La metà degli studenti italiani alle prese con il tema di maturità ha scelto una delle due tracce che di fatto riguardano Industry 4.0 (di Corcom, per altro): il 38,9% ha scritto su “nuove tecnologie e lavoro”, il 10,2% ha affrontato il tema tecnico-scientifico su “Robotica e futuro fra istruzione, ricerca e mondo del lavoro”. I maturandi di oggi saranno nel mondo del lavoro domani, nel caso in cui decidano di non proseguire gli studi, o fra 5-6 anni se invece sceglieranno di frequentare l’università e prendere una laurea. «Diciamo che i giovani non sono solo interessati, attratti, dal futuro e dall’innovazione come è naturale che sia, ma forse sono anche consapevoli che nei prossimi anni ci saranno delle novità che coinvolgeranno il loro futuro», commenta Giovanni Biondi, presidente di Indire (Istituto Nazionale Documentazione Innovazione Ricerca Educativa). Speriamo che ci siano delle novità in vista per i prossimi anni, verrebbe da aggiungere visto che nelle ore in cui gli studenti sceglievano, numerosissimi, di scrivere del futuro del lavoro nel mondo digitale e interconnesso del terzo millennio, l’Istat pubblicava il report sulla redistribuzione del reddito in Italia, dal quale emerge che i giovani fra i 15 e i 24 anni (è la fascia di età in cui si trovano i maturandi) sono gli italiani maggiormente a rischio povertà, immediatamente seguiti dai neolaureati e i giovani lavoratori, ovvero coloro che hanno fra i 25 e i 34 anni. Anche senza quest’ultimo report Istat, comunque, le difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro dei giovani erano già ampiamente documentate da indici di disoccupazione e inoccupazione, numeri sul precariato, e analisi degli istituti nazionali e internazionali sul mondo del lavoro italiano.
Chissà se fra le due componenti citate da Bondi, il naturale interesse dei giovani per le tecnologie oppure i cambiamenti in atto nel mondo del lavoro, ha pesato maggiormente la prima o la seconda. Sarebbe interessante sapere se i temi si sono maggiormente concentrati sulle potenzialità che le nuove tecnologie offrono in termini di nuovi sbocchi professionali, o di modalità innovative di lavoro (smart working, fabbrica diffusa) o sul rischio che il futuro, fra robot che sostituiscono il lavoro umano, nuove tecnologie con cui stare al passo, e mercati sempre più competitivi, sia ancora più difficile del presente.
“Industria 4.0, la grande occasione per l’Italia”, si intitola il report 2017 dell’Osservatorio del Politecnico di Milano sulla quarta rivoluzione industriale. Ci piace pensare che i maturandi abbiano immaginato una rivoluzione tecnologica che possa veramente rappresentare una grande occasione. E che, magari, abbiano anche lavorato di fantasia, proponendo scenari, idee, fornendo una vision da nativi digitali (o quasi) del mondo nel quale lavoreranno. «Siate affamati, siate visionari» disse Steve Jobs, 12 anni fa, agli studenti dell’Università di Stanford, in California (che lui aveva abbandonato per andare in un garage a fondare Apple). «La sfida della nostra generazione è creare un mondo dove tutti sentano di avere uno scopo» ha invece detto Mark Zuckerberg, un mese fa, agli studenti di Harvard (università che ha abbandonato per fondare Facebook). «Siete cittadini del mondo. Usate questa opportunità, alzate la voce. Siete più connessi di qualsiasi altra generazione mai esistita», «andate oltre, portate più in là le frontiere», ha detto due anni fa Tim Cook, amministratore delegato della stessa Apple, agli studenti della Bocconi. Potremmo continuare nelle citazioni. Il fatto è che i maturandi sono tutti gli studenti italiani che hanno terminato le scuole superiori, non i pochi che hanno la fortuna di frequentare le più prestigiose università. Hanno comunque vent’anni, quindi speriamo e immaginiamo che, Harvard o non Harvard, siano stati visionari.
Però, se l’Italia perde la grande occasione di Industry 4.0, le loro aspirazioni rischiano, in molti casi, di andare deluse. Il piano del Governo delle sfide relative al mondo del lavoro non si occupa molto. Punta sugli incentivi alle imprese, con il preciso e dichiarato obiettivo di far ripartire gli investimenti e di stimolare l’innovazione. E sulle competenze: questo è il capitolo che sta per iniziare proprio in questi mesi, il decreto attuativo sui competence center è atteso a breve, nei prossimi mesi partiranno le attività di questi poli di eccellenza intorno ai quali dovranno svilupparsi le professionalità del futuro. I competence center dovranno supportare le imprese nel percorso verso l’innovazione, fare ricerca, sperimentare nuove tecnologie, e formare le nuove professionalità. Il piano del Governo prevede anche altri strumenti, a partire dal coinvolgimento delle scuole superiori, per sviluppare le competenze del futuro (un futuro che si gioca nell’arco dei prossimi 10 anni).
Il successo dei temi di maturità legati alle tecnologie è un ottimo punto di partenza, verrebbe da dire. Cosa può e deve fare la scuola per valorizzarlo? «In questo la scuola ha difficoltà, diciamocelo francamente, e per due motivi – spiega Biondi – : il primo, perché tende a considerare questo argomento come se fosse una materia scolastica e questo è il primo modo per disinnescarne l’innovazione», perché significa «delegare questo interesse in una parte del curriculum, come una delle tante materie e questo è l’errore peggiore che possiamo fare. E’ come pensare che il digitale sia uguale all’informatica, quando si tratta di due cose ben diverse». Il secondo aspetto «è che non c’è a volte la consapevolezza e la preparazione degli insegnanti per poter affrontare questo futuro ormai così presente. Gli insegnanti hanno spesso una preparazione antica, e non sono consapevoli di quello che sta avvenendo». La scuola rischia insomma di essere «un po’ staccata dalla realtà che la circonda». Però è anche vero che «si preparano i ragazzi a una rivoluzione di questo tipo anche attraverso la versione di greco, perché tutto quello che insegna a ragionare va nella giusta direzione. La robotica non si insegna imparando un linguaggio che tra cinque anni sarà totalmente superato, quindi ti occorrono oggi delle competenze di base da formare attraverso lo studio, il potenziamento cognitivo. Non è tecnologizzando la scuola che si risolve il problema». Però, forse, è anche valorizzando il ruolo dei giovani che si fa Industria 4.0.