La strada italiana per il contratto 4.0 passa attraverso una sorta di decentralizzazione della contrattazione, con la valorizzazione di quella territoriale e aziendale, ma al momento non va molto lontano: i nuovi modelli organizzativi dell’Industria 4.0 evolvono più velocemente delle regole, che al momento non riescono a rispondere adeguatamente.
E’ proprio questa velocità di cambiamento, insieme alle altre nuove caratteristiche della produzione, a suggerire la valorizzazione della contrattazione decentrata, che risponde meglio ai bisogni di un mercati frammentato, secondo alcuni esperti e addetti ai lavori.
«Il contratto nazionale regolamenta il mercato con le regole generali, e questo significa che si va verso uno snellimento del contratto nazionale, con uno spostamento della contrattazione a livello locale – spiega Massimo Bonini, segretario generale della Camera del Lavoro di Milano -. Ad esempio, c’è il tema degli inquadramenti, che è ormai basato su un sistema obsoleto, e potrebbe essere spostato a livello decentrato».
Simile considerazione da parte di Alessandro Dal Punta, giuslavorista dell’università di Firenze, secondo il quale «i criteri di inquadramento previsti dai contratti collettivi pensano a una realtà ormai superata. Presupponevano figure statiche, ruoli più esecutivi, mentre i nuovi modelli organizzativi richiedono altre competenze, come l’autonomia, il lavoro in team». In generale, c’è un’evoluzione reale del mondo del lavoro che le regole ancora ignorano».
Come cambiano le qualifiche
Al tema del Diritto per il Lavoro 4.0 Dal Punta dedica anche un capitolo del volume appena uscito di Florence University Press su “La Quarta Rivoluzione Industriale e la trasformazione delle attività lavorative”. Nel quale espone i dubbi relativi alla validità dei sistemi di classificazione professionale dei lavoratori, previsti dalla contrattazione, che non riescono più ad aderire alla realtà delle nuove figure professionali. C’è un cambiamento in atto nelle imprese, soprattutto se tecnologiche, che «sono sempre più flessibili e richiedono un’elevata polivalenza e fungibilità di compiti, per cui il tentativo di frapporre ostacoli normativi a questo fisiologico dinamismo sarebbe sbagliato e antieconomico».
Un esempio concreto di contratto 4.0 potrebbe essere rappresentato dai metalmeccanici tedeschi, che hanno una settimana di 28 ore e in generale una flessibilità di orario altamente potenziata, anche”su misura”, ovvero in funzione delle esigenze di conciliazione vita-lavoro del dipendente. «Il tema dell’orario di lavoro è utile come è stato posto in Germania – segnala Bonini -. anche perché, come si vede dai dati sull’occupazione, siamo a livelli pre-crisi, ma non per le ore lavorate complessivamente. Questo è un grande interrogativo».
E’ vero, ammette il segretario generale della Camera del Lavoro di Milano, che in tema di contratto 4.0 e rapporto digitalizzazione/occupazione «siamo un po’ in ritardo. Avrei preferito che la triangolazione fra politica, imprese, sindacati si fosse riunita intorno a un tavolo per stabilire una traiettoria da qui ai prossimi anni, anche con le intelligenze del paese, per affrontare adeguatamente il tema».
Digitalizzazione e occupazione
Ci sono due fotografie diverse di questo rapporto, sottolinea Dal Punta: «una positiva, di sviluppo in meglio dell’industria, e anche di valorizzazione del lavoro, sperando che non venga sostituito troppo dalle macchine, oppure di creazione di nuovi lavori e nuove professioni». E’ quella di Industria 4.0, della digitalizzazione della produzione e dei servizi e dell’impatto su quantità e qualità dell’occupazione. «E poi c’è un immagine molto diversa, quella dei lavoretti della gig economy, su cui invece bisogna ancora trovare formule adeguate». Si tratta di un tema che ha rappresentato uno dei primi impegni del nuovo Governo, con il tavolo del ministero Di Maio al Lavoro con i rappresentanti del settore. E con la “carta del valori”, una sorta di contratto di categoria firmato da quattro aziende big del settore, che fissa una serie di principi: i rider hanno contratti di collaborazione coordinata e continuativa, con copertura assicurativa, diritto a compenso equo, sicurezza dei mezzi, nessun algoritmo reputazionale o ranking.
Tecnologie e controllo dipendenti
Interessante, quest’ultima annotazione, perché mette in luce un secondo grande sottotema, al fianco di quello sulla natura che cambia del lavoro dipendente, ovvero l’impatto delle tecnologie. Qui ci sono già anche le normative di riferimento, il Jobs Act ha stabilito quali sono i confini del controllo dipendenti. Ma l’ingresso degli algoritmi in fabbrica è già una realtà, sono affidati ai programmi informatici i turni di lavoro e altre funzionalità. Tanto che alla contrattazione sll’algoritmo dedica un capitolo il Programma per il Progetto Lavoro 4.0 della Cgil: «la diffusione dell’intelligenza artificiale sta portando sempre più gli algoritmi a modificarsi autonomamente, sulla base degli obiettivi programmati. Per questo è sempre più urgente conoscere e contrattare i principi di base del software impiegato. L’algoritmo va verificato e modificato sulla base di un equilibrio tra necessità dell’impresa e diritti del lavoro. Esattamente come si è fatto nei confronti della tecnologia fordista e dell’organizzazione del lavoro taylorista rispetto alle presunte oggettività del sistema “Tempi e Metodi”. L’introduzione dell’algoritmo impone nuovi diritti di informazione e nuove capacità contrattuali».
Formazione
Flessibilità e orari sono temi che devono entrare nella contrattazione a tutti i livelli. L’importate è che sia «la contrattazione collettiva, che in Italia è una risorsa importante, a governare tutto», sottolinea anche Dal Punta. E torniamo alla via italiana al Contratto 4.0.
Sul potenziamento della contrattazione di secondo livello sono tradizionalmente d’accordo tutti e tre i sindacati confederali, e il tema è anche a centro del patto per la Fabbrica firmato con Confindustria. Anche la formazione 4.0 è un tema che sta diventando contrattuale, sia per l’inserimento del diritto in alcuni contratti nazionali, come quello dei metalmeccanici, sia per il Piano Industria 4.0, che incentiva la formazione con un credito d’imposta, ma rende necessari contratti territoriali o aziendali fra imprese e sindacati. E qui, secondo Bonini, la strada è proprio tutta in salita.
«A Milano siamo impegnati con Assolombarda e Confindustria per avviare il confronto territoriale», proprio in virtù dell’adempimento previsto dalla legge di Bilancio. Ma, ammette Bonini, «nelle aziende questo della formazione è sempre stato un tema scarso di confronto. Auspico che ora l’atteggiamento sia più partecipativo, in modo tale che lavoratori e imprese collaborino maggiormente».
In generale, il capitolo formazione è importante, perché definisce l’esigenza di aggiornare costantemente il personale, evitando fra l’altro l’obsolescenza di competenze legata alla digitalizzazione, con i riflessi negativi che potrebbe avere sull’occupazione generale.