lo studio BCG

Il digitale per aziende “bioniche”: i quattro fattori chiave per creare valore

Investire in tecnologia, dati e competenze digitali; porre l’AI al centro della trasformazione; creare una governance e adottare il Platform Model; integrare tecnologia e competenze umane. Sono i quattro acceleratori che facilitano l’evoluzione delle aziende in “bioniche” e il posizionamento sul mercato post-pandemia

Pubblicato il 28 Dic 2021

Alessandro Spotorno

Managing Director & Partner, Boston Consulting Group (BCG)

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La crisi ha sottolineato l’importanza per le aziende di intraprendere un percorso di trasformazione digitale. Nello scenario post-pandemico che va configurandosi, infatti, le imprese non potranno permettersi di tornare al “business as usual”, sottovalutando la componente digitale.

Il loro posizionamento nel mercato dipenderà in gran parte dalla loro capacità di massimizzare e di sfruttare a pieno il valore della trasformazione digitale.

In questo contesto, vedremo quali sono i quattro acceleratori che rappresentano un valido strumento per facilitare questa trasformazione e supportare l’evoluzione delle aziende in aziende “bioniche”.

Aziende più digitali, ma ecco i problemi irrisolti: la ricerca

Le aziende più mature dal punto di vista digitale e quelle che lo sono diventate

Le aziende più mature dal punto di vista digitale si distinguono per la loro capacità di creare valore anche e soprattutto durante i momenti di crisi, dove adattabilità, flessibilità e agilità in risposta allo “shock” possono generare un vantaggio competitivo sia di breve che di medio/ lungo periodo.

In effetti, si è osservato dalla seconda metà del 2020 un incremento diffuso delle valutazioni di mercato delle aziende che, grazie ad importanti investimenti e percorsi di trasformazione pre-Covid, hanno oggi un livello di maturità digitale superiore alla media. Vale anche il contrario, nello stesso periodo, invece, le aziende meno mature hanno perso terreno ed il gap è destinato ad aumentare.

È quanto emerge dallo studio BCG Digital Acceleration Index (DAI), un “self assessment” di maturità digitale che BCG ha esteso a 2.300 aziende in dieci settori merceologici e con il quale i partecipanti possono dare un voto a svariate dimensioni, come ad es. la presenza di una vision digital consolidata, il livello di maturità delle tecnologie e delle competenze più innovative in azienda, nonché il livello di conoscenza ed utilizzo di metodologie di lavoro quali Agile e DevOps.

Le performance delle aziende che hanno raggiunto una maturità digitale avanzata superano quelle dei competitor meno evoluti su diversi fronti, tra cui i più importanti sono la crescita dei ricavi, controllo dei costi, capacità di innovare (riduzione di Time to Market – TtM per il lancio di nuovi prodotti servizi) e, in ultima analisi, l’enterprise value. Le aziende più virtuose sono quelle che BCG definisce “bioniche”, cioè organizzazioni che riescono a “fondere” tecnologia e fattore umano per innovare il business e operating model, sviluppare nuovi prodotti e servizi, migliorare la customer experience (CEx) e aumentare l’efficienza delle proprie operations.

Da un punto di vista settoriale, le istituzioni finanziarie, le aziende tecnologiche e quelle di telecomunicazioni sono quelle che mostrano mediamente una maggiore maturità digitale, forse perché trattandosi di settori maggiormente a maggior tasso di tecnologia di altri, progetti di trasformazione digitale sono in portafoglio ormai da anni e, quindi, il digitale è nativamente nella cultura aziendale. Tuttavia, è interessante notare come settori storicamente meno maturi abbiamo “sfruttato” la particolare congiuntura per accelerare il proprio sviluppo digitale. In particolare, il recupero è avvenuto nei beni di consumo, nella vendita al dettaglio e nell’assistenza sanitaria.

Le vendite online del settore alimentare sono infatti triplicate durante la pandemia, spingendo i settori dei beni di consumo e della vendita al dettaglio ad investire fortemente in canali e-commerce per irrobustire la propria capacità di rispondere alla domanda crescente. Al contempo, gli operatori sanitari hanno usato i dati dei pazienti per ottimizzare i processi e il servizio, con l’obiettivo di digitalizzare interamente l’esperienza end-to-end dei pazienti.

I quattro acceleratori

Per chi vuole valutare il proprio grado di maturità e vuole misurarsi con chi è già oggi digital leader, è rilevante valutare il livello di maturità di quattro dimensioni chiave, quattro acceleratori che caratterizzando le aziende maggiormente “bioniche”.

Investire in tecnologia, dati e competenze digitali

Le aziende bioniche riescono ad essere leader nel digitale grazie ad investimenti in tecnologia, dati e capitale umano superiori alla media e indirizzati in maniera più efficace.

È il primo fondamentale punto che emerge dalle nostre riflessioni. Tre aziende bioniche su quattro dedicano circa il 15% degli investimenti alle iniziative digitali. Parte del budget è speso per aumentare la qualità e l’accessibilità dei dati, che in un terzo dei casi confluiscono in una enterprise data platform, Inoltre, nel 36% delle aziende bioniche più del 25% delle applicazioni sono integrate tramite API sia verso l’interno sia verso terze parti per scambiare dati in modo veloce e sicuro.

Contemporaneamente le aziende bioniche investono nel capitale umano, creando ruoli ad hoc dedicati alla digitalizzazione (spesso oltre un quinto della forza lavoro). E questa tendenza è in forte accelerazione, infatti le aziende leader prevedono di aumentare sempre di più la proporzione di competenze digitali tramite hiring e piani di re-skilling

Ad esempio, un tipico paradigma che riscontriamo in aziende virtuose è investire in tecnologia e capitale umano per perfezionare il servizio clienti e, in un’ultima analisi, migliorare la CEx in un contesto dove l’omnicanalità è sempre più dominante. Questo approccio aiuta a prevedere meglio le richieste dei clienti, a riorganizzare i team in base ai picchi di domanda e a gestione meglio il piano di assunzioni a medio e lungo termine. Parallelamente, notiamo programmi di formazione per migliorare le competenze digitali dei propri dipendenti ma anche per “insegnare” ed inculcare il concetto di CEx e renderlo concreto su base quotidiana.

Porre l’AI al centro della trasformazione digitale

Per diventare effettivamente “bioniche”, le aziende incrementano gli investimenti in AI e dati, fattori centrali nella loro strategia. A differenza dei “ritardatari digitali”, che trattano l’AI come una soluzione tecnologica a sé stante, il 60% delle aziende bioniche ha infatti posto l’AI al centro delle iniziative di trasformazione digitale.

La formazione dei dipendenti nell’AI è in assoluto il fattore da cui le aziende bioniche traggono i maggiori benefici. I dati infatti dimostrano che nel 2021 più di metà delle aziende analizzate ha puntato a rafforzare le competenze in AI e machine learning di un quinto della propria forza lavoro.

La nostra esperienza ci insegna che l’AI può indirizzare molteplici esigenze e aiutare a trasformare settori “tradizionali” per definizione. Abbiamo infatti notato che anche alcuni player particolarmente virtuosi del settore estrattivo usano modelli basati su machine learning per gestire il processo di estrazione (dalla fase di esplorazione alla produzione). Se è vero che per accelerare su AI servono profili e competenze che, se non presenti, nella maggior parte dei casi vanno assunti dall’esterno, è altrettanto vero che è importante investire in formazione e training per massimizzare l’adozione di questi strumenti e per abilitare tutti gli utenti a trarre il massimo beneficio dall’AI.

Creare una governance e adottare il Platform Model

Per stabilire una governance efficace, le aziende bioniche creano figure dedicate alle iniziative digitali, quali l’“head of digital” e il “chief data officer” che, insieme al CEO, diventano responsabili dell’intera strategia digitale dell’azienda.

In queste organizzazioni, i responsabili delle varie business unit lavorano a stretto contatto con la funzione tecnologica e sono responsabili delle iniziative digitali. Al contrario, i “ritardatari digitali” si basano principalmente su un approccio dove la strategia digitale viene definita centralmente, lasciando ai leader delle business unit ben poca autorità decisionale.

Una caratteristica che contraddistingue le aziende bioniche è inoltre l’uso del “platform model” per disegnare ed implementare prodotti e servizi digitali. Tramite tale paradigma, team interfunzionali collaborano in completa autonomia e responsabilità al raggiungimento degli obiettivi prefissati e creano processi, prodotti e servizi “end to end”, rompendo i silos organizzativi.

Circa il 20% delle aziende bioniche usa un “platform model”, mentre il 60% predilige ancora un modello ibrido (dove esistono sia team organizzati secondo il concetto di “platform model” sia team organizzati nel modello tradizionale/ a silos).

Nel caso dei “ritardatari digitali” il paradigma prevalente è ancora il silos, con una forte guida da parte delle BU.

Su questo fronte, le industrie più digitalmente mature, come le istituzioni finanziarie e il settore tech, si sono evolute più velocemente, mentre il settore pubblico e le aziende energetiche sono rimaste indietro.

Integrare tecnologia e competenze umane

Per diventare un’azienda bionica, è necessario creare una cultura dove la tecnologia sia sistematicamente integrata nelle routine di lavoro dei dipendenti. Quando questo processo diventa automatico, l’azienda può dire di aver sviluppato la cosiddetta human-tech augmentation (HTA).

La HTA è composta da tre fasi: lavoro manuale, automazione e ottimizzazione. Consideriamo la gestione del magazzino di un’azienda come esempio. Nella prima fase, i dipendenti gestiscono il magazzino, prelevano, imballano i prodotti e smistano i pacchi per la spedizione. Nella seconda fase, i dipendenti gestiscono il magazzino, ma i robot automatizzano le attività di prelievo, imballaggio e smistamento dei pacchi. Nella terza fase, i dipendenti gestiscono ancora il magazzino, ma i robot supplementano il loro processo decisionale, aiutandoli nell’ottimizzazione dei processi. Grazie all’utilizzo della tecnologia, le aziende nella terza fase riescono ad immagazzinare il 40% di stock in più rispetto a quelle rimaste alla prima fase.

In quanto all’adozione dell’approccio HTA, anche in questo caso le aziende bioniche superano i ritardatari digitali. Il 72% delle aziende bioniche si colloca nella seconda o terza fase, mentre solo il 9% dei ritardatari digitali ha superato la prima fase. L’impatto finanziario di tale fenomeno è significativo. Infatti, le aziende nella terza fase dell’HTA hanno più probabilità di far crescere le entrate del 10%; inoltre, metà delle aziende giunte alla terza fase ha automatizzato il 25% dei processi che vedono coinvolti i clienti, una percentuale tre volte più alta rispetto a quella registrata nelle aziende ferme alla prima fase.

L’automatizzazione dei processi e attività tramite la tecnologia consente ai dipendenti di dedicare più tempo ad attività a maggior valore aggiunto come la progettazione e l’innovazione strategica, specialmente nelle aziende collocate negli stadi più avanzati dell’HTA. A dimostrazione di ciò, due terzi delle aziende nella terza fase dell’HTA dedicano più del 15% della forza lavoro totale alle attività di progettazione e sviluppo, mentre solo il 37% delle aziende nella prima fase può fare lo stesso.

Il percorso in 3 step per valutare la propria maturità digitale

Il percorso di trasformazione digitale è unico per ogni azienda, ma vi sono alcuni passaggi fondamentali da tenere in considerazione:

Determinare a che punto è l’organizzazione nella sua trasformazione digitale, valutando lo stato di maturità delle competenze digitali e delle iniziative digitale ed esaminando gli obiettivi a lungo termine.

Valutare le opportunità legate all’applicazione dei quattro acceleratori e come questi possano contribuire al percorso dell’azienda.

Avviare progetti pilota e stabilire una roadmap per accelerare la trasformazione digitale e facilitare il raggiungimento degli obiettivi desiderati.

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