

Politecnico di Milano

robotica

Robotica collaborativa sempre più al centro delle tecnologie abilitanti della fabbrica intelligente. Si tratta dei nuovi robot specificatamente progettati per essere usati in presenza dell’uomo, senza necessità di barriere di protezione fisica. Un altro strumento per innovare in chiave digitale la produzione. Le tecnologie sono ormai disponibili: sta ora alle aziende cogliere queste opportunità per guadagnare vantaggio competitivo.

La discesa nel mercato della robotica collaborativa dei grandi player della robotica mondiale (ABB, Comau, Fanuc, Kawasaki, Kuka per citarne alcuni), a fianco dei produttori specificatamente orientati ai cobot (Universal Robots, Doosan, Franka Emika e altri) ha definitivamente acceso i riflettori degli analisti su questo nuovo mercato. I recentissimi dati di mercato forniti dall’International Federation of Robotics (IFR) per la prima volta quest’anno riportano statistiche, oltre che per la tradizionale robotica industriale e per la robotica di servizio, anche per la robotica collaborativa.

Le PMI che intendono almeno parzialmente automatizzare i propri processi produttivi sono attratte, o quantomeno incuriosite, da questi nuovi strumenti che promettono ridotti costi e tempi dell’investimento in automazione, ritorni di investimento più favorevoli e curve di apprendimento da parte del personale accelerate.

Ma l’acquisto e la messa in servizio del robot collaborativo sono di per sé sufficienti a compiere un vero salto di qualità nel processo produttivo? Ci sono altre opportunità da cogliere inserendo il robot collaborativo in una fabbrica altamente digitalizzata?

Robotica collaborativa, una nicchia in crescita

Secondo l’International Federation of Robotics, i dati di vendita a livello mondiale dei robot industriali nel 2018 hanno registrato una crescita meno impetuosa di quella degli anni precedenti: parliamo comunque di un +6% con un valore delle vendite attestatosi a 422.000 unità. Gli analisti prevedono per il 2019 un dato di vendita sostanzialmente uguale al 2018. Sembra quindi che dopo anni di crescita a doppia cifra, trainati soprattutto dalla Cina, il mercato della robotica industriale stia tirando un po’ il fiato.

In felice controtendenza è il mercato italiano, dove la crescita è stata del +11,5% (da 8.238 unità del 2017 a 9.237 del 2018: fonte SIRI, Società Italiana di Robotica Industriale). In effetti la densità di robot, calcolata come numero di robot installati ogni 10.000 lavoratori, ha raggiunto in Italia la cifra ragguardevole di 200 nel 2018, contro un valore di 190 nel 2017 e una media mondiale di 99 (con punte notevolissime come Singapore, 831, e Corea del Sud, 774).

In questo scenario la robotica collaborativa è ancora una nicchia: si calcola che i cobot venduti nel mondo nel 2018 siano stati circa 14.000, poco più del 3% del totale dei robot industriali. Se consideriamo però che nel 2017 il dato era di circa 11.000 cobot venduti, registriamo una crescita del mercato di circa il 25%. Il dato è coerente anche con le rilevazioni di SIRI, che stima in 480 i cobot venduti in Italia nel 2018, prevedendo tassi di crescita annuali del 50%.

Se quindi la robotica collaborativa è oggettivamente ancora marginale nel grande mercato della robotica industriale (il valore del mercato dei robot industriali a livello mondiale è stimato in 16.5 miliardi di dollari americani, cifra che aumenta a 50 miliardi se si considerano anche l’integrazione, le periferiche e il software), si tratta certamente di una nicchia destinata a espandersi sempre più.

Robotica, le ragioni del successo 

Ma perché la PMI dovrebbe acquistare un robot collaborativo? Abbiamo già accennato ai vantaggi, tutti connessi al superamento della barriera verso l’automazione da parte delle piccole o piccolissime realtà industriali: lo spazio fisico di installazione molto ridotto, l’assenza delle barriere di protezione e pur tuttavia la garanzia di operare in condizioni di sicurezza, le interfacce di programmazione semplificate. Sono tutte considerazioni che portano a una semplicità e rapidità nell’allestimento della stazione robotica francamente impensabili nel passato.

Stiamo quindi assistendo a una sorta di democratizzazione della robotica, non più appannaggio della sola grande industria, ma oggi anche della piccola e media e, in un futuro non troppo lontano, anche del cittadino per applicazioni non industriali. Aziende che hanno sempre fatto della produzione manuale la propria cifra distintiva, possono ora aprirsi all’automazione almeno di alcune fasi della produzione, raccogliendo i vantaggi della robotica in termini di precisione, affidabilità, assenza di errori, velocità di esecuzione.

Cobot, la sfida collaborativa

Dietro questo scenario di potenziale successo, si nasconde però anche il rischio di una perdita di opportunità. Sono piuttosto frequenti, quasi la norma di fatto, situazioni in cui il robot collaborativo viene ingaggiato nel processo produttivo per sostituire l’uomo in determinate operazioni, senza nessun tipo di effettiva collaborazione con gli operatori. In questi casi non c’è differenza concettuale rispetto all’approccio tradizionale della robotica industriale, ma solo una semplificazione degli aspetti di installazione. Le caratteristiche intrinseche di sicurezza del cobot aiutano molto in questo, ma non di rado si vedono cobot che, per maggiore sicurezza, vengono addirittura protetti da barriere (tipicamente in vetro). Si realizza quindi una pacifica convivenza tra uomo e robot, ma l’obiettivo della robotica umano-centrica sembra ancora lontano.

Siamo certamente ancora agli inizi di un nuovo paradigma produttivo, ma ormai i tempi sono maturi per cominciare a pensare con maggiore sistematicità al cobot nella sua più genuina valenza di oggetto collaborativo. Si dice spesso, in ambienti industriali, che mancano le “applicazioni” collaborative, ossia degli scenari replicabili e industrialmente rilevanti di utilizzo del robot collaborativo. Se abbiamo il robot per la saldatura, il robot per la verniciatura, il robot per il carico-scarico, il robot per la pallettizzazione e così via, non potremmo avere il cobot per l’applicazione x o y?

Allo stato attuale si può tentare di delineare due categorie di applicazioni rilevanti: il robot collaborativo assistente e il robot collaborativo da assemblaggio intelligente.

Il cobot, un assistente dell’uomo

Come è noto, i disturbi dell’apparato muscolo-scheletrico rappresentano uno dei problemi di salute legati alle attività lavorative più rilevanti nei paesi sviluppati, riguardando circa il 50% dei lavoratori nel settore industriale (fonte: Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro). I costi sociali di questi disturbi sono elevatissimi e ogni soluzione tecnologica che possa attenuare il problema costituisce un avanzamento di estrema rilevanza.

I disturbi nascono da sollecitazioni di natura bio-meccanica, derivanti per esempio dal sollevamento di carichi pesanti o dall’assunzione di posture scorrette. Naturalmente sono già da tempo in uso sistemi che alleviano lo sforzo dell’operatore nel sollevamento di oggetti di peso superiore a determinate soglie. Tuttavia vi sono una miriade di micro-operazioni in processi troppo complicati per poter essere completamente automatizzati, in cui il fisico dell’operatore è soggetto a ripetute sollecitazioni, alla lunga potenzialmente dannose.

Pensiamo all’uso ripetuto di avvitatori, al sollevamento di oggetti che, pur non richiedendo in base alle normative vigenti l’ausilio di un sollevatore meccanico, dà luogo ad affaticamento dell’apparato muscolo-scheletrico, o all’assunzione di posture scorrette nel processo di verniciatura di oggetti di grandi dimensioni. In queste operazioni il robot collaborativo può efficacemente costituire un ausilio per l’uomo, reggendo l’avvitatore durante l’uso da parte dell’uomo, sollevando i pezzi, monitorando l’operato del verniciatore in modo tale da collocare l’oggetto da verniciare in posizioni che favoriscano l’ergonomia dell’operazione.

In tutte queste applicazioni è di fondamentale importanza la capacità del robot collaborativo di gestire le eventuali collisioni con l’uomo, limitandone gli effetti e arrestando il robot nel caso esse vengano rilevate. Inoltre, in particolare nelle applicazioni destinate a migliorare l’ergonomia nell’esecuzione del compito, è utile poter interfacciare il robot con sistemi di visione artificiale che siano in grado di riconoscere la postura dell’operatore e comunicarla al controllore del robot.

Se quindi oggi abbiamo il robot industriale per la verniciatura automatizzata, domani potremmo avere a catalogo il cobot per la verniciatura collaborativa.

I nuovi scenari aperti dal robot collaborativo

Nei processi produttivi, gli assemblaggi di parti meccaniche sono onnipresenti. Oggi è ancora prevalente l’adozione di assemblaggi manuali, realizzati internamente dall’azienda produttrice o affidati a terzisti. I vantaggi in termini di produttività nel passaggio a  sono indubbi, tuttavia sono rari e tipicamente confinati alla grande industria i casi in cui la produzione si possa totalmente automatizzare.

La disponibilità del robot collaborativo, in grado di eseguire operazioni di assemblaggio di componentistica elettronica o meccanica, apre nuovi scenari: l’operazione di assemblaggio può essere segmentata in azioni atomiche che possono essere eseguite dall’uomo e altre che possono essere eseguite dal robot. Il criterio di ripartizione può essere o sostanzialmente casuale oppure orientato a sfruttare al meglio le caratteristiche peculiari di uomo e robot: al robot possono essere affidate azioni altamente ripetitive e a basso valore aggiunto, da eseguire in grandi quantità con elevate precisioni; all’uomo operazioni che richiedano applicazione delle superiori capacità cognitive e manipolative possedute dall’uomo (si pensi alla manipolazione di oggetti deformabili).

Se tuttavia la cifra di merito complessiva del sistema è costituita dal tempo di produzione, un’assegnazione statica e prestabilita dei compiti ai diversi agenti potrebbe essere sub ottimale. Si tenga presente che i moderni sistemi di produzione in chiave Industria 4.0 oggi fanno già uso di sofisticati sistemi di schedulazione delle azioni tra le varie macchine presenti nell’impianto, simulando (grazie alla controparte digitale della macchina, il cosiddetto “gemello digitale”) gli effetti delle diverse allocazioni di risorse e cambiando dinamicamente tale allocazione sulla base delle esigenze della produzione, a sua volta guidata da richieste di sempre maggiore flessibilità, dovute alla personalizzazione spinta del prodotto.

Il cobot, un “agente intelligente”

Riportando la discussione sul terreno delle applicazioni di robotica collaborativa, l’adozione di sequenze prefissate di operazioni in capo all’uomo o al robot è certamente evolutiva rispetto agli assemblaggi completamente manuali o completamente automatizzati, ma rischia di portare a inefficienze, a causa della modesta controllabilità e predicibilità dell’operatore umano. Quando l’uomo eseguirà una certa azione, come la eseguirà, quale sarà l’esatta sequenza di azioni che intraprenderà, sono questioni difficilmente prevedibili a priori. Il rischio è che, pre-pianificando tutto il ciclo produttivo, non ci si allontani molto dal modello prima evocato del robot che, sia pure collaborativo, lavora in pacifica convivenza ma sostanziale indifferenza con l’uomo.

Oggi tuttavia le armi a disposizione per migliorare questo scenario sono molteplici: strumenti di visione avanzata possono essere facilmente interfacciati al controllore robotico, metodi di intelligenza artificiale (machine learning) possono essere applicati alle sequenze visive per interpretare l’azione correntemente eseguita dall’uomo, per stimarne il tempo di completamento e anche per prevedere le successive azioni che l’uomo intraprenderà, gli strumenti di calcolo in cloud consentono di fare grandi quantità di conti in tempi compatibili con applicazioni da gestire online, le connessioni IOT in 5G promettono di abbattere i tempi di connessione e le limitazioni di banda.

In questo scenario tecnologicamente evoluto, non è impossibile pensare al robot collaborativo come a un agente intelligente, in grado di comprendere il comportamento dell’uomo e di adattarsi ad esso. I modi in cui il robot può farlo sono molteplici: dato l’insieme delle azioni pre-assegnate al robot, il robot intelligente può decidere autonomamente la loro sequenza di esecuzione (naturalmente in modo compatibile con il processo produttivo in essere) o ritardare l’inizio di un’operazione autonoma se in quel momento risulta prioritaria un’azione di tipo realmente collaborativo (cioè in cui vi sia necessità di sincronizzazione tra uomo e robot). Ecco quindi che si delinea la figura del robot collaborativo “a misura d’uomo”, in grado di adattarsi alle diverse specificità degli operatori con cui si trova a operare: un compagno efficiente ma anche per certi versi comprensivo.

È uno scenario futuristico? Tutt’altro, come dimostrano i progetti in stadio avanzato condotti al laboratorio MERLIN del Politecnico di Milano. Sull’affermazione di questi concetti, che ruotano tutti intorno all’essenza della digitalizzazione della produzione, si giocherà negli anni futuri un’importante partita per il rinnovamento delle linee di assemblaggio.

Verso un uomo digitalizzato e potenziato

La piena applicazione del principio della robotica collaborativa intelligente comporta quindi la generazione di un gemello digitale anche dell’uomo. L’uomo diventa anch’egli un sistema cyber-fisico, con un contraltare digitale che raccoglie informazioni sul suo movimento, sul suo comportamento, sulle azioni che sta compiendo e sull’intenzione di compiere azioni future. L’uomo può essere monitorato digitalmente anche con riferimento a criteri ergonomici, verificando che le posture adottate siano più o meno corrette. L’uomo quindi ritorna prepotentemente al centro del processo produttivo, da ospite tutto sommato indesiderato in cui era diventato in certe linee ad alta automazione.

L’immersione dell’operatore umano nel mondo digitale tuttavia non si esaurisce nella sua mutazione in agente cyber-fisico. La tecnologia può aiutare l’uomo ad eseguire meglio le proprie operazioni anche in altri modi: pensiamo ai sistemi che guidano l’operatore nelle operazioni di kitting (preparazione di un insieme di componenti, o kit, per successive fasi della produzione) fornendo input visuali con proiettori o altro sui pezzi che via via devono essere presi. Oppure ai sistemi di realtà aumentata che, in operazioni complesse di assemblaggio o di manutenzione di macchinari, sovrappongono alla visuale dell’operatore istruzioni per effettuare correttamente il montaggio, eventualmente fornendo all’operatore stesso segnali di feedback circa l’esecuzione corretta o meno dell’operazione. O ancora a sistemi sempre di realtà aumentata che consentono una programmazione ancora più semplificata del robot.

Le prospettive sull’uso della tecnologia dei dispositivi indossabili in ambiente produttivo sono enormi e variegate. Certamente la loro adozione va armonizzata con la sensibilità dell’operatore e la tutela imprescindibile delle informazioni personali. Tuttavia se questi strumenti consentiranno di aumentare la produttività e anche le stesse condizioni in cui l’operatore esegue i propri compiti, la previsione è che si assisterà a una crescita generalizzata nel loro utilizzo. Anche in questo caso un’opportunità importante offerta dalla digitalizzazione della produzione, che le imprese più avvedute dovranno cogliere.

Robotica, ecco le competenze necessarie

Abbiamo tratteggiato il quadro di un’azienda fortemente votata alla digitalizzazione, con processi automatizzati o parzialmente automatizzati e inclusione di un operatore umano digitalizzato e potenziato nel nuovo ciclo produttivo. Ma siamo in grado di gestire queste innovazioni? Abbiamo in azienda le competenze per farlo? Sul tema delle competenze per l’Industria 4.0 si parla molto e non ripercorreremo in questa sede quanto già dibattuto in autorevoli consessi (da ultimo il recente World Manufacturing Forum). Limitandosi a quanto qui discusso, serviranno sempre più competenze di robotica (che cos’è un robot, perché si muove in un certo modo, che cosa gli si può far fare, come si programma, come si concepisce una stazione robotizzata), di automazione industriale, di visione artificiale, di gestione della sicurezza. Travalicando poi il campo della robotica, occorreranno competenze di machine learning, internet of things, big data.

Queste competenze andranno formate a tutti i livelli, dalla scuola, ai nuovi ITS, ai percorsi universitari. Le aziende potranno poi aggiornare le proprie competenze interne appoggiandosi ai nuovi servizi messi a disposizione dai vari attori della formazione. Tra questi, particolarmente pregiato sarà il ruolo dei Centri di Competenza Industria 4.0 recentemente istituiti. Non a caso il Competence Center MADE con sede a Milano prevede tra i propri use case (ovvero esemplificazioni delle tecnologie abilitanti del paradigma del digital manufacturing) uno use case sulla robotica collaborativa e uno sui sistemi intelligenti di assistenza operatore. Il Competence Center metterà a disposizione attrezzature e fornirà servizi di orientamento alle tecnologie 4.0, formazione e gestione di progetti di innovazione proposti dalle aziende.

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