(aggiornato al 26 gennaio 2018)
E’ passato più di un anno da quando il Governo ha lanciato il piano Industria 4.0 (settembre 2016), e il problema numero uno resta sempre lo stesso: fino a questo momento, tutto si è risolto in un incentivo fiscale. La manovra 2018 rafforza ulteriormente la politica di stimolo alle imprese attraverso la leva fiscale, con il credito d’imposta sulla formazione, anche sulla base della considerazione che le agevolazioni 2017 hanno funzionato bene. Il primo obiettivo, la ripresa degli investimenti, è stato centrato. Ma, al momento resta l’unico. La ripresa italiana 2017 è pari all’1,5%, che significa un ritmo di crescita più lento rispetto agli altri partner europei. I temi fondamentali di Industria 4.0, la formazione e il lavoro, dal piano fino ad ora sono stati solo sfiorati.
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Il 2017 è stato l’anno in cui il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda, ha spostato l’asticella da Industria 4.0 a Impresa 4.0. Un cambio di nome del piano che sottolinea la volontà di incidere sull’intero sistema imprenditoriale italiano, non solo sulla manifattura, ovvero l’industria in senso stretto. Ma anche, immaginiamo, l’obiettivo di fare il grande salto dalla teoria alla pratica. Dal piano alle imprese, che devono diventare 4.0. Quindi, la domanda che dovremmo porci per un primo bilancio del piano è: le imprese italiane sono un po’ più 4.0 rispetto a un anno fa? E quanto tempo ha il sistema Italia per diventare definitivamente 4.0?
La risposta alla prima domanda è che i passi avanti, rispetto a un anno fa, ci sono stati ma sono limitati a un maggior grado di consapevolezza sull’importanza della tematica (l’anno scorso era ancora alto il numero di imprenditori che non conoscevano le tematiche legate a Industria 4.0, oggi anche se non hanno ancora progettato azioni sono invece più informati), e alla ripresa degli investimenti. Che però, sul fronte dell’efficacia in chiave 4.0, come sottolinea anche Stefano Firpo (ministero dello Sviluppo economico), sarà misurabile solo nei prossimi anni. Le agevolazioni fiscali, quindi l’iperammortamento al 250%, la nuova Sabatini per gli investimenti digitali nelle PMI, il credito d’imposta ricerca e sviluppo, devono rappresentare la prima fase di un più profondo cambiamento delle aziende, che devono digitalizzare impianti e processi in chiave 4.0.
Competence center e innovation hub
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Il passo avanti della politica per il 2018 è rappresentato dagli incentivi estesi alla formazione, con il credito d’imposta al 40% inserito in manovra di Bilancio. Ora la sfida è quella di utilizzare anche questi benefici fiscali per promuovere effettivamente la formazione 4.0 in azienda. Il problema è che continua a mancare una gamba fondamentale del piano, rappresentata dai competence center, che devono rappresentare la cerniera fra formazione, ricerca, tecnologie e università. I competence center devono fare formazione 4.0, live demo su nuove tecnologie, consulenza alle PMI, attuare progetti innovativi. Sono i poli di eccellenza intorno ai quali si dovrebbe sviluppare il sistema dell’Industria 4.0 italiana. Vanno individuati attraverso un bando, ancora atteso dopo il decreto ministeriale pubblicato in gennaio. Il 2017, dunque, non ha visto la partenza dei competence center. La manovra di Bilancio 2017 aveva stanziato 20 milioni per il 2017 e 10 mln per il 2018. I 20 milioni non spesi nel 2017 si potranno utilizzare per i competence center nel 2018, con una dotazione complessiva che resta quindi a 30 milioni di euro. Ai quali si potrebbero aggiungere altri 10 milioni, previsti dal bando.
Nel frattempo si sono mosse le associazioni imprenditoriali, con la rete degli innovation hub, che però vanno consolidati. E che trarrebbero probabilmente giovamento anch’essi dalla partenza dei competence center. Le università che presenteranno progetti come competence center: i Politecnici di Milano, Torino e Bari, il Sant’Anna di Pisa, l’università di Bologna, il polo delle università venete, la Federico II di Napoli. Sempre restando in tema di competenze, il 2018 dovrebbe vedere la partenza anche della nuova sezione «per il finanziamento dei dipartimenti universitari di eccellenza» del Fondo per il finanziamento ordinario delle università. E’ la disposizione contenuta nel comma 314 della manovra 2017 (legge 232/2016), per incentivare l’attività dei dipartimenti delle università statali che si caratterizzano per l’eccellenza nella qualità della ricerca e nella progettualità scientifica, organizzativa e didattica, che finanzia la nuova sezione del Fondo con 271 milioni di euro a partire dal 2018.
Finanza e fisco
C’è poi un terzo capitolo del piano Industria 4.0, la finanza per l’industria 4.0, di cui è ancora difficile misurare l’impatto. Detrazioni fiscali al 30% per investimenti fino a 1 milione di euro in PMI innovative, assorbimento perdite start-up da parte di società “sponsor”, PIR, piani individuali di risparmio che investono nelle PMI, fondi specializzati in innovazione. Sono tutte misure su cui ancora non ci sono indagini di mercato. Un dato positivo arriva dalla crescita del corporate venture capital nelle startup innovative, quindi del capitale di imprese che investono in startup: il report dell’Osservatorio Open Innovation e Corporate Venture Capital 2017, conta 6mila 727 investitori di corporate venture capital in Italia, con una crescita del 31% sul 2016.
Lavoro e formazione
Infine, il lavoro. Qui la sfida, con ogni probabilità, oltre che il legislatore, riguarda gli attori del mercato del lavoro, ovvero le parti sociali. A livello nazionale, fra le poche misure sul Lavoro 4.0 inserite in un contratto collettivo nazionale di lavoro c’è il diritto alla formazione previsto dal contratto dei metalmeccanici. La manovra 2018 in questo senso rappresenta un volano: per utilizzare gli incentivi sulla formazione 4.0 ci vogliono specifiche previsioni nel contratto territoriale o aziendale.
Traduzione: la materia entra ufficialmente, e velocemente, nella contrattazione. Su questo fronte, sul territorio ci sono però esempi innovativi. In Emilia Romagna, nella Motor Valley e dintorni, diverse aziende stanno firmando contratti integrativi 4.0, che prevedono flessibilità degli orari di lavoro, misure di welfare aziendale, forte spinta sui premi di risultato, parametri di performance. Le misure di flessibilità sull’orario prevedono ad esempio la completa libertà di entrata e di uscita dei settimi livelli e dei quadri, nel solo rispetto dei vincolo delle 40 ore settimanali. Si sperimentano modelli di cogestione alla tedesca, con i sindacati che partecipano al dibattito aziendale sulle strategie. Attenzione: sul fronte delle trasformazioni del mondo del lavoro, l’industria 4.0 sta già producendo sul territorio importanti cambiamenti, ad esempio sul fronte dell’organizzazione e della gestione dei turni di lavoro (che con la digitalizzazione vengono affidati ad algoritmi). E’ un caso in cui il dibattito fra le parti sociali sembra indietro rispetto alla realtà quotidiana del mondo del lavoro.