La trasformazione dell’impresa in chiave 4.0 va guidata dall’ufficio del personale, che deve essere coinvolto a 360 gradi, e questo richiede competenze adeguate. Anche perché le stesse funzioni Hr sono chiamate a un continuo aggiornamento professionale per affrontare adeguatamente la sfida. Esperti e addetti a lavori stanno convergendo su questi principi, che però non sono ancora abbastanza affermati tra le aziende italiane.
Claudio Galli, consigliere nazionale Aidp, associazione nazionale direttori del personale, propone una metafora emblematica: «il responsabile delle risorse umane deve essere come uno skipper, in grado di far navigare la barca, quindi l’azienda, di capire dove va il vento, di insegnare a navigare alle persone».
Report 2018 del Polimi
In realtà, secondo i dati contenuti nel report 2018 del Politecnico di Milano su Industria 4.0, la funzione Hr non sembra essere adeguatamente coinvolta nel processo di digitalizzazione dell’azienda: solo il 12% del campione dichiara di coinvolgere attivamente la funzione Hr in tutte le fasi del percorso di digitalizzazione, contro un 30% in cui l’Hr partecipa in modo limitato o risponde a esigenze puntuali, e un 40% in cui la funzione Hr non è coinvolta o non esiste.
Attenzione: su questi dati gli esperti del settore esprimono un certo scetticismo. «Non ci credo assolutamente» dichiara Paolo Citterio, Presidente Nazionale Gidp gruppo intersettoriale direttori del personale, secondo il quale questo succede probabilmente nelle piccole imprese fino a 250 dipendenti, nelle quali il direttore del personale non esiste, per cui spesso è l’imprenditore in prima persona a occuparsi di tutto, rivolgendosi magari al personale tecnico. Ma nelle altre imprese, dalle medie dimensioni in poi, «il discorso è completamente diverso, perchè l’uomo Hr è coinvolto completamente. Deve anzi chiarire l’importanza del 4.0, spiegando anche la necessità di arrivare in fretta, perché se si tarda il problema c’è, eccome».
Anche Claudio Galli non è per niente convinto di questi dati: «il tema è nuovo, inusuale, per cui dubito che ci sia la reale capacità di fotografare il fenomeno» aggiunge. «E’ vero che ci sono ancora molte aziende in cui la funzione Hr ha carattere prevalentemente amministrativo. E altre in cui, pur essendo prevista la funzione di sviluppo individuale, formazione, selezione, ci sono competenze ancora molto lontane da quelle necessarie per affrontare il tema delle tecnologie e del digitale. E quindi ci si rivolge prevalentemente all’It, o al consulente esterno». Raffaele Ferragina, presidente Hr People, mette a sua volta l’accento sulla differenziazione per dimensione aziendale: «le Pmi, più che non coinvolgere la funzione Hr, sono lontane in generale dal 4.0, nelle grandi aziende invece l’interesse sta crescendo».
I dati su Hr e digitalizzazione
Innanzitutto, vediamo meglio i dati della ricerca del PoliMi, una survey a cui hanno partecipato 236 imprese, di cui 172 grandi 3 e 64 piccole e medie, distribuite su undici settori chiave per l’industria italiana. Solo il 12% del campione dichiara di coinvolgere attivamente la funzione Hr in tutte le fasi del percorso di digitalizzazione, contro un 30% in cui l’Hr partecipa in modo limitato o risponde a esigenze puntuali, e un 40% in cui la funzione Hr non è coinvolta o non esiste. E ancora: c’è una consistente quota di imprese, il 76%, che dichiarano di aver concluso, avere in corso o voler avviare una valutazione delle competenze su Industria 4.0, che riguarda non solo impiegati e operai, ma anche manager e imprenditori. I settori maggiormente interessati da queste valutazioni sono produzione, Manutenzione, Supply Chain, Progettazione, Vendite e Marketing, IT: la funzione HR è, invece, la meno coinvolta.
Le competenze per le Hr 4.0
E qui, in effetti, gli addetti ai lavori sono maggiormente in accordo. «Oggi la funzione Hr è spesso lontana da queste competenze, e questo è un paradigma che deve cambiare. Le Hr più all’avanguardia hanno già persone che cominciano a seguire progetti su sviluppo individuale, organizzativo. L’obiettivo deve essere proprio quello di avere all’interno dell’ufficio del personale dei manager, con capacità di dialogare su questi temi (deal with), anche in misura rilevante. Si sente parlare molto di Hr analytics, un tema che arriverà molto forte e in fretta, la funzione sarà invasa da dati, che richiedono capacità di lettura. La statistica entrerà di prepotenza nel lavoro dell’ufficio del personale». La formazione è un tema centrale anche per Citterio: «in genere se ne occupano le società specializzate, a meno che non la faccia direttamente l’It. E’ senz’altro vero che in queste scelte il settore It conta di più. Ma deve lavorare con il direttore del personale», che «è stato e sarà sempre l’interprete delle esigenze aziendali». Anche le associazioni imprenditoriali «ci aiutano molto, facendo formazione».
Fra qualche anno, insiste Galli, «la selezione sarà fatta dal software, stiamo andando in quella direzione. Significa una selezione automatica, che fornirà risultati standard a prezzo basso. Quindi il lavoratore dovrà fare la differenza fuori dallo standard, e allenare le persone a guardare fuori e non dentro lo standard, perché a questo ci penseranno i software».
Il nostro obiettivo, aggiunge Feragina, «è che la funzione abbia un ruolo strategico e trasversale, mentre oggi spesso non è così: se le altre funzioni aziendali richiedono della formazione, l’ufficio Hr si occupa di organizzarla, ma non è proattivo nel farlo. Noi invece pensiamo che debba non solo acquisire competenze 4.0. ma avere un ruolo di promozione della formazione». Importante, a questo proposito, l’iniziativa di Hr People sulla certificazione della professione, che ha creato un specifica certificazione UNI sulle HR, inserendo tutte le tematiche dell’hr 4.0. La UNI/PdR individua 14 diversi profili professionali della funzione Risorse Umane delle organizzazioni, suddivisi in quattro aree di macrocompetenza (Ricerca e Selezione del personale, Valutazione e sviluppo delle risorse umane, Sviluppo organizzativo, Amministrazione del personale e relazioni industriali), e ne individua attività-responsabilità e relative conoscenze, abilità e competenze, sulla base dei criteri del Quadro europeo delle qualifiche (EQF).
La formazione
In definitiva, sull’importanza della formazione in chiave 4.0 per le Hr c’è un accordo generale. Anche perché, prosegue Feragina, «è un’evoluzione culturale che la funzione non può non fare: noi diciamo from Hr to general management, proprio perché spesso approdano alla direzione generale manager che vengono dalle risorse umane. E la sfida del 4.0 in più comporta il fatto che sempre più entreranno in azienda persone che con queste tecnologie sono nate e vissute. Lo scontro di competenze fra 20-30 anni è inevitabile». Su questo Galli è invece più ottimista: «è vero che la rivoluzione 4.0 ci obbliga ad avere molte più stem (scienze, tecnologie, economia, matematica) nella pancia. Ma al tempo stesso, la formazione umanistica ci consente di portare intelligenza relazionale all’interno dei numeri». L’esperienza lavorativa continua a essere un elemento da valorizzare. Dunque, per quanto riguarda la questione generazionale, «è importante che la funzione Hr trovi il modo, invece che mandare in pensione uno bravo con esperienza e sostituirlo con qualcuno che sa fare meno, di far fare due o tre cose a quello bravo, facendolo divertire anche a insegnare, comunicare, trovare soluzioni».
Le tecnologie
Per quanto riguarda invece la sostituzione del lavoro umano con le macchine (in questo caso, con dei software), propone un aneddoto: «se facciamo fare al pc l’analisi delle correlazioni, ci potrebbe dire che per avere più premi nobel dobbiamo mangiare più cioccolata. Perché esiste una correlazione diretta al 96-97% fra il consumo di cioccolato e la presenza di premi nobel. Un dato che, interpretato correttamente, non ci porta a mangiare più cioccolata per vincere il premio Nobel, ma semplicemente a rilevare il rapporto fra scuole, ricchezza, benessere». Certo, il lavoro comporterà una componente digitale sempre più rilevante, «dovremo lavorare sulle simulazioni, come fanno gli ingegneri. I piloti di aereo fanno il 70% di addestramento con il simulator: costa meno, ha efficacia. Però lei salirebbe su un aereo se il pilota avesse fatto solo volo simulato? Oppure, quante volte si farebbe operare da qualcuno che ha fatto solo operazioni simulate?».
Le relazioni industriali
Un altro aspetto è legato al modo in cui stanno cambiando i contratti con industry 4.0 e le relazioni sindacali, altro tema centrale per le hr. Il contratto dei metalmeccanici è stato il primo a innovare, per esempio con la formazione obbligatoria. In generale, gli ultimi contratti danno un forte potere anche al sindacato, che deve collaborare. «E a me sembra che in effetti questa sia la strada migliore – conclude Citterio – . Lo dico anche come esponente del gruppo relazioni industriali di Assolombarda: dobbiamo potenziare la collaborazione con il sindacato».