L'ANALISI

Piano Industry 4.0, emergono i veri punti di forza e di debolezza

Il piano del Governo prevede incentivi di diversa natura, che hanno già cominciato a stimolare il mercato. Ma tra gli aspetti positivi si evidenziano ora anche quelli negativi, tra cui l’assenza di misure a lungo termine

Pubblicato il 05 Mag 2017

Andrea Bacchetti

Osservatorio Smart AgriFood del Politecnico di Milano e dell’Università degli Studi di Brescia

Massimo Zanardini

IQ Consulting, spin-off di Università degli Studi di Brescia

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A confermare la bontà del piano Industry 4.0 può bastare  la “reazione” delle imprese manifatturiere che, secondo i recenti dati di UCIMU, hanno effettivamente accelerato il rinnovo del parco macchine. Il + 22% di ordini di macchine utensili rispetto allo stesso trimestre del 2016 rappresenta la migliore delle risposte possibili.

Una corretta analisi del piano, però, deve mettere in luce gli aspetti positivi, quanto quelli negativi (per quanto minoritari). Tra cui ora si evidenzia l’assenza di misure a lungo termine.

Anche considerando la recente (31 marzo) circolare chiarificatrice dell’agenzia delle entrate, è possibile sintetizzare i seguenti punti di forza:

  • Il piano è specifico per il tessuto industriale Italiano – traspare molto chiaramente lo studio preliminare svolto nei mesi precedenti la sua pubblicazione, in cui si sono analizzati i modelli proposti dagli altri paesi industrializzati e sono state sentite tutte le parti in causa (imprese manifatturiere, provider tecnologici, accademia), alla ricerca di una configurazione che non fosse un copia-incolla acritico del lavoro di altri, bensì fosse una soluzione cucita sulle specificità del sistema paese Italia;
  • Il piano ha ben compreso la portata del fenomeno Industry 4.0 – Industry 4.0 non è solo una rivoluzione tecnologica e come tale va trattata. Non ha senso incentivare investimenti in tecnologia innovativa se in parallelo non si sviluppano nuove competenze per gestirla. In questo senso, pare ideale il mix tra misure di breve (incentivi fiscali) e di medio-lungo (competenze e infrastrutture) termine;
  • Il piano non si è dimenticato di nessuna tecnologia – anche sforzandosi, non si riesce a pensare ad ambiti che non siano inclusi in una delle 9 aree tecnologiche abilitanti proposte;
  • Il piano lascia libere le imprese di decidere in che direzione orientare gli investimenti, senza dover incastrare a forza proposte progettuali in specifici bandi di finanziamento, che di fatto finiscono col decidere in che direzione innovare;
  • Il piano incentiva gli investimenti in hardware, ma anche quelli in software – del resto, Industry 4.0 non è solo il rinnovo del parco macchine, bensì è anche e soprattutto la gestione integrata del dato che proviene da tali macchine;
  • Il piano guarda alla catena del valore, non al singolo nodo – Industry 4.0 è rivoluzione di filiera, che deve coinvolgere tutti i nodi della catena, alla ricerca di sinergie super-additive.

Tutto perfetto, quindi? Ovviamente no. Qualche elemento di negatività emerge.

  • In primis, non possiamo e non dobbiamo dimenticarci del colpevole ritardo con cui questo piano è stato elaborato. Partire 4-5 anni dopo i competitor tedeschi o statunitensi certamente non aiuta le nostre imprese; inoltre, la stessa circolare dell’agenzia delle entrate, arrivata più di 3 mesi dopo la prima presentazione del piano, ha avuto si l’effetto di chiarire (bene) i dubbi interpretativi che erano sorti, ma di fatto ha ritardato ulteriormente l’avvio degli investimenti che devono, per poter rispettare i principi di (i) effettuazione, (ii) entrata in funzione e (iii) interconnessione, essere realizzati praticamente subito. Come ha recentemente detto Stefano Firpo del MISE, gli incentivi fiscali sono una “finestra a tempo”, che deve avviare un volano poi in grado di auto-alimentarsi. Pienamente d’accordo con questa posizione; si tratta solo di capire se visti i ritardi di cui sopra, certo non imputabili alle imprese, non abbia senso posticipare la chiusura di tale finestra, anche per evitare che la fretta di investire possa portare a decisioni non totalmente consapevoli;
  • Non pare ottimale nemmeno la scelta del doppio ente di riferimento. Di fatto se un’azienda ha un dubbio contenutistico, deve rivolgersi al MISE, mentre per quesiti di natura fiscale deve fare interpello all’Agenzia delle entrate. Esiste il ragionevole sospetto che questo non accelererà i tempi, anzi. Non sarebbe stato preferibile prevedere una task-force unica in grado di fungere da unico polo accentratore delle richieste? A maggior ragione vista l’estensione temporale limitata della finestra di cui sopra;
  • Infine, ed è decisamente la nota più dolente, meno risorse del previsto sono state concretamente dedicate alle misure di medio-lungo termine, fondamentali per costruire le competenze digitali necessarie per pilotare le innovazioni stimolate dagli incentivi fiscali. Infatti, sono solo (si fa per dire) 60 (rispetto ai 100 promessi inizialmente) i milioni messi a disposizione nel biennio 2017-2018 per promuovere e sostenere la ricerca applicata e la creazione dei cosiddetti “competence center”. Con le dovute proporzioni, è come costruire una monoposto da formula 1 e poi puntare a vincere il mondiale ingaggiando un pilota semi-professionista. Impossibile, per quanto la macchina sia performante. Idem dicasi per le misure infrastrutturali; il piano insiste giustamente sul tema della integrazione informativa tra gli impianti, che però richiede una connettività di base stabile, ad oggi esistente solo a macchia di leopardo in Italia. Al riguardo, non sono note con certezza risorse e (soprattutto) tempistiche di effettiva attuazione del piano di potenziamento della banda (ultra) larga.

La scheda

I passi da fare, concreti, verso Industry 4.0

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