La crescente automatizzazione sta cambiando il sistema produttivo e gli strumenti per competere nello scenario internazionale sono sempre più complessi.
Proprio questa complessità sembra essere uno degli ostacoli maggiori per la crescita dei sistemi economici, in particolare per quelli periferici e caratterizzati da profonda frammentazione come l’Italia.
L’Industria 4.0 è, come tutti gli agenti di cambiamento tecnologico, un primo passo verso la quarta rivoluzione industriale (che ancora non esiste) che sta trasformando le modalità con cui imprese e operatori si muovono nei mercati globali.
Ma le direttrici del cambiamento non sono solo quelle emergono dal dibattito pubblico, ossia i timori legati alla perdita di occupazione e gli impatti economici e sociali della sharing economy. In una società sempre connessa le trasformazioni avvenute e quelle in divenire sono trasversali e multisettoriali e manca un confronto su molte questioni che hanno un impatto importante sull’ecosistema economico e sociale e che sono strettamente connesse con i crescenti livelli di digitalizzazione e di automatizzazione.
La politica industriale come nuovo motore di crescita
A seguito di tali cambiamenti in atto, la politica industriale è stata interpretata come nuovo motore della crescita e come punto di ripartenza dopo la crisi economica del 2008. Nell’ultimo decennio sono emersi, sia a livello Europeo sia a livello nazionale, diversi “piani”, “cabine di regia”, “strategie” e politiche pubbliche con l’obiettivo di rilanciare la produzione e la produttività del settore privato. In alcuni casi esse hanno funzionato, si veda la Germania, ma anche il colosso cinese e gli Stati Uniti, in altri hanno avuto effetti parziali.
È il caso dell’Italia dove questi processi stentano ad espandersi e spesso rimangono confinati entro alcune realtà: i grandi gruppi industriali oppure le cosiddette “eccellenze” locali.
La mancanza di visione (e di risorse) delle PMI
Le PMI, ossia circa il 95% del tessuto produttivo italiano, scontano spesso la mancanza di visione e anche di figure manageriali in grado di accompagnare la trasformazione digitale e anticipare gli scenari futuri. A questo si aggiunge la minore possibilità di sostenere investimenti di grande portata e rinnovabili nel tempo, nonché una propensione inferiore a sostenere le attività di ricerca e sviluppo. Questi problemi sono noti e vengono più volte sottolineati nei report e persino nel mondo accademico.
Nel dibattito italiano il tema è stato incentrato fondamentalmente sugli effetti della robotizzazione e computerizzazione nel mondo del lavoro, in grado di generare fenomeni diffusi di sostituzione e precarizzazione. Anche la sharing economy è stata ammantata da un’aura negativa dai settori tradizionali che, ragionevolmente, si sentono minacciati da nuovi modelli di processo e prodotto.
Ma, come dicevamo, i temi su cui confrontarsi sono anche altri.
Il volume “Europa 4.0 – Il futuro è già qui”, curato dall’associazione Prospettiva Europea e dalla rivista Europalab cui ha partecipato anche il think tank Competere, analizza la trasversalità e la multisettorialità delle trasformazioni avvenute e di quelle in divenire, in una società sempre connessa. Possiamo individuare così 4 macro-aree su cui la politica e gli attori economici dovranno confrontarsi: la società on demand, l’interconnessione, nuovi modelli di business e nuove competenze, la cybersicurezza.
Le 4 macro-aree su cui confrontarsi
- La società on-demand (e non sharing, si badi bene) è la conseguenza diretta del processo evolutivo delle dinamiche di produzione, acquisto, consumo e possesso. La produzione di servizi e beni ha imboccato la strada del “just in time” ossia di incontro tra domanda e offerta estremizzato e immediato. Questo comporterà anche conseguenze sulla tipologia di rapporto tra l’acquirente e il bene non più acquistato a fini di possesso, bensì di utilizzo, con una notevole diminuzione dei costi di acquisto e figurativi. Il tutto verrà controllato dagli operatori che forniscono il bene, da coloro che lo gestiscono, dalle autorità e dalle amministrazioni locali. Il prezzo da pagare per tale “risparmio” è la circolazione dei dati personali con forti nodi legati alla privacy e alla sensibilità delle informazioni.
- L’interconnessione, conseguenza del cloud computing, delle infrastrutture avanzate e delle tecnologie a capacità quasi illimitata, oltre a stimolare nuovi modelli di business sarà determinante anche per le traiettorie di investimento delle imprese. Come rimanere competitivi a livello internazionale, se il cambiamento tecnologico agisce sempre più rapidamente? Qui emergono tutti i limiti a livello strutturale dei sistemi economici e di innovazione nazionali. In particolare, l’Italia si caratterizza per una scarsa produttività e per una scarsa propensione agli investimenti in ricerca e sviluppo. Conseguenza di ciò è l’aumento del gap con realtà più focalizzate all’innovazione e leader nello scenario globale.
- La terzo macro-area osservabile è quella delle competenze. Il Piano Industria 4.0 del Governo Renzi ha ottenuto buoni risultati sul piano degli investimenti (in particolare early stage) e del rinnovamento del parco macchinari. Tuttavia, non si sono registrati significativi miglioramenti sul piano della formazione e della specializzazione nelle skill digitali e nelle nuove tecnologie all’interno delle imprese, siano esse di piccole o di medie-grandi dimensioni. Il sistema di innovazione, nazionale o sovranazionale, è costituito da varie componenti intrecciate fra di loro. Se una di esse è più debole, gli effetti negativi si riverbereranno anche sulle altre. Più la complessità avanza, come nel caso dell’Industria 4.0, più questo processo ha effetto. Senza adeguata forza lavoro specializzata, l’impatto dei nuovi paradigmi di produzione sarà depotenziato.
- La cyber security è, infine, un nervo scoperto della digitalizzazione. Un mondo sempre connesso e la digital transformation richiesta alle imprese portano vantaggi sul piano della produttività, ma amplificano anche i punti di debolezza. L’interconnessione delle macchine espone gli operatori del mercato a problemi di sicurezza e vulnerabilità spesso sconosciute dai medesimi. Il rischio cresce quando gli attacchi sono focalizzati sulle cosiddette Operational Technology ossia i sistemi di controllo e monitoraggio. Una cospicua perdita di dati e informazioni può rappresentare un ingente danno di know-how e know-why e questo rappresenta ul tema centrale attorno al quale le imprese devono sviluppare percorsi di sicurezza in grado di proteggersi e gestire i tentativi di furto e sabotaggio.
Non ci sono risposte semplici
Di fronte alle sfide che ci pone la competizione in uno scenario 4.0 le risposte non sono semplici né immediate. Le soluzioni devono uscire dalla cosiddetta “path-dependency”, ossia dal continuo ripetersi delle esperienze passate, caratterizzate da una forte resistenza al cambiamento. Come riuscirci? Partendo dalle individualità, ossia dalle imprese e dalle loro caratteristiche di forza, e dalle connessioni che si creano fra di esse. Il mercato europeo si caratterizza per una forte diversità che, se interconnessa nel modo giusto, può tradursi in innovazione e sviluppo tecnologico di processo e di prodotto.
Le politiche comunitarie dovrebbero essere uno stimolo alla condivisione di best practice e di partnership internazionali, esaltando la creatività individuale e le tipicità, da un lato, favorendo la “deviazione dal sentiero”, dall’altro.
Le realtà produttive devono invece essere preparate per il cambiamento e accoglierlo come un agente positivo, in grado di generare crescita, benessere e anche sicurezza a livello locale. Il mercato è l’alleato migliore che posseggono per poter trovare ciò di cui necessitano: connessioni, innovazione e competitività.