Il 2018, appena concluso, è stato un anno di importanti cambiamenti, in tutte le aree della trasformazione digitale del paese e per il prossimo biennio ci sono tutte le condizioni per fare bene.
I risultati dipenderanno (nonostante qualche ombra macro-economica) dalle capacità e dalle scelte di chi, nelle aziende della domanda e dell’offerta, ma anche negli enti di ricerca e formazione, ha la responsabilità di orientare dal basso le direzioni di sviluppo delle imprese, che diventeranno poi quelle emergenti del Paese.
Industria 4.0: lo stato dell’arte
Partiamo dal mondo Industria 4.0, ovvero dalla digitalizzazione dei processi operativi (industriali e logistici in primis). I dati del 2018 parlano di un fenomeno ormai universalmente conosciuto, pienamente avviato nelle medie-grandi imprese (una su due) e, più a macchia di leopardo, nelle medio-piccole (meno di una su dieci). Il mercato di progetti e servizi continua a crescere del 30% anno su anno e, ormai con stabilità nella conduzione dei nostri studi di caso, assistiamo non più ad iniziative isolate, ma ad azioni progettuali inserite in una roadmap ben meditata di cambiamento. Il Piano Nazionale Impresa 4.0, dopo una prima versione che aveva suscitato non poche riserve (tra cui la mia), ha molto beneficiato del successivo iter parlamentare, arrivando ad una versione definitiva che accoglie tutte le richieste della comunità dell’Industria 4.0, confermando o rimodulando in una ragionevole “chiave PMI” le disposizioni precedenti, e aggiungendone di nuove (su tutte, molto importante, l’ammissibilità per i canoni di soluzioni 4.0 in cloud). Oltre alla rilevanza economica degli incentivi, il ricorso ai quali da parte delle imprese è comunque legato alla normale dinamica del ciclo di investimenti, è importante il messaggio di continuità e di rinforzo che arriva dal Governo, per favorire la trasformazione della nostra industria.
Le due direzioni della trasformazione nel 2019
Nel 2019 è lecito attendersi che il percorso di trasformazione proseguirà lungo due direzioni.
- Nella prima, le imprese (grandi o piccole) che hanno già avviato progetti continueranno nella loro roadmap, la quale ha un orizzonte tipicamente triennale. Questo percorso sosterrà nuovi investimenti, con uno focus iniziale sui processi interni (i.e. progetti di Smart Factory, oltre il 50% delle iniziative osservate) ma in breve si estenderà alle altre attività della catena del valore, dalla gestione dei fornitori a monte alla visibilità a valle, o affronterà la gestione collaborativa del ciclo di vita del prodotto. Nei casi raccolti dal nostro Osservatorio, in questo senso, oggi non vi è una sostanziale differenza data dalla dimensione di impresa: un management competente ed illuminato crea eccellenze anche tra imprese di piccola dimensione; una differenza tuttavia potrebbe generarsi più avanti, uscendo dall’ambito interno e passando alla digitalizzazione dei processi operativi di interfaccia: in questo caso, la dimensione dell’impresa e la sua forza “suadente” nei confronti dei propri partner potrebbe fare la differenza, per cui è possibile che imprese più piccole, anche se avranno saputo lavorare bene internamente, possano avere delle battute d’arresto in una seconda fase. A questo scopo, sarà essenziale il ruolo giocato dalle piattaforme cloud e, forse, fra qualche mese potrà essere utile ragionare sul lavoro che il Soggetto Pubblico potrà fare per facilitare la nascita e l’utilizzo di appositi ambienti di integrazione, tagliati sulle esigenze delle imprese più piccole.
- Nella seconda direzione, si tratterà di mettere in moto le (tante!) imprese che ad oggi non si sono ancora attivate. La persistenza degli incentivi potrà aiutare ma, giunti al terzo anno, non credo che questo fattore possa rappresentare un catalizzatore, mentre la sua assenza avrebbe certamente rappresentato un freno. Per le imprese più grandi, è ragionevole assumere che i driver di valore siano stati ormai molto chiaramente comunicati, quindi rimangono ad evidentiam dei temi di priorità e di risorse; per le imprese più piccole, invece, le analisi finora condotte indicano spesso un gap di visione manageriale e di competenze, soprattutto nella direzione IT, che è tradizionalmente quella più esposta ai paradigmi e alla logiche sottostanti alla trasformazione digitale e che se ne fa promotrice. Ora, sebbene alcuni analisti e alcuni commentatori sottolineino come un problema l’attuale scarsa penetrazione del 4.0 nelle piccole imprese, io credo che questo stato sia assolutamente naturale, e comprensibile. Da un lato (come già in passato per altre discontinuità tecnologiche) l’offerta si è concentrata su prodotti, servizi e canali più pensati per le grandi imprese che non per le piccole; dall’altro, mancavano strutture pubbliche e private che aiutassero a dimostrare il potenziale del cambiamento, in modo tangibile. Con la progressiva costituzione della rete dei Digital Innovation Hub, dei Punti di Innovazione Digitale e, infine, dei Competence Center, si sta consolidando proprio quella infrastruttura sul territorio che è indispensabile per avvicinare, ispirare, accompagnare e formare le piccole imprese. Questo approccio, definito già dai tempi del primo piano Calenda, era noto e condivisibile: adesso bisogna passare all’esecuzione, la quale farà la differenza, ed i prossimi due anni saranno fondamentali. Palla nel nostro campo.
Il 2018 dell’IoT
Spostiamoci ora nel mondo Internet delle Cose, non nella sua accezione di layer infrastrutturale alla base di tutta la quarta rivoluzione industriale, quanto nella sua accezione di innovazione di prodotto e servizio secondo il paradigma dello Smart & Connected Product, come codificato da Porter & Hepplemann. Anche in questo caso il 2018 è stato un anno dagli straordinari risultati: un mercato in crescita di quasi il 30% (nonostante la stasi del comparto smart metering gas), quasi un terzo del mercato già costituito da servizi a valore e non più dalla sola vendita di prodotti intelligenti, alcune aziende italiane leader al mondo nella transizione verso modelli di business basati su sistemi di sistemi (si pensi a Technogym), interi comparti dalla straordinaria rilevanza commerciale che hanno appena avviato la loro trasformazione, primo su tutti il mondo automotive.
Oltre a ciò, nei 30 casi di studio condotti su PMI in seno all’Osservatorio I4.0, molte piccole imprese che avevano lavorato poco o nulla sulla digitalizzazione del processo produttivo risultano già avere nella propria offerta prodotti connessi (e.g. forni, macchine da caffè o centri di lavoro): questo è rilevante poiché la progettazione e l’offerta di servizi abilitati dalla connessione del prodotto porta comunque con sé la necessità di gestire tutto lo stack tecnologico che va dalla raccolta del dato alla sua elaborazione, dalla gestione della sicurezza all’ambiente di sviluppo aperto a terze parti, esponendo l’impresa (da un’altra angolazione) ai medesimi temi di trasformazione digitale.
Infine, un ultimo evento di particolare rilievo avvenuto nel 2018 è stato l’ingresso in Italia degli assistenti vocali di Google e Amazon: oltre alla valenza del prodotto in sé, gli assistenti vocali sono di grande interesse perché rappresentano una soluzione semplice, anche se non la più performante, al tema dell’interoperabilità dei dispositivi domestici. Che scenario prefigurano, nel 2019, tutti questi elementi?
Gli sviluppi dell’IoT nel 2019
Il mondo dell’IoT, a mio avviso, nel prossimo biennio vivrà una fase cruciale, in cui l’offerta di prodotti connessi (e dei servizi correlati) sarà ormai diventata una commodity, aprendo uno scenario di sovraffollamento dell’offerta (basta osservare il mondo della smart home, per rendersene conto), che pone nuove e complesse sfide manageriali.
Questo eccesso di offerta, oltre ad un rischio di potenziale rifiuto nella clientela, pone con sempre maggiore forza il tema della interoperabilità dei diversi prodotti intelligenti connessi, per poter abilitare quei servizi che richiedono capacità (di misura e/o di attuazione) residenti in dispositivi realizzati da diversi produttori. Questo cambiamento implica una profonda innovazione nelle competenze e nella strategia aziendale, dando risalto a tre capacità “nuove”:
- la capacità di coordinare un ecosistema di partner,
- un forte dominio del paradigma del cloud (sia per la creazione del product cloud, sia per l’integrazione con sistemi legacy e con sistemi di terze parti)
- la capacità di comprendere come utilizzare la propria offerta HW ed il proprio brand per differenziare la propria piattaforma SW ed i servizi collegati.
Queste tre classi di competenze rappresentano, a mio avviso, il nuovo concetto di “value network management”, e segnano uno spartiacque tra le competenze necessarie per eccellere nel precedente scenario competitivo, rispetto al nuovo. Queste tre competenze sono fortemente legate tra loro: ancora prendendo come riferimento il mondo della Smart Home, l’utilizzo degli assistenti vocali e l’integrazione via cloud dei dispositivi presenti in casa rappresenta una novità che può accelerare fortemente le dinamiche di interoperabilità (rispetto alle strade percorse finora), tuttavia richiede di saper orchestrare i servizi / skill offerti dagli assistenti in cloud con il proprio pezzo di esecuzione, e richiede una riflessione attenta sul modello operativo e sul valore che viene portato dal singolo prodotto/attore, per mantenere un differenziale nella percezione del cliente.
Se questo tema è palese e visibile in ambito Home, e per molti versi già vissuto in ambito Smart Car, esso sarà non meno importante in ambito industriale laddove la promessa dell’Industria 4.0 (maggiore valore dall’integrazione di dati, macchinari e operatori) si potrebbe infrangere contro le barriere di interoperabilità create dai produttori dei diversi dispositivi, ricreando in cloud quella situazione di silos applicativo e funzionale che esisteva on premise, e da cui si voleva sfuggire proprio traendo ispirazione dal modello di internet. Per creare (o rafforzare) queste tre competenze, ancora una vola sarà fondamentale il prossimo biennio e, ancora una volta, in modi e forme diverse la palla è nel nostro campo.
Intelligenza artificiale: bilancio e prospettive
Infine, una (necessariamente) breve riflessione sul tema dell’Intelligenza Artificiale (o AI, se preferite). La prima osservazione che faccio è che nel 2018, ad una percezione soggettiva, si sia iniziato a superare l’hype mediatico “AI = minaccia per l’occupazione”, forse per sopraggiunta saturazione, o forse per maggiore comprensione del reale potenziale della tecnologia.
Ciò non significa che il problema dell’erosione del contenuto di lavoro in seno a singoli task manuali o intellettivi anche complessi ad opera di algoritmi AI o robotica autonoma non sia reale: esso è documentato in molte ricerche, e cresce col crescere della capacità HW/SW e dell’esperienza che viene accumulata (è sufficiente vedere come vengono architettate oggi le soluzioni di intelligent RPA, per farsene una idea). Quello che però credo sia cambiata è la percezione della necessità di queste tecnologie, per affrontare le sfide del futuro, necessità che si manifesta in una duplice direzione.
Da un lato, con il diffondersi di applicazioni I4.0 e IoT, cresce in modo esponenziale la mole di dati che un’azienda raccoglie nei propri processi o dall’utilizzo dei propri prodotti, o da entrambi: lasciatemi dire che mentre 5-7 anni fa il problema dei big data era un problema circoscritto a poche imprese al mondo, oggi anche una media impresa manifatturiera potrebbe raccogliere in pochi mesi gigabytes di dati dai propri processi o dal macchinario che ha venduto al proprio cliente: senza il sapiente utilizzo dell’AI (a dirla correttamente, senza il sapiente utilizzo delle metodologie e delle tecnologie sottostanti ad una soluzione AI) non sarebbe possibile trarre valore dai quei dati, ovvero prendere decisioni in tempo utile alla luce dei requisiti di tempestività e efficacia che oggi vengono imposti dal mercato.
Dall’altro lato, anche le analisi macro-economiche si fanno più mature e stanno iniziando a soppesare il gap reale che, nel giro di 15-20 anni, si aprirà sul mercato del lavoro con la progressiva uscita di molti lavoratori oggi attivi: può darsi quindi che la maggiore produttività assicurata dall’AI non sia solo una necessità imposta dalla competizione sul mercato, ma anche dal riequilibrio tra offerta e domanda di lavoro. Su questi elementi l’Osservatorio AI sta ancora lavorando, in vista del convegno del prossimo 19 Febbraio, quindi non vi è molto che si possa anticipare.
Dal 2019 cosa è lecito aspettarsi? Una crescita nelle applicazioni e nell’utilizzo, è scontata, così come un aumento delle risorse investite nello sviluppo di soluzioni, o nel finanziamento delle startup (trend quest’ultimo ben evidente dai dati dello scorso anno). Anche nella legge di stabilità vi è un primo investimento esplicito sul tema dell’AI, assieme alla creazione di un gruppo di lavoro nazionale su questo tema, e ci auguriamo che queste azioni possano aiutare a mettere a fuoco delle aree verso cui indirizzare le nostre eccellenze (una tra tutti, la robotica antropomorfa).
Per molti anni ancora, tuttavia, il mercato AI rimarrà tumultuoso e dai confini sfumati, rispetto ai metodi (come quelli del Big Data Analytics) e rispetto ai livelli architetturali (si pensi agli embedded intelligent objects o all’intelligent edge computing), per cui il principale sforzo sarà quello di mappare le direzioni di sviluppo della ricerca, e di penetrazione delle soluzioni.
Un’altra tematica che sta crescendo con forza è quella della interpretabilità delle decisioni prese da un algoritmo (ovviamente nei casi di utilizzo di metodi induttivi / di apprendimento): da più parti, anche a livello istituzionale (in EU, ma anche in USA) si sta portando all’attenzione il tema della Explainable AI come un tema chiave per una corretta ed etica applicazione della tecnologia, e un eventuale vincolo normativo (Explainable AI by design) potrebbe cambiare in modo significativo le prestazioni ottenibili, o le regole di accesso a questi servizi.
Se si parla di AI, dunque, quasi tutto è ancora da scrivere, ma addirittura con una prospettiva ancora più di lungo termine: come aziende utenti, come imprese sviluppatrici di soluzioni e come mondo della ricerca, anche in questo caso, palla nel nostro campo.