C’è voluto un po’ di tempo e diverse iniziative istituzionali prima di arrivare al definitivo lancio: da più di un anno si vociferava di un documento elaborato dal direttore Firpo e da una task force da lui presieduta che però nessuno aveva visto, poi era intervenuta la Presidenza del Consiglio, con i tavoli su IoT presieduti da Tiscar che hanno generato una sorta di libro bianco, infine l’indagine conoscitiva della commissione Attività Produttive della Camera. Tante belle parole che ora finalmente sembrano siano tramutate in fatti concreti.
Il ministro Calenda ci ha messo letteralmente la faccia e già nei primi due giorni ha affrontato un tour istituzionale senza sosta per condividere il piano con tutti (tanti) soggetti coinvolti: la mattina del 21 ha aperto i lavori della cabina di regia, il pomeriggio il lancio con il presidente Renzi, il giorno dopo l’incontro con Confindustria. D’altronde Calenda e il governo italiano hanno capito che dovevano dare un segnale chiaro e forte, sperando che il Sistema Italia avesse la volontà (più che la capacità) di rispondere prontamente al segnale. Al di fuori delle singole criticità che si possono trovare nel piano, il punto focale che determinerà la vittoria o la sconfitta della scommessa è proprio questo: far sì che tutti i soggetti in campo cooperino, recepiscano il segnale, agiscano prontamente e lancino un piano a larga scala di digitalizzazione del tessuto produttivo italiano entro pochissimi mesi.
Ecco le principali sfide che gli attori in campo dovranno portare avanti:
Governo
Paradossalmente, il principale compito del Governo dovrebbe essere quello di fare il meno possibile: deve tener fede alle promesse e creare sistemi automatici di incentivazione che non richiedano lungaggini burocratiche. D’altronde i sistemi di incentivazione presentati da Calenda dovrebbero muoversi in tal senso: l’iper e superammortamento per gli investimenti innovativi, il credito d’imposta per ricerca e sviluppo, gli incentivi fiscali per la finanza di supporto. L’unico rischio reale su questo fronte è che il piano venga stravolto in sede di discussione parlamentare della legge di bilancio, vedremo il primo gennaio se la montagna avrà partorito un topolino.
Il Governo ha inoltre un compito molto difficile in tema di infrastrutture abilitanti. Calenda è stato il primo a riconoscere che il piano BUL è partito dove era più facile intervenire ma meno prioritario, ovvero le zone a fallimento di mercato. Il tema spinoso è che nelle zone grigie (dove l’ultrabroad band arriva a macchia di leopardo) risiede il 69% delle nostre imprese, e lì il Governo dovrà avere il coraggio di trovare molto velocemente soluzioni che concentrino gli investimenti per la copertura di tali aree e di negoziarle con l’Europa, che su questo tema è particolarmente schizofrenica: richiede ai Paesi membri certezze nei tempi di copertura, ma vieta qualsiasi intervento diretto invocando la legislazione in materia di aiuti di Stato.
Delicato è inoltre il tema dell’adozione degli standard, perché il Governo ha dichiarato come principio cardine del Piano la neutralità tecnologica e l’unica soluzione che vada in questo senso è di adottare standard aperti.
Sistema produttivo
La vera scommessa del Piano è quella di aspettarsi che il tessuto imprenditoriale italiano sia pronto dal primo gennaio ad investire in innovazione e a rivoluzionare i propri processi produttivi creando un sistema sinergico tra produzione e servizi. Ad oggi sappiamo da varie ricerche che esistono best practice tra le nostre imprese che hanno adottato in vario modo le tecnologie abilitanti: 3d, laser, robotica, CNC, sistemi di Cloud Computing, tecnologie RFID. Sono tutte soluzioni che parte del nostro tessuto imprenditoriale ha inserito nei propri sistemi produttivi e sta pianificando di integrare per dotarsi di soluzioni IoT più complete. Ma a fianco di campioni di innovazione, troviamo una grande maggioranza delle imprese che non ha pianificato investimenti in tal senso o che (ancor peggio) non ritiene sia importante investire in queste tecnologie: una ricerca di Make in Italy – Prometeia – Fondazione Nord Est parla del 46% delle imprese.
Sarà di assoluta importanza il processo di divulgazione delle conoscenze in tutto il tessuto imprenditoriale da parte di Governo, Associazioni di categoria a livello settoriale e territoriale, grandi player del settore che si dovranno metter al servizio del territorio per informare gli imprenditori. E questa azione dovrà essere immediata, perché dal primo gennaio bisogna iniziare ad investire o si rischia di perdere il treno degli incentivi.
Alta formazione e ricerca
Il sistema italiano non ci aiuta, il modello Fraunhofer in Italia non si potrebbe replicare, ma il Piano Industria 4.0 dovrà essere la molla per accelerare un sistema di interscambio di domanda e offerta che avvicini alle capacità innovative anche piccole e medie imprese, potendo offrire loro soluzioni modulari, scalabili e customizzabili a seconda delle necessità. Il mondo universitario della ricerca deve trovare la giusta collocazione per dialogare con i grandi player fornitori di soluzioni IoT, con le strat up innovative, con le imprese di tutto il territorio italiano, non solo con quelle del suo territorio. E una volta tanto si devono concentrare capacità, competenze e risorse in pochi centri qualificati, invece che sciogliere tali risorse in tremila rivoli campanilistici.
Sistema finanziario
Anche da questo punto di vista l’Italia è sicuramente indietro, sia in tema normativo che di offerta finanziaria. Il Governo dovrebbe mettere sul piatto nuovi incentivi fiscali per la finanza privata a supporto del processo innovativo, ma da parte del nostro mondo finanziario e imprenditoriale ci deve essere più coraggio nell’investimento diretto ai processi innovativi e a sostegno delle nuove realtà innovative, che seppur con grande difficoltà stanno rivelandosi anche in Italia un efficace strumento di ricerca e sviluppo e stanno avendo anche in campo internazionale significativi riconoscimenti.
Sindacati
La grande paura del mondo dei lavoratori è che il processo innovativo faccia sostituire il lavoratore dalla macchina, la realtà è che senza innovazione le nostre fabbriche chiuderanno. La scommessa dei sindacati sarà quella di garantire una formazione continua ai lavoratori esistenti e a pretendere all’interno delle aziende l’apertura a nuove figure professionali che assicurino le giuste competenze innovative.