Due considerazioni di carattere storico ci possono aiutare a comprendere quanto sia importante il ruolo delle università e degli ecosistemi industriali nell’accompagnare le imprese nella necessità di trasformazioni organizzative e tecnologiche che si manifesta in corrispondenza di un cambio di paradigma. A fine Ottocento l’introduzione dell’elettricità nelle fabbriche non portò per circa trent’anni aumenti di produttività in molti paesi. Questo è il tempo necessario per una nuova generazione di manager e ingegneri per prendere la guida delle aziende e delle relative funzioni tecniche e introdurre nuove logiche e nuove tecnologie nell’organizzazione dei sistemi produttivi.
Uno dei luoghi dove il citato aumento di produttività si manifestò fu Torino, dove a inizio Novecento nacquero numerose imprese nel campo automobilistico. Oltre all’emergere di nuove tecnologie favorito dal sistema universitario, a sostenere lo sviluppo di questo settore nella città contribuirono vari elementi: la decisione di investire sull’educazione di ampi strati della popolazione, scelte strategiche di politica industriale, un sistematico spillover di conoscenze fra settori, un nuovo modo di produrre (e la relativa dialettica sociale che ne sarebbe scaturita). Questo complesso ed innovativo ecosistema portò la città a recuperare il ritardo esistente rispetto ad altre regioni, e a raggiungere la necessaria massa critica per diventare un cluster industriale di riferimento nel panorama mondiale.
Lo sviluppo della Seconda Rivoluzione Industriale si portò dietro trasformazioni epocali nell’economia e nella società. Il paradigma della produzione di massa e del fordismo da inizio Novecento agli anni Novanta contribuì ad aumentare la quota del PIL mondiale dei paesi del G7 dal 40% al 70% circa. Se teniamo conto che negli ultimi vent’anni abbiamo compiuto il percorso inverso (ovvero la quota del PIL mondiale dei paesi del G7 è passata dal 70% al 40% circa), abbiamo una misura del cambiamento tecnologico e dei mutamenti economici e sociali che stiamo vivendo e ai quali Industria 4.0 si riferisce. Diverse le possibili spiegazioni di tale cambiamento: tecnologiche, economiche e istituzionali, e fra di esse vi è certamente la possibilità data dall’Information Technology di coordinare processi produttivi a distanza, ristrutturare le filiere di produzione e trarre vantaggi dai differenziali nel costo del lavoro.
Anche il trend storico di recupero della produttività dell’Europa rispetto agli USA si è interrotto circa vent’anni fa, epoca in cui si è fermata anche la crescita della produttività italiana. Tale divergenza si manifesta a partire dal momento in cui il World Wide Web inizia a cambiare la struttura dell’economia globale, velocizzando l’accesso alle informazioni disponibili e intermediando i processi di produzione di conoscenza. I dati evidenziano la difficoltà delle imprese italiane nel confrontarsi con questo cambiamento tecnologico e nell’acquisire le competenze da esso richieste. Il gap ha riguardato anche il legame fra margini di profitto e volumi di produzione nei paesi in cui l’industria manifatturiera è nata e si è sviluppata. Pur essendo l’accesso alle tecnologie disponibile in modo omogeneo, la diversità di percorso intrapreso dai settori manifatturieri di USA, Italia, Germania e Francia dimostra l’esistenza di modelli alternativi di rapporto fra ricerca, sviluppo tecnologico e produzione, a seconda delle scelte di investimento su capitale umano e innovazione tecnologica. I diversi livelli di investimento congiunto in conoscenze e tecnologie in alcuni paesi hanno portato ad un “avvitamento della produzione”, pur in presenza di costi del lavoro inferiori. È purtroppo evidente anche in questo caso la difficoltà italiana nell’investire in tecnologie e in nuove competenze.
Questi pochi fatti rilevano una significativa discontinuità rispetto al passato portata dal paradigma di Industria 4.0, a cui si associa una crescente difficoltà nell’utilizzo delle nuove tecnologie, capace a sua volta di creare significative ed evidenti differenze sociali ed economiche. L’evoluzione avviata circa 20 anni fa e alimentata da differenti “ondate tecnologiche”, è stata accompagnata da una crescente pervasività del World Wide Web e dalla conseguente convergenza di prodotti e servizi. A Industria 4.0 è associata una pluralità di tecnologie complementari in cui le capacità di raccogliere ed elaborare rapidamente informazioni provenienti dalla fabbrica e dal mondo della produzione diventa fondamentale per produttività e capacità di innovazione. Tutti questi ambiti sono importanti per la ricerca scientifica e su molti di questi settori il Politecnico di Torino è estremamente attivo e sta investendo con un orizzonte temporale di lungo periodo.
A guidare la trasformazione della Quarta Rivoluzione Industriale è il nuovo ruolo di informazione e conoscenza quali fattori di produzione. La digitalizzazione dei processi produttivi è partita dai settori information intensive (banche e finanza, musica, editoria, advertising, ecc.) e si è allargata ad alcuni settori “fisici” (turismo, hotel, trasporto, ecc.) e alle relazioni fra persone (social networks). L’elemento di novità di Industria 4.0 riguarda gli ambiti di digitalizzazione, che si estendono a settori fino ad ora considerati come “medium tech”, e che rappresentano il cuore della specializzazione produttiva italiana. Si tratta di ambiti produttivi diffusi su tutto il territorio nazionale, che garantiscono un elevato numero di posti di lavoro a individui con competenze molto differenziate. In assenza di una robusta iniezione delle tecnologie prima elencate sarà difficile per questi ambiti sopravvivere alla competizione.
In parallelo, prodotti ritenuti “meccanici”, come l’automobile, cambiano funzione incorporando 40 milioni di linee di codice e sfuggono alle categorie del passato. I confini fra prodotto e servizio diventano labili, con implicazioni non ancora chiare, con un peso comunque crescente dell’Information Technology come strumento di controllo della componente hardware dell’industria. Questo fenomeno evolutivo ha portato alcune imprese percepite come “IT-based” a vendere oggi prodotti fisici (occhiali, orologi, servizi di logicistica e forse automobili…). Le nuove tecnologie consentono infine la produzione di oggetti prima non ottenibili e/o una trasformazione radicale di oggetti esistenti. Ad esempio le attività di ricerca congiunte fra Avio Aero ed il Politecnico di Torino sull’uso dell’additive manufacturing nella produzione di nuovi motori di aereo hanno contribuito a sostituire circa 850 componenti con soli 12.
Vi sono dunque alcune discontinuità rispetto al passato su cui riflettere. In primo luogo, l’adozione del paradigma di “Industria 4.0” deve avvenire su larga scala, e questo è più difficile per l’Italia che per la Germania, data la diversa dimensione media delle imprese e la conseguente difficoltà a creare awareness e a realizzare investimenti complessi. La diversificazione produttiva italiana rende difficili scelte nette nell’indirizzare gli investimenti, ma è parimenti arduo fare delle scelte a priori. Non di meno, non è pensabile che il sistema delle imprese possa sviluppare da solo le nuove conoscenze ad esso richieste.
In secondo luogo, bisogna considerare che dati, conoscenza e competenze costituiscono un fondamentale fattore di produzione capace di determinare produttività e capacità competitiva. Si sta già competendo sulla capacità di generare, raccogliere e analizzare grandi moli di dati, al fine di trasformare i processi decisionali tradizionali a livello di fabbrica. Dati e algoritmi utili per gestire la produzione possono non risiedere più nella stessa organizzazione e addirittura nella stessa nazione, relegando chi produce ma non controlla dati e software della sua produzione a una posizione marginale nella filiera e nella generazione di valore economico.
Infine, l’Italia si presenta a questa sfida come una delle principali nazioni manifatturiere, con tuttavia una percentuale di laureati in tale settore inferiore alla media mondiale, dimostrando una sostanziale debolezza strutturale che potrebbe peggiorare nei prossimi anni. Tenuto conto dell’intensità e rapidità del cambiamento dei modi di produrre, le università devono lavorare per evitare asimmetrie (che si prospettano maggiori rispetto al passato) nella distribuzione e nell’accesso alle conoscenze, capaci di aumentare le divergenze e le tensioni economiche e sociali.
La necessità di modificare in modo strutturale il paradigma di produzione e trasferimento di conoscenze e competenze introduce il tema del “come” fare fronte a questa sfida, e a questo aspetto fa riferimento la costituzione del Competence Center del Politecnico di Torino, che porta con sé alcune novità. Innanzitutto, la necessità di creare luoghi fisici aperti in cui far convergere e coesistere i risultati della ricerca scientifica e tecnologica e le esigenze del sistema produttivo. La contiguità fisica è necessaria per combinare e creare complementarietà tra alcune delle enabling technologies.
L’additive manufacturing, ad esempio, ha bisogno che vengano sviluppati in parallelo HPC, IoT, machine learning e big data. Bisogna poi considerare la crescita della scala degli investimenti della ricerca e la loro focalizzazione, per competere ad armi pari a livello internazionale; la scala subottimale attuale limita infatti lo sviluppo e l’accesso alle nuove tecnologie. Infine, l’ultimo elemento centrale è la comprensione degli standard internazionali nella fase di sviluppo ed applicazione delle conoscenze tecniche e scientifiche, per evitare di avviare traiettorie di sviluppo tecnologico senza futuro.
Il Competence Center del Politecnico sarà dunque un luogo fisico che svilupperà e metterà a disposizione le conoscenze generate dalle attività di ricerca per elaborarne di nuove, adattandole a diversi ambiti e processi produttivi, coerentemente con le logiche di Trasferimento Tecnologico che l’ateneo si è dato. La ricerca universitaria dovrà sviluppare contemporaneamente ambiti di ricerca specialistici e sperimentare con il mondo produttivo nuove complementarietà fra tali tecnologie, attraverso la collaborazione fra ambiti scientifici multidisciplinari, l’aiuto agli early adopters locali, la condivisione di investimenti e sperimentazioni. Tutto ciò riprende e sviluppa in modo moderno le scelte fatte dal Politecnico negli ultimi vent’anni con la costruzione della Cittadella Politecnica, dove sono stati localizzati l’Incubatore di Imprese Innovative e attività congiunte con grandi imprese.
Il Centro dovrà migliorare la capacità del Politecnico di trasferire la conoscenza generata dalla ricerca scientifica per farla convergere su ambiti applicativi differenziati in modo continuo e strutturale, includendo giovani, PMI ed il mondo della formazione pubblica. Il Competence Center vedrà la compresenza di «hardware» e «software», per superare la «dualità» esistente oggi fra ICT e manifatturiero. Al fine di tenere conto dell’evoluzione delle cosiddette Breakthrough Technologies, il Politecnico farà convergere nel Competence Center gli investimenti dei Centri Interdipartimentali dei quali si è dotato, per raggiungere una massa critica adeguata. Il Centro sarà esteso a «rete» a livello regionale ed europeo e sarà caratterizzato dalla compresenza di tecnologie di frontiera con uno stadio di maturità “intermedio” (TRL >=5) per supportarne l’industrializzazione tramite «Demo» e «Proof of Concept» realizzati con le imprese.
L’ambito industriale di riferimento sarà l’automotive e via via le tematiche saranno ampliate a tutti i settori ad esso correlati; le tecnologie oggetto del lavoro del Centro saranno tutte quelle più innovative (materiali, macchine, metodi di progettazione, laser, software, ecc.), ma l’Additive Manufacturing sarà la tecnologia abilitante centrale in questo processo, con l’obiettivo di svilupparne le complementarietà con altri ambiti innovativi quali Big Data, High Performance Computing, Internet delle cose, realtà aumentata e advanced manufacturing, in un sistema complessivo che si svilupperà in stretta relazione con i diversi attori del territorio.
Essendo il Piemonte una delle regioni europee per maggiore capacità di brevettazione in nuovi ambiti tecnologici, verrà posta l’attenzione anche su settori correlati come l’aeronautico, il ferroviario, il biomedicale, l’agricoltura e l’alimentare, per il ruolo importante che avranno in futuro.
Un ultimo punto del quale bisognerà tenere a mente la centralità nella costituzione del Competence Center è il fattore umano come punto centrale di Industria 4.0, alla luce dell’accresciuta importanza delle competenze degli individui, del cambiamento delle esigenze formative e dell’emergere di nuovi modelli di organizzazione del lavoro capaci di superare il fordismo. Anche questo aspetto ha un’importante valenza territoriale. L’accumulo di competenze e conoscenze in un territorio determina anche qualità e numerosità dei posti di lavoro, nonché la loro collocazione geografica e distribuzione su tutti i livelli della società, generando maggiore ricchezza e coesione sociale. È questo il vero elemento differenziante fra paesi, e credo sarebbe difficile porre rimedio ai processi di divergenza economica e sociale se la ricerca universitaria se ne dimenticasse, non limitando la riflessione al solo ruolo della tecnologia nella creazione o distruzione di posti di lavoro; il tema è infatti complesso, tuttavia è certo che Industria 4.0 sta generando una radicale trasformazione del concetto di lavoro, di rottura rispetto al passato su molti aspetti. Le tecnologie di industria 4.0 offrono l’opportunità di rendere il lavoro più sostenibile dal punto di vista cognitivo, fisico e delle relazioni sociali.
Sono quindi tre i temi che saranno centrali nell’attività del Competence Center del Politecnico. Per prima cosa, la progettazione di luoghi di lavoro sostenibili, finalizzata a garantire sicurezza, salute e benessere. Poi, la progettazione del cambiamento dei contenuti del lavoro e dell’apporto cognitivo dei singoli, che verrà accelerato dall’uso di algoritmi e “big data” in fabbrica. Il lavoro nell’assemblaggio non sparirà, anzi sta diventando maggiormente qualificato vista la complessità concettuale e manuale richieste, di cui robot e Intelligenza Artificiale potranno difficilmente appropriarsi. Sarà importante studiare il modo con cui la tecnologia cambierà le attività degli individui (meno fatica fisica e maggiore stress mentale per semplificare) e le competenze tecniche loro richieste. I fatti dimostrano come il superamento del fordismo stia causando l’abbattimento dei muri fra “chi sa” (ingegneri e specialisti) e “chi fa” (operai), con la compenetrazione a livello micro organizzativo tra saperi diversi. Infine, la progettazione di nuovi percorsi di formazione in logica life long learning capaci di includere tutti. I requisiti di istruzione e formazione tecnica nelle fabbriche sono aumentati (con un generale upskilling già oggi visibile) e creano nuove opportunità professionali. Il processo di cambiamento dovrà essere sostenuto in modo strutturale sia con giovani laureati e diplomati, sia con la formazione di chi è già nel processo produttivo, al fine di garantire equità ed inclusione sociale.
Il Competence Center rappresenta quindi un ulteriore passo del Politecnico di Torino nel suo percorso di definizione della relazione futura fra ricerca e società, necessaria per evitare concentrazione di conoscenze e garantire alla collettività di beneficiare dell’innovazione tecnologica e non di subirla. Sarà un fattore chiave per lo sviluppo del territorio, prevedendo fin dalla sua nascita la necessaria attenzione ai cosiddetti “fattori critici di successo”, indispensabile per evitare prematuri fallimenti dei processi di innovazione e garantirne invece il successo: condivisione di indirizzi a livello di territorio, collaborazione fra istituzioni, libertà di accesso e di trasferimento delle conoscenze, garanzia di risorse sufficiente e continue, capacità di assumersi rischi e di avere una chiara visione del cambiamento del lavoro e dei suoi contenuti.