L'analisi

Industria 4.0, Italia bene ma non troppo: come la politica può spingere l’innovazione

I dati di Istat e del Politecnico di Milano evidenziano che il mercato 4.0 è vivace, con un aumento importante di adozione delle tecnologie per l’industria e i servizi, nell’anno della pandemia. Si può fare però meglio. Vediamo in che modo le politiche possono valorizzare questo scenario

Pubblicato il 19 Ott 2021

Giacomo Bandini

Competere

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L’Industria 4.0 in Italia è più viva che mai: dopo la ricognizione Istat che evidenziava nell’anno del Covid-19 un aumento significativo dell’impiego di tecnologie avanzate per l’industria e i servizi, anche l’Osservatorio Industria 4.0 del Politecnico di Milano certifica la crescita del settore (+8% nel 2020 rispetto al 2019). Ora tocca alla politica fare la sua parte per il sistema d’innovazione italiano. A partire dalla ricerca in filiera su cui si concentra la Missione 4 del PNRR per arrivare al nodo delle competenze che servono alle imprese. Su queste ultime si gioca una fetta importante del futuro della manifattura italiana che si trova a competere in una realtà in costante evoluzione.

L’impatto della pandemia sul mercato 4.0

È sempre più evidente che la pandemia ha avuto un effetto “accelerante” per molti settori economici. Il mercato 4.0 oggi ha un valore complessivo stimato di 4,1 miliardi, in aumento di 200 milioni di euro rispetto al 2019. Alcune tecnologie – diventate ancora più importanti durante i vari lockdown e la conseguente riorganizzazione del lavoro da remoto – come il cloud sono state utilizzate dalla maggior parte delle aziende italiane (60% secondo l’Istat) nell’anno 2020 con una crescita del 36% rispetto al 2018. Anche l’installazione di robot e il ricorso all’intelligenza artificiale mostrano trend in grande aumento insieme alle soluzioni di Industrial IoT (+31%). Come evidenziato dal rapporto dell’Politecnico di Milano, i progetti implementati sono stati concentrati soprattutto sulla connettività e l’acquisizione di dati, e l’Industrial Internet of Things ha raggiunto il valore complessivo di 2,4 miliardi di euro le Industrial Analytics 685 milioni.

Italia 4.0, un bisogno estremo di competenze: a privati e PA serve colmare lo skill gap

Anche Ucimu è tornata sulle stime relative alla produzione e all’adozione di macchine utensili che nel 2021 crescerà del 21,6%, raggiungendo quota 6,3 miliardi di euro, dimostrando grande dinamismo di tutto il comparto industriale. Se si osservano, infatti, le statistiche relative alla Nuova Sabatini è possibile notare come anche il mese di agosto 2021 le prenotazioni e le richieste di contributo hanno mantenuto livelli superiori ai 2 miliardi di euro dopo il picco di giugno a 2,5 miliardi. I finanziamenti deliberati per l’Industria 4.0 superano abbondantemente quelli per gli investimenti ordinari e il totale cumulato dei finanziamenti previsti in relazione ai contributi ha superato la cifra di 31 miliardi di euro dal 2014 ad oggi.

La prova della maturità, quindi, pare essere superata sotto il fronte dell’adozione tecnologia e i risultati ottenuti da questo segmento industriale paiono essere ben superiori alle aspettative. Soprattutto viste le incertezze che la pandemia ha accentuato, insieme alle potenziali problematiche legate alle dinamiche inflattive e delle materie prime. Queste ultime, però, devono ancora manifestarsi in modo esteso e potrebbero impattare significativamente i prossimi mesi del comparto manifatturiero.

L’importanza della ricerca

Ma quale è la risposta della politica al dinamismo delle imprese italiane, oltre alle misure già presenti per beni strumentali e tecnologici? Oltre al Piano Transizione 4.0, di cui si è diffusamente parlato durante la presentazione del Piano Next Generation e anche nel 2019, la cabina di regia del PNRR ha mostrato di voler indirizzare i primi sforzi anche sul tema della ricerca. In particolare, come riportato nell’ultima versione del documento, la missione 4 componente 2 “Dalla ricerca all’impresa” per la quale sono previste risorse pari a 11,4 miliardi, nove dei quali sono in dotazione del Ministero dell’Università e della Ricerca.

In merito a questa verticale sono state pubblicate le prime linee guida del PNRR proprio dal MUR. Esse definiscono i binari fondamentali per ottenere i pagamenti della Commissione a loro volta subordinati all’implementazione dei progetti definiti nell’ambito del PNRR, in base al rispetto di indicatori specifici e trasparenti (milestone e target), negoziati con la Commissione europea e puntualmente definiti all’interno del Piano stesso. Le linee guida sono focalizzate su quattro elementi principali:

  • Utilizzo diffuso dei partenariati che prevedono la partecipazione delle università, dei centri di ricerca e delle aziende per il finanziamento di progetti di ricerca di base (1,61 miliardi di euro);
  • Potenziamento delle strutture di ricerca – esistenti e di nuova formazione – per la creazione di campioni nazionali di ricerca e sviluppo che prevedano l’utilizzo di tecnologie abilitanti (1,6 miliardi di euro);
  • Gli Ecosistemi dell’innovazione come leader territoriali di ricerca e sviluppo (1,3 miliardi di euro);
  • Creazione di un sistema d’innovazione integrato che convogli al suo interno le infrastrutture di ricerca e le infrastrutture tecnologiche di innovazione (1,6 miliardi di euro).

Il potenziamento del PPP

Come previsto, il sistema del partenariato pubblico-privato (partenariato esteso) è ampliamente potenziato. Il modello ricalca quanto raccomandato dalla Commissione Europea ed è previsto che aumenti il suo peso specifico nella creazione delle reti di ricerca e sviluppo dedicate ad alcuni ambiti tecnologici definiti. Dall’Intelligenza Artificiale alla cybersecurity, passando anche per le tematiche sanitarie delle neuroscienze e delle malattie infettive e il climate change. Viene così affidata ai singoli consorzi la scelta di sviluppare linee di ricerca specifiche per un finanziamento di 1,6 miliardi dedicato a dieci grandi progettualità.

Il nodo delle competenze

La parte ancora mancante e, forse, la più attesa è quella delle competenze. La carenza delle skill 4.0 o digitali sarà ancora più pressante negli anni a venire. Non sembra sufficiente da questo punto di vista la creazione di grandi partenariati senza che vi sia un cambiamento fondamentale nell’intero sistema formativo. Gli Ecosistemi di innovazione, previsti dal MUR, potrebbero sicuramente giocare un ruolo maggiore da questo punto di vista, ma nelle linee guida non si fa cenno all’incubazione delle competenze. Eppure la presenza delle università e dei centri di ricerca nello schema disegnato dalla cabina di regia governativa dovrebbe essere funzionale anche a questo scopo. Possiamo aspettarci maggiore attenzione a questo nodo nei futuri piani strategici del PNRR?

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