Non può esserci trasformazione senza consapevolezza su dove un’impresa è dove può e vuole andare. Per questo, Impresa 4.0 deve entrare in una nuova fase, cercando di ampliare la platea degli innovatori e spostando l’attenzione dall’offerta di tecnologia alla domanda di innovazione ma soprattutto lavorando sull’awareness sia in termini di consapevolezza delle prospettive sia in termini di scelta consapevole del mix tecnologico.
Gli effetti del Piano Impresa 4.0
Quando nel 2016 il Governo lanciò il programma “Industria 4.0”, poi più propriamente ribattezzato “Impresa 4.0” fu esplicitato ai componenti della cabina di regia del Mise, il ministero dello Sviluppo economico, che gli obiettivi del programma erano duplici e interconnessi: da un lato favorire la trasformazione digitale della manifattura italiana e dall’altro svecchiare un parco macchine delle imprese straordinariamente obsoleto, come denunciava l’età media di oltre vent’anni. Per ottenere questi risultati inizialmente si immaginò una strategia molto verticale, basata sul sostegno alla strutturazione di robuste filiere nei quali i capi filiera avrebbero assunto la leadership dell’innovazione dettando tempi e soluzioni. Questa strategia “dirigista” fu però rapidamente abbandonata per molteplici ragioni, non da ultimo la mancanza fisica in Italia di sufficienti imprese in grado di assumere la leadership del cambiamento, e fu rimpiazzata con un ben più convincente approccio che premiava la capacità delle singole imprese di innovare. Si proponevano incentivi interessanti e automatici e si lasciava ampia discrezionalità alle leadership imprenditoriali sulle scelte (investire o meno e in quali tecnologie) da attuarsi all’interno dell’impresa.
I risultati di questo approccio sono stati certamente rilevanti, anche se forse più per il secondo obiettivo che per il primo. L’iperammortamento è piaciuto molto alle imprese e ha guidato la ripresa degli investimenti privati e soprattutto ha sortito effetti rilevanti nello svecchiamento del parco macchine (effetto di cui hanno beneficiato i produttori e l’indotto di un settore chiave per la nostra economia).
Se invece alziamo lo sguardo da questo orizzonte in direzione della valutazione dell’impatto del Piano sulla trasformazione digitale del nostro sistema manifatturiero non possiamo che rilevare che vi sono ancora enormi spazi di miglioramento.
A distanza di due anni dal lancio della strategia ideata dal ministro Carlo Calenda e mentre è in discussione una Legge Finanziaria che per la prima volta introduce correttivi significativi al piano (mantenendolo però in piedi, cosa importante e tutt’affatto scontata) è perciò a mio avviso assai utile abbozzare un ragionamento da practitioner della trasformazione digitale delle micro e piccole imprese sulle aree di intervento e di miglioramento sulle quali concentrare l’attenzione nei prossimi mesi.
Le priorità della nuova fase di Impresa 4.0
Concentrare l’attenzione significa anche ritarare l’intervento per indirizzare le risorse sulle aree critiche da indirizzare con interventi shock, che per loro natura devono mantenere carattere episodico e temporaneo e non aggiungersi all’italica consuetudine di consolidare il provvisorio in eterno. Faccio questa premessa perché ritengo che la priorità assoluta di questa nuova fase di impresa 4.0 riguardi il consolidamento dei fattori di output della trasformazione digitale delle imprese italiane (la loro competitività nei nuovi mercati) rispetto ai fattori di input (la loro propensione ad acquistare macchinari e tecnologia).
Trovo perciò positiva la scelta del Governo di concentrare la massima intensità dell’incentivo fiscale sugli investimenti a portata di MPMI e di sostenere un affiancamento intelligente agli imprenditori nell’avvio di processi di trasformazione digitale, così come valuto positivamente il fatto che sia stato reintrodotto nel corso dell’iter di approvazione alla Camera della Legge di Stabilità l’incentivo alla necessaria formazione 4.0.
Ovviamente la quarta rivoluzione industriale è una rivoluzione tecnologica e dunque non può farsi senza immettere tecnologia nel sistema ma due anni di incentivi straordinari agli investimenti in una fase congiunturale positiva hanno a mio avviso (non è una sensazione da rabdomante ma il portato di una costante interazione con le imprese) esaurito gran parte del filone aurifero di imprese e imprenditori pronti a investire in innovazione perché già convinti o naturalmente portati e reso il costo marginale di acquisizione di nuove imprese alla squadra degli innovatori assai alto.
Ampliare la platea degli innovatori
Ecco dunque che si pone la necessità in questa nuova fase di spostare il focus sull’allargamento della platea degli innovatori, cercando nuovi giacimenti sinora inesplorati e tendenzialmente refrattari a reagire alla narrazione della tecnologia quale è stata proposta sinora dai detentori del quasi monopolio della narrazione pubblica dell’innovazione (i produttori di tecnologia e i tecnofili entusiasti).
Nella pratica ciò significa spostare l’attenzione dalle singole tecnologie (nessuna delle quali potrà mai avere effetti taumaturgici) ai percorsi di trasformazione digitale che guardino al mercato e alle prospettive delle imprese alla ricerca del giusto mix in grado di produrre effetti reali o, per farla ancora più semplice, spostare l’attenzione dall’offerta di tecnologia alla domanda di innovazione (reale e non ancora espressa).
Il problema della domanda
Il problema strutturale della trasformazione digitale delle imprese italiane è infatti storicamente un problema di domanda, al quale si è sempre cercato di rispondere concentrando l’attenzione sull’offerta di nuove tecnologie le quali però ricadevano su un mercato necessariamente ristretto proprio per la disattenzione alla domanda.
Disattenzione che oggi si sta superficialmente riproponendo con l’ennesima killer application a cui vengono attribuite virtù miracolose (e miracolosi finanziamenti), la blockchain. Nulla contro la blockchain ovviamente, come nulla avevo contro l’Internet delle cose e i precedenti miracoli, ma deve essere evidente che tutto è utile nella misura in cui cade su un terreno fertile, in questo caso incontra imprenditori in grado di utilizzare le tecnologie necessarie per perseguire i propri obiettivi di creazione del valore.
Consapevolezza di prospettive e tecnologie
Lavorare sull’awareness sia in termini di consapevolezza delle prospettive della propria impresa sia in termini di scelta consapevole del mix tecnologico (2, 3, 4.0 non importa) atto a perseguirle è dunque un approccio a mio avviso più utile e interessante per dare a questa seconda fase del piano un carattere chiaro di svolta in direzione di un’innovazione digitale realmente di sistema e inclusiva.
La metodologia che stiamo adottando ancora sperimentalmente a questo fine muove dall’analisi dell’evoluzione a breve-medio termine del mercato di riferimento per le imprese e prova a immaginare l’introduzione lungo questo asse temporale di almeno tre soluzioni tecnologiche innovative che siano economicamente ed organizzativamente sostenibili per l’impresa in oggetto e la accompagnino in un processo di trasformazione che parte dalla consapevolezza di dove l’impresa è e di dove può e vuole andare in un contesto comunque in movimento.
Dove gli imprenditori hanno capito cosa il digitale poteva fare per loro sono stati in grado, appunto da imprenditori, di fare cose straordinarie indipendentemente dalle dimensioni, dal curriculum, dal settore di appartenenza e dal territorio di provenienza e per questo è doveroso provare ad estendere questo approccio e renderlo sistematico.
La diffusione delle tecnologie naturalmente seguirà.