il commento

Innovare l’industria italiana, perché serve un nuovo piano del Governo



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Il modello “Society 5.0” ripensa i processi produttivi delle nostre imprese, integrando tecnologie come IOT, Intelligenza Artificiale e robotica in ottica più sostenibile: una sfida epocale che necessita di azioni concrete e interventi strutturali fatti di capitale umano e tecnologia

Pubblicato il 25 mag 2023

Gianni Potti

Presidente Fondazione Comunica e founder DIGITALmeet



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Razionalizzazione delle misure di incentivo, coordinamento tra le amministrazioni centrali e regionali per prevenire sovrapposizioni e sprechi, semplificazione e chiarezza grazie al nuovo codice degli incentivi: sono alcune delle misure che il Governo sta definendo in queste settimane per approfondire i programmi realizzati, le prospettive e le possibili nuove policy dedicate al piano di trasformazione digitale del Paese.

Da Industry 4.0 a Society 5.0

La sfida è quella di realizzare il passaggio dal modello “Industria 4.0”, focalizzato su efficienza e produttività dei macchinari, al paradigma “Society 5.0”, che ripensa i processi produttivi delle nostre imprese integrando tecnologie come IOT, Intelligenza Artificiale e robotica, in ottica più sostenibile: una sfida epocale che necessita di azioni concrete e interventi strutturali fatti di capitale umano e tecnologia, la vera competizione del 5.0. Un modello, Society 5.0, sostenuto anche dall’Unione Europea. Infatti, dal 2021 la Commissione Europea ha ufficialmente adottato la visione della “Society 5.0”, promuovendo un modello basato su un’industria sostenibile e resiliente, che pone al centro la vita quotidiana dei cittadini. Un modello “umano-centrico” in cui le tecnologie sono fattore abilitante, e che evidenzia come la “trasformazione digitale sia il perno essenziale per la costruzione di una società più sostenibile”.

Molti però non sanno di cosa si sta parlando quando si parla del modello 5.0. Proviamo allora ad approfondire.

Industry 4.0, Italia in ritardo

È ormai un dato acclarato constatare il rallentamento registrato dal piano “Industria 4.0” – anche dovuto all’esplosione di eventi epocali come la pandemia e il conflitto in Ucraina – e nell’invocare la necessità di dare un nuovo impulso al programma, in un’ottica di innovazione sostenibile.

Una situazione fotografata in modo chiaro dall’ultima edizione del DESI (settembre 2022), l’indice di digitalizzazione dell’economia e della società elaborato dalla Commissione UE, che vede l’Italia al diciottesimo posto fra i 27 Stati Membri dell’Unione Europea. Un rating che migliora considerando come indicatore l’integrazione delle tecnologie digitali nel mondo dell’impresa, con l’Italia che sale all’ottavo posto in classifica ma che vede le nostre aziende ancora indietro per quanto riguarda l’utilizzo di tecnologie specifiche, come ad esempio i big data (9% vs media UE del 14%) o quelle basate su sistemi di Intelligenza Artificiale (6% vs l’8% della media UE). A confermare il rallentamento, anche l’ultimo report dell’Istat (gennaio 2023) su PMI e ICT, che evidenzia la stabilità di altri indicatori, tra cui quello relativo alle imprese che utilizzano la robotica (8,7% nel 2021 vs 8,8% nel 2020) e quello relativo alle PMI che impiegano specialisti ICT (13,4% nel 2021 vs 12,6% nel 2020).

Il nuovo concetto di Società arriva dal Giappone

Era il 19 ottobre del 2017 e mi stavo domandando, con parole semplici, e comprensibili ai più, cosa volesse dire questa rivoluzione, che cos’è il digitale? Mi facevo queste domande per presentare nel modo più appropriato il professor Keiju Matsushima, docente all’Hosei University di Tokyo, Presidente del Working Group per le PMI all’interno del Consorzio giapponese RRI, Robot Revolution Initiative. Tra l’altro per la prima volta in Italia… Una vera autorità mondiale nel 4.0, portatore della visione giapponese chiamata Society 5.0, della quale capiremo qualcosa di più proprio dalle sue parole, tra qualche capoverso. Matsushima definisce due momenti: “il primo riguarda il concetto di connected industries, successivamente svolge una panoramica di quali attività siano state intraprese da RRI”.

Le pmi chiave per diffondere la quarta rivoluzione industriale

Il Governo giapponese nel 2016 ha presentato la strategia di rilancio del Paese, che è articolata in 10 punti, e che sono stati dichiarati ad Hannover. Il Governo per questi 10 progetti strategici ha stanziato 600 miliardi di yen, che sono pari a 4 miliardi di euro. Tra i 10 progetti uno riguarda IoT, Big data e intelligenza artificiale, quali tecnologie nate proprio all’interno dell’Industry 4.0, ma un altro progetto altrettanto strategico è l’innovazione per le PMI e per le microimprese. Lo stesso Primo Ministro Abe dichiarò al tempo che le piccole e medie imprese sono la chiave per diffondere la quarta rivoluzione industriale nel Paese. Le sue parole sono state: promuoveremo e supporteremo l’introduzione di IT e robot adatti ai fabbisogni di qualsiasi azienda, e ha fatto in questo modo una sorta di giuramento… si è preso pubblicamente un forte impegno nei confronti delle aziende. A marzo 2017 poi, in occasione del CEBIT di Hannover, durante un incontro congiunto con la Cancelliera Merkel, nuovamente il Primo Ministro Abe dichiarò che le intenzioni, in questo caso di attività congiunte con la Germania, saranno rivolte anche al supporto alle piccole e medie imprese, e per la prima volta in questo contesto si è esplicitato il ruolo atteso dalle tecnologie anche come soluzione ai problemi sociali.

È stata, questa, l’occasione anche di ribadire il tema della Society 5.0, che si sviluppa con lo scopo di integrare nel tessuto produttivo e nella società le nuove tecnologie emergenti. Queste nuove tecnologie non sono solo dedicate alla realtà industriale, ma anche alla società civile e, quindi, per rispondere ad alcuni problemi emergenti. Ricordiamoci infatti che il benessere delle persone porta anche al benessere delle aziende, e viceversa.

Society 5.0: nuovo valore con le industrie connesse

Society 5.0 passa necessariamente attraverso il concetto di connected industries. Connected industries consiste nella connessione attraverso le tecnologie di industrie produttive, imprese, organizzazioni… connettere cose, aziende, persone, dati. Non si utilizza solo per aumentare il proprio fatturato, non solo per migliorare la qualità del lavoro, lo scopo finale è creare nuovo valore.

In Giappone, come da noi stanno vivendo l’invecchiamento della popolazione, la mancanza di giovani leve. Devono affrontare problemi collegati all’energia, ai contesti in cui operiamo, e quindi attraverso connected industries possiamo dare una risposta a problemi sociali, a mancanza di personale, a vincoli ambientali, e quindi rafforzare al tempo stesso la competitività industriale e migliorare la qualità della vita. Abbiamo visto che non solo le tecnologie si sono evolute attraverso le rivoluzioni industriali, ma anche la società si è trasformata, è passata dalla società primitiva alla società agricola, ora siamo nella società digitale, e stiamo andando verso la Society 5.0.

Come già velocemente accennato, ora, colleghiamo. Colleghiamo le cose tra di loro, le persone con gli impianti, le persone con le persone, fino ad arrivare a collegare le aziende tra di loro, grazie anche all’utilizzo condiviso della tecnologia.

I vantaggi per le pmi che utilizzano il connected industries

Ma quali possono essere i vantaggi per le piccole e medie imprese che utilizzano il connected industries? Attraverso le nuove tecnologie, IoT, robot e Big data è possibile migliorare la produttività, e quindi la qualità del lavoro, ovviamente ridurne i costi, però è possibile anche avere una capitalizzazione delle conoscenze, cioè trasferire ciò che le nostre risorse hanno imparato nella loro attività alle giovani leve in modo più veloce. È possibile, quindi, attraverso la cooperazione ampliare il proprio business e anche arrivare a pensare a nuovi modelli di business.

Come noi, il Giappone ha, poi, il problema che c’è una scarsità di manodopera qualificata, soprattutto le piccole e medie imprese si trovano ad affrontare una scarsità di persone che rispondono alle proprie ricerche di personale, e dobbiamo, comunque, relazionarci con mercati emergenti, che hanno delle necessità differenti, e quindi dobbiamo conoscerli.

Quindi il monozukuri, su cui indirizziamo le nostre aziende, deve comunque portare con sé questa consapevolezza: di non dimenticare il valore delle persone, che sono fondamentali, tanto quanto, se non di più, rispetto alle tecnologie, e non perdere mai di vista il cliente, quindi produrre prodotti e servizi che abbiano un valore per il cliente. Ogni azienda ha un modo differente e dei tempi differenti per l’introduzione dell’IoT e delle altre tecnologie innovative, e quello che suggeriscono i giapponesi è di cominciare sempre con un percorso fatto di piccoli passi, per esempio introdurre in produzione, nel gemba, degli strumenti di IoT può essere proprio la partenza, ci permetteranno di migliorare l’efficienza della nostra produzione e, successivamente, facendoceli propri e utilizzandoli al meglio potremmo anche arrivare ad uno stadio di rafforzamento della nostra competitività. Non c’è un solo modo per introdurre l’IoT, ce ne sono molteplici. L’IoT ci permette di raccogliere numerosi dati, e l’analisi di questi dati è importantissima per indirizzare il business.

La connessione tra gli attori industriali e sociali

Il concetto che vi ho prima esplicitato, di Society 5.0, prevede una connessione tra gli attori industriali e sociali. In ogni Regione, per esempio, del Giappone è possibile creare una piattaforma, in alcune parti hanno già iniziato, dove le aziende collaborano con i propri partner industriali e con attori di diverse realtà. È necessario essere connessi, collegati con i propri fornitori, con i propri partner, e con chi sull’area è un attore importante, e possiamo semplificare la connessione su tre direttrici:

  • la connessione delle informazioni attraverso la raccolta dei dati, dati che arrivano dalla raccolta degli ordini o dalle consegne;
  • un secondo è il canale della ricerca e sviluppo, che permette, appunto, di mettere in campo delle innovazioni migliori e variegate;
  • un terzo punto è la qualità, condividere le proprie situazioni produttive per migliorare la qualità dei prodotti.

È una missione, più che una decisione, quella di avere sempre dei prodotti di alta qualità. Non possiamo permetterci che dei prodotti inadatti o difettosi raggiungano il cliente. Dobbiamo pensare in un contesto di continua relazione che le connessioni, il trasferimento di dati e di competenze, e di conoscenze deve essere sempre condiviso, quindi non solo internamente, nelle aziende, ma anche esternamente, con attori, quali banche, piuttosto che fornitori di servizi. dei benefici a livello globale.


Conclusioni

Su Industria 5.0 pare sia indirizzata sempre più anche la strategia del governo. Lo dice in primis il Ministro Adolfo Urso: “il sistema produttivo italiano è in grado di guardare al futuro dove sarà fondamentale la transizione digitale… Alle aziende serve una riforma complessiva delle risorse a cui poter attingere per investire e crescere da un punto di vista innovativo: dai benefici fiscali per le imprese a maggior impatti tecnologico (chip, aerospazio, alta tecnologia clean tech), ma anche un Fondo sovrano europeo in grado di accelerare la doppia transizione, verde e digitale, che è la cornice entro la quale si dovrà sviluppare il paradigma Industria 5.0”.

Ma l’Italia dei DIH ancora mai decollati, delle competenze sovrapposte tra enti diversi, con evidenti sprechi, è ancora questa appena descritta o gira pagina davvero per produrre innovazione e visione futuro Paese.

Io voglio essere ottimista, ma è necessario un piano Paese coordinato dal Governo che sappia coordinare le politiche, snellire la burocrazia, gestire le modeste risorse (che magari col PNNR potrebbero diventare significative). Stiamo a vedere.

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