Alcuni giorni fa è stato presentato a Roma il rapporto OCSE dedicato alla “Nuova Rivoluzione industriale”, alla presenza del Viceministro allo sviluppo economico Teresa Bellanova e di Gabriela Ramos, Capo di Gabinetto del Segretario Generale dell’OCSE e Sherpa al G20.
Si tratta di un corposo documento che merita grande attenzione perché offre ai leader delle imprese, dell’istruzione, dei sindacati e dei governi numerosi spunti per una riflessione di lungo periodo sulle sfide della transizione all’Industria 4.0. L’invito esplicito dell’organizzazione parigina a tutti gli Stati è a formulare politiche adeguate e prevedere le evoluzioni future lanciando lo sguardo oltre le scadenze elettorali. Soltanto con questo approccio è possibile riflettere su una serie di nuove sfide poste dalle tecnologie emergenti in ambiti diversi come la proprietà intellettuale, la concorrenza, le politiche commerciali, la ricerca, la formazione.
Il rapporto sarà presentato anche ai leader dei paesi G7 al prossimo vertice di Taormina del 26-27 maggio, occasione in cui il Segretario generale Angel Gurría discuterà il ruolo dell’innovazione come motore della crescita e le implicazioni della rivoluzione produttiva per i paesi in via di sviluppo.
Alla base del successo di questa complessa transizione produttiva, in Italia come altrove, deve esserci la fiducia dell’opinione pubblica e una comprensione diffusa delle nuove tecnologie. Il compito dei decisori politici e delle istituzioni è “fornire prospettive realistiche sulle tecnologie e riconoscerne le criticità”. È importante dimostrare che le posizioni degli esperti scientifici siano indipendenti e affidabili, anche se il dibattito pubblico è riconosciuto come “componente indispensabile per creare un clima di comprensione reciproca tra comunità scientifica e società civile”.
Gli analisti OCSE mettono bene in chiaro come le nuove tecnologie di produzione determineranno nel prossimo futuro la quantità e la qualità di posti di lavoro. Molte persone potrebbero incontrare serie difficoltà se dovessero avvenire tagli di posti di lavoro come conseguenza, ad esempio, dell’introduzione e della diffusione dell’automazione. In questo ambito, l’OCSE invita i decisori politici a monitorare le dinamiche occupazionali e gestire attentamente gli adeguamenti, adottando politiche in materia di competenze, di mobilità della forza lavoro e di sviluppo a livello regionale.
La diffusione delle tecnologie include gli investimenti immateriali complementari e il know-how necessari per sfruttarle appieno. La rapida trasformazione tecnologica rimette in discussione l’adeguatezza delle competenze e dei sistemi di formazione. Gli analisti OCSE sottolineano come alcune nuove tecnologie di produzione mettano in luce l’importanza dell’interdisciplinarietà dell’istruzione e della ricerca, ribadendo la necessità di “favorire una maggiore interazione tra industria, istruzione e formazione”.
A questo fine, la ricetta OCSE prescrive l’ideazione di sistemi efficaci sia per l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita sia per la formazione sul posto di lavoro, in modo che l’aggiornamento delle competenze possa essere in linea con il rapido ritmo dei cambiamenti tecnologici. Oltre alle competenze digitali e tecniche, è importante garantire che tutti i cittadini possiedano solide competenze generiche di base, come l’alfabetizzazione, la matematica e il problem solving, essenziali per acquisire le competenze specifiche avanzate.
In Italia la riforma de “La Buona Scuola” investe sulle competenze digitali, accanto a un rafforzamento nelle lingue straniere, e avvia in modo strutturale l’Alternanza Scuola-Lavoro, che sarà focalizzata su percorsi coerenti con lo sviluppo di conoscenze e competenze Industria 4.0.
Altri spunti riguardano la formulazione di politiche efficaci nel campo della ricerca scientifica e dello sviluppo tecnologico. Le tecnologie esaminate nel rapporto (stampa 3D, Internet of Things, robotica avanzata, nuovi materiali, produzione guidata dai dati, intelligenza artificiale, biologia di sintesi) sono il prodotto dei progressi compiuti nel campo delle conoscenze scientifiche e della strumentazione, sia nel settore pubblico che privato. La complessità di molte tecnologie di produzione emergenti “supera le capacità di ricerca anche delle imprese più grandi rendendo necessaria un’ampia gamma di partenariati di ricerca pubblici e privati”.
Gli ulteriori ambiti di intervento suggeriti nel rapporto sono diversi: allineare le politiche che promuovono la concorrenza sui mercati di beni; rendere più flessibile il mercato del lavoro; eliminare i disincentivi per l’uscita delle imprese dal mercato e gli ostacoli alla crescita per le nuove aziende di successo, nella convinzione che molte nuove tecnologie di produzione saranno introdotte proprio dalle startup.
Gli analisti dell’organizzazione di Parigi evidenziano che specialmente tra le PMI una sfida importante consiste nella trasformazione digitale di quelle che non sono native digitali. A tal fine, si suggerisce che istituzioni con missioni specifiche per sostenere la diffusione, quali servizi di consulenza tecnologica, possono essere efficaci se ben concepite e dotate degli incentivi e delle risorse necessarie.
È quello che ha fatto il Governo italiano col Piano Industria 4.0, che ha affidato un ruolo strategico ai centri di competenza allo scopo di promuovere e sostenere la ricerca applicata, il trasferimento tecnologico e la formazione sulle tecnologie avanzate. Per la costituzione e la gestione dei centri di competenza sono state stanziate risorse pubbliche per 30 milioni di euro per il biennio 2017-2018, ma è previsto il pesante coinvolgimento, anche economico, di università e centri di ricerca di eccellenza e aziende private sotto la forma del partenariato pubblico-privato.