Smart working, crollano alcune illusioni dell’era covid.
Durante la pandemia diverse opinioni, supportate da studi sul campo, disegnavano un futuro roseo per lo smart working: non solo esso rappresentava una soluzione per poter continuare a lavorare durante i lockdown, ma sembrava offrire nuove possibilità di riduzione dei costi per le imprese e di trasporto per i lavoratori, creando opportunità per una gestione più flessibile del rapporto di lavoro.
La ricerca sull’impatto dell’allargamento del lavoro da remoto durante la pandemia aveva dimostrato che il divario di produttività rispetto a quello in presenza si era ridotto: rimaneva uno svantaggio per il lavoro da remoto e non era connesso alle distrazioni determinate da impegni familiari, come l’accudimento dei figli. L’andamento era lo stesso sia per le famiglie con figli sia per le famiglie senza figli[1].
Figura 1. Differenza di produttività tra lavoratori in presenza e on line. Chiamate per ora.
Smart working totale è poco produttivo: nuove evidenze
La figura dimostra come durante la pandemia il differenziale di produttività a favore del lavoro in presenza si sia assottigliato, confermando le aspettative di chi ritiene che il lavoro smart possa sostituire quello in presenza per effetto di una di una sua diffusione e di un suo consolidamento la di là del periodo della pandemia.
Ma l’approfondimento successivo della ricerca ha tolto alcune di queste illusioni. Non solo la quantità delle risposte non è migliorata dopo la pandemia, ma tra i lavoratori online è risultata penalizzata anche la qualità.
Nell’ambiente di lavoro condiviso i lavoratori meno preparati traggono benefici dalla prossimità e dal rapporto con quelli più preparati o esperti. C’è meno mentoring e minore assimilazione della cultura aziendale, ma anche meno scambio di idee e quindi possibilità di innovazione.
Nel caso della ricerca citata, le loro risposte possono migliorare in un confronto diretto con i colleghi sul posto di lavoro. La lontananza dal posto di lavoro comune, dal contatto con i colleghi più bravi o più anziani, quando si entra nel lavoro a distanza, comporta un deterioramento delle possibilità di carriera: uno degli elementi costitutivi del training on the job, ossia l’imitazione degli altri, viene a mancare.
Produttività del lavoro
Prima della pandemia, i lavoratori che sceglievano il lavoro in remoto, dimostravano di avere una produttività inferiore ai colleghi in presenza. Quando tutti hanno dovuto lavorare in presenza, il differenziale di produttività è rimasto: segno che erano i lavoratori meno preparati e meno produttivi quelli che sceglievano il lavoro in remoto.
Le differenze nella produttività individuale, specie nei lavori a più bassa qualificazione che costituiscono la porta d’ingresso in azienda, sono difficili da verificare, soprattutto se il rapporto di lavoro viene avviato on line da subito. Per questo motivo le aziende sono riluttanti ad offrire posti di lavoro in remoto: temono di assumere persone con più bassa produttività della media. Dalla ricerca risulta che le aziende offrono un 25% di lavoro on line in meno di quanto potrebbero se non avessero preoccupazioni sulla produttività dei nuovi assunti[2].
Innovazione e fattore umano
Uno degli aspetti critici più importanti emersi dalla ricerca è che i lavoratori in remoto hanno minori probabilità di svolgere incontri diretti con i superiori e ciò, insieme alla più bassa produttività, rallenta la loro crescita di carriera, come si vede dalla figura 5[3]. Questo effetto riguarda soprattutto le grandi imprese. Nelle piccole imprese il rapporto diretto tra i lavoratori e con il management è ancora centrale, ed è essenziale al fine dell’innovazione.
Figura 2. Percentuale di promozioni prima della pandemia
Dopo la pandemia sono cambiate le cose. Da un lato, i lavoratori hanno capito che le probabilità di carriera sono peggiori nel lavoro a distanza: per chi intende percorrere un sentiero di crescita professionale la scelta del lavoro in presenza diviene altamente consigliata. Dall’altro, le imprese ricorreranno all’intelligenza artificiale per raggiungere livelli di produttività più elevati anche nel lavoro in remoto. Nonostante gli annunci sulla possibilità che l’intelligenza artificiale possa trovare applicazione in ogni settore, rimane l’evidenza che la diffusione delle innovazioni, anche di quelle più rivoluzionarie, come i motori endotermici, l’elettricità, il calcolo e la memorizzazione digitale, incontra ostacoli difficili da superare. Questi ostacoli non sono di carattere tecnico, ma sono di carattere organizzativo; essi hanno a che fare con le capacità e la cultura del lavoro del personale che le deve usare e applicare allo specifico contesto produttivo.
Le innovazioni delle fasi storiche precedenti investivano ogni azienda, anche la più piccola. La diffusione nelle piccole aziende è uno dei meccanismi decisivi per assicurare il successo di una nuova tecnologia, poiché fornisce la base formativa dei nuovi occupati.
Lavoro ibrido
Bene invece, dalla ricerca, il lavoro ibrido, 2-3 giorni in ufficio a settimana. Non c’è perdita di produttività e il lavoratore è più contento, quindi meno incline a lasciare.
L’impatto dell’intelligenza artificiale
L’impatto dell’intelligenza artificiale rimarrà limitato fintantoché non vengano riorganizzati i processi produttivi della aziende di medie e piccole dimensioni e non rimarranno confinati solo all’interno delle divisioni più smart di Big Tech. Il cloud, l’intelligenza artificiale, il machine learning al momento risultano utili prevalentemente alle imprese di grandi dimensioni[4].
Una recente indagine americana indica che solo il 33% dei manager delle piccole aziende sarebbe in grado spiegare ad un amico che cos’è l’intelligenza artificiale generativa. Ma il 57% dimostra ottimismo e interesse verso quegli strumenti per lo sviluppo del proprio business. In una impresa piccola si impara velocemente. È nelle imprese più piccole che i lavoratori più giovani e gli imprenditori più audaci si formano, imparano ad applicare le nuove tecnologie, le adattano, le fanno funzionare in modo economico. E spesso è nelle piccole aziende o nelle start up che si scopre a che cosa serve davvero un’innovazione tecnologica nata in un laboratorio lontano dal mercato.
Il ruolo delle piccole imprese
Negli anni recenti la riflessione aperta dal classico saggio di Schumacher Small Is Beautiful (1973) si è inaridita: trionfa una visione tecnologica dell’innovazione e dominano le figure delle Big Tech come artefici di ogni cambiamento. Eppure, non è così. Non è affatto detto che il tentativo di Microsoft di “impadronirsi” dell’intelligenza artificiale, riuscirà a ripetere quanto ha già fatto con i pacchetti office dei Pc e con il browser. È probabile che le cose andranno diversamente, soprattutto se le autorità di controllo e regolazione riusciranno a tenere aperto il campo di gioco.
Non dimentichiamo che gran parte delle innovazioni di maggior successo con cui Big Tech fa il pieno di utili, sono dovute a start up o newco acquisite, spesso con intenti poco nobili, dalle piattaforme. Questo ruolo propulsivo sull’innovazione della piccola impresa dipende da diversi fattori. Una ricerca recente ha indagato il ruolo propulsivo delle diverse componenti della dotazione di fattori produttivi e di forme di capitale di cui è dotata l’impresa.
Il primo gruppo di elementi costituiscono il capitale intellettuale. Si tratta del capitale umano, di quello strutturale e del capitale costituito dalla clientela. Il capitale umano è la somma di conoscenze, esperienze, competenze; il capitale strutturale è il valore della società dopo aver azzerato il capitale umano (ad esempio il brand, gli asset materiali etc.). Infine il valore della clientela è determinato dalla fiducia e dall’apprezzamento dei consumatori per i prodotti di quell’azienda.
Nella teoria dell’impresa basata sulla disponibilità di risorse, questi elementi costitutivi del capitale umano sono quelli essenziali: il successo nel business e la capacità innovativa dipendono dalla possibilità di accedere a quelle risorse.
Il secondo gruppo di fattori presi in considerazione recentemente dalle teorie dell’innovazione contempla risorse che non vengono acquisite dall’esterno, ma che vengono prodotte nell’interazione interna all’impresa. Esse impattano sul comportamento innovativo cambiando il modo di lavorare, modificando le interazioni tra i lavoratori. La formulazione delle idee e la loro implementazione sono due aspetti del processo innovativo che provengono dall’interazione. L’insicurezza nel posto di lavoro, l’instabilità, la rigidità delle norme interne, la burocrazia, l’avversione al rischio inibiscono lo sviluppo di queste potenzialità. Mentre insicurezza e instabilità sono tipiche delle piccole imprese, rigidità, burocrazia e avversione al rischio sono tipiche delle grandi imprese[5].
Conclusioni
Lo smart work verrà completamente ridefinito da due processi. L’adozione dell’intelligenza artificiale come strumento per accrescere la produttività individuale e collettiva sortirà l’effetto di migliorare anche la posizione di coloro che hanno necessità di lavorare a distanza. Ma occorrerà che l’intelligenza artificiale venga declinata in modo inclusivo, ossia per aumentare l’interazione tra lavoratori a distanza e management e con gli altri lavoratori.
L’altro fattore umano decisivo è il comportamento innovativo sul lavoro, che esercita un effetto duraturo sulle performance economiche delle piccole e medie industrie[6].
Ma poiché sono le piccole e medie industrie che svolgono il ruolo di primo approdo nel mercato del lavoro per le nuove leve, l’importanza di questo processo di educazione all’innovazione non può essere sottovalutato. Esso costituisce il più significativo contributo allo sviluppo della formazione sul lavoro delle nuove leve di occupati.
Note
- ) Natalia Emanuele, Emma Harrington, Is Work-from-Home Working? Liberty Street Economics, Federal Resertve bank of New York, June 20, 2023. ↑
- ) Ivi. ↑
- ) Ivi. ↑
- ) The Economist, Your employer is (probably) unprepared for artificial intelligence, June 16, 2023. ↑
- ) Wendy Niesen, Anahi Van Hootegem, Hans De Witte, Does job insecurity hinder innovative work behaviour? Wiley On line Library, 30 July 2018 https://doi.org/10.1111/caim.12271. ↑
- )Abu Muna Almaududi Ausat, Anna Widayani, Ika Rachmawati, Nunuk Latifah, Suherlan Suherlan, The Effect of Intellectual Capital and Innovative Work Behavior on Business Performance, Journal of Economics, Business, and Accountancy Ventura Vol. 24, No. 3, December – March 2022, pages 363 – 378. ↑