Come ha scritto Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera del 27 maggio, il rimbalzo della nostra economia dopo l’uscita dal Covid si è esaurito nel 2023 e per i prossimi anni la crescita tornerà a oscillare intorno all’1%.
Quasi tutto dipenderà dalla capacità di attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), derivante dal Next Generation EU, senza il quale l’economia sarebbe sostanzialmente ferma.
Next Generation EU può essere visto inizialmente come un intervento keynesiano che sostiene la domanda attraverso la spesa pubblica. Tuttavia, una lettura più attenta rivela anche un incentivo all’offerta, poiché ogni Stato membro è invitato a progettare politiche d’investimento basate sulla propria struttura economica, le esigenze del mercato del lavoro, le tecnologie disponibili e la ricerca e sviluppo (Silvestri et al., 2022).
Con particolare riferimento alla ricerca e sviluppo, il PNRR sta rivoluzionando un settore cruciale dell’economia, quello della ricerca mirata a sostenere la competitività delle imprese. Il piano sta trasformando la governance della ricerca, provando a creare un ponte efficace tra università e imprese. Questo approccio innovativo e dinamico non solo stimola la collaborazione, ma è destinato a consolidarsi e a perdurare anche oltre il 2026.
Volendo guardare oltre la scadenza del piano, diventa fondamentale individuare e rafforzare, all’interno di una dimensione europea, le determinanti che possano aiutare la nostra economia a restare competitiva. Ne abbiamo estremo bisogno se vogliamo scalare posizioni nelle classifiche europee dell’innovazione e della ricerca.
Il PNRR: il ponte tra ricerca e imprese innovative
Colmando il divario tra due mondi apparentemente vicini ma nella realtà dei fatti così distanti, la ricerca accademica e il mondo delle imprese produttive, il PNRR pone al centro delle sue missioni proprio questa sfida.
La Missione 4 – componente 2, denominata proprio “Dalla ricerca all’impresa”, è concepita per sostenere il trasferimento delle conoscenze dalle università alle aziende, coprendo l’intera scala di maturità tecnologica (Technology Readiness Level), dai livelli più bassi a quelli più avanzati, specialmente dove la tecnologia è pronta per il mercato. Questo filone mira a creare e rafforzare gli scambi tra università e imprese attraverso una rinnovata attività di Terza Missione, cercando di avvicinare i poli di produzione della conoscenza accademica e industriale nel quadro dell’economia della conoscenza (Blasi, 2023).
Gran parte delle risorse è destinata alla ricerca in filiera, distribuite negli investimenti orientati a: Partenariati estesi a università, centri di ricerca e imprese, per il finanziamento di progetti di ricerca di base; Potenziamento strutture di ricerca e creazione di campioni nazionali di R&S su Key Enabling Technologies; Creazione e rafforzamento di “ecosistemi dell’innovazione”, costruzione di “leader territoriali di R&S”; Fondo per la realizzazione di un sistema integrato di infrastrutture di ricerca e innovazione.
È un patrimonio su cui puntare, che 3rappresenta il lascito più importante del PNRR, destinato a durare se adeguatamente supportato, protetto e governato. È questo il seme per restare competitivi e per una nuova politica industriale.
Dalla ricerca all’impresa: l’analisi di alcuni dati del PNRR
I risultati finora ottenuti sono incoraggianti e lasciano ben sperare che gli effetti del PNRR non si esauriranno nel 2026, quando il piano andrà a chiudersi. Un investimento di 4,6 miliardi assegnati con procedure competitive che hanno visto nascere 5 Centri Nazionali per la ricerca in filiera, 11 Ecosistemi dell’innovazione e 14 Partenariati estesi sul territorio nazionale. Una galassia di circa 480 stakeholder, tra università, centri di ricerca e aziende, che hanno dato vita a nuovi soggetti giuridici per far avanzare le conoscenze su tematiche forti e di frontiera.
Una “potenza di fuoco” che al momento ci restituisce dati promettenti, che dovrebbe indurre i decisori politici a programmare politiche pubbliche per il post-PNRR che aiutino a preservare tali asset: migliaia di dottorandi destinati ad arricchire le competenze delle aziende; 7.200 nuovi ricercatori, di 33 anni di media e per oltre il 47% di genere femminile, a cui andrebbe fornita una prospettiva stabile di lavoro; più di 252 bandi a cascata, per un totale di risorse impegnate pari a oltre 555 milioni di euro (bandi avviati e conclusi, ma sempre con nuove opportunità di inclusione di altre aziende, di qualsiasi dimensione).
Iniziative di ricerca, pensate e condotte insieme alle aziende. Ricercatori pubblici che, pur restando affiliati alle loro istituzioni, si dedicano a problemi scientifici decisi di concerto con le imprese. Si tratta di una soluzione organizzativa che scardina l’abituale incomunicabilità tra la ricerca pubblica e le aziende, puntando al gioco di squadra e ad iniziative sistemiche che aggregano e integrano soggetti pubblici e privati, impegnati nella ricerca.
Dalla fase di avvio alla fase di implementazione delle misure del PNRR
I numeri fatti registrare dalle citate iniziative del PNRR ci danno il senso di quanto il Piano sia già riuscito a mettere insieme ricerca pubblica, accademia e imprenditoria innovativa, e quanto sia prezioso il capitale «relazioni» che gli attori economici, culturali e sociali, sono stati capaci di creare.
Una volta conclusa, però, la fase di finanziamento iniziale, adesso si apre la fase di gestione delle risorse e delle nuove regole di governance. Una gestione che tenga conto non solo della contabilità, ma soprattutto del valore creato nel Paese (azioni inclusive e accesso delle imprese micro e piccole, cooperazione generativa e coesiva, integrazione di ambiti, legami con i territori e la società civile, contaminazioni di competenze, ecc.).
È fondamentale che il processo di conduzione dei singoli partenariati istituzionalizzati e co-programmati sia improntato alla massima trasparenza e accessibilità e non limiti l’inclusione di attori “esterni al gioco”. Occorrerebbe pertanto garantire che le associazioni costitutive dei partenariati pubblico-privato assicurino piena trasparenza nella modalità di accesso e di contribuzione di tutti i soggetti aderenti, con evidenza del “tasso di apertura” di ciascun partenariato attraverso l’analisi dei dati di partecipazione e successo ai bandi a cascata, anche per le realtà esterne ai partenariati.
Innovazione in Italia e comparazione europea
Ma quanto può dirsi innovativa l’Italia nel contesto europeo?
Innovazione e ricerca sono da sempre gli asset su cui ogni paese fonda la propria prospettiva di crescita e sviluppo. Si può rispondere alla domanda posta esaminando l’European Innovation Scoreboard, ovvero il report pubblicato annualmente dalla Commissione europea che fornisce una valutazione comparativa delle prestazioni in materia di ricerca e innovazione degli Stati membri dell’UE.
Secondo l’ultimo rapporto pubblicato, nel 2023 l’Italia rientra tra i Paesi considerati “Innovatori moderati”. Negli ultimi anni però si registra un elemento positivo: le prestazioni italiane sono superiori alla media del gruppo di appartenenza e stanno crescendo a un ritmo superiore rispetto a quello del resto dell’UE. Insomma, stiamo recuperando terreno nonostante tutto.
Il Rapporto evidenzia anche quelle che sono le nostre debolezze relative: limitata popolazione con istruzione terziaria (altro fattore sul quale interviene il PNRR); pochi investimenti in ricerca e sviluppo, sia da parte delle imprese (livello di spesa pari allo 0,9% del PIL), sia da parte dello Stato (spesa solo dello 0,5% del PIL); bassi investimenti in capitali di rischio e problemi di accesso al credito per le PMI innovative.
Dall’analisi del Global Innovation Index 2023 emergono altri dati che confermano alcune traiettorie:
- i tassi di crescita delle operazioni di R&S e di Venture Capital crescono nel biennio 2022-2023 ma a livelli inferiori rispetto a quelli del 2021 (effetto COVID, paura di una politica monetaria restrittiva)
- l’adozione di tecnologie prosegue la sua crescita ma resta il problema di una bassa penetrazione, specialmente in alcuni settori (agroalimentare, prodotti per l’ambiente, sanità)
- il tema della misurazione dell’impatto socioeconomico evidenzia progressi deboli, ma non in calo, destinato a crescere in ambito accademico e formativo.
Altra domanda che potremmo porci è quanto sia l’Italia un Paese che osa e possa contare sullo “spirito imprenditoriale” delle giovani generazioni.
Secondo il rapporto Global Entrepreneurship Monitor Italia (GEM 2023-2024), l’Italia è indietro rispetto al resto dell’Europa. Il rapporto GEM cerca di gettare luce sulle motivazioni e sulle barriere che possono influire sulla decisione di avviare nuove imprese.
Il punteggio della qualità complessiva dell’ambiente imprenditoriale italiano è fluttuato negli ultimi anni: nel 2023, è aumentato leggermente a 4,5 da 4,2 dell’anno precedente, sebbene ancora ben al di sotto del 4,7 ottenuto nel 2021. Tuttavia, nonostante questo miglioramento, la qualità complessiva dell’ambiente imprenditoriale in Italia continua ad essere valutata come insufficiente (11 su 16), con tutti i valori inferiori al livello medio. Ciò è confermato da un breve esame dei punteggi individuali delle condizioni quadro imprenditoriali (Entrepreneurial Framework Condition – EFC).
Dove il dato forse più preoccupante riguarda l’ambito “Istruzione Imprenditoriale a Scuola” (Valore D1 del grafico), che mostra il dato più basso (3,5).
Giovani che osano poco o che forse sono incentivati ad osare poco, impauriti dal mantra del “fare impresa in Italia è difficile”. Un capitale umano che invece occorre valorizzare e indirizzare. In tal senso, il dialogo tra università e impresa può essere di aiuto, investendo sullo strumento dei dottorati di natura industriale.
I divari regionali nell’innovazione
La Commissione europea, da qualche anno, effettua una valutazione comparativa delle prestazioni dei sistemi di ricerca e innovazione anche a livello regionale. Secondo i dati del Regional Innovation Scoreboard 2023, che ha esaminato un campione di 239 regioni in 22 Stati membri dell’UE, nel nostro paese abbiamo tre regioni con livello di “Forte innovatore” (Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Provincia autonoma di Trento), 16 regioni classificate “Innovatori moderati” e due regioni “Innovatori emergenti”. La performance è aumentata per tutte le regioni, in particolare per le Marche e l’Abruzzo. Per 20 regioni le prestazioni sono aumentate a un tasso superiore a quello dell’UE (8,5), solo per la Valle d’Aosta l’aumento delle prestazioni è stato inferiore a quello europeo.
Profili Regionali italiani – Regional Innovation Scoreboard 2023
Fonte: Commissione Europea
Questi dati, se da un lato evidenziano il permanere di divari territoriali in tema di innovazione, dall’altro ci restituiscono precise indicazioni sui modelli da prendere a riferimento. È l’Emilia-Romagna, che si conferma come regione leader per l’innovazione, la prima in Italia, il modello da guardare. Un ecosistema di successo – ben descritto nel rapporto 2023 Open Innovation in Emilia-Romagna – in cui l’ente Regione si è posto come hub al centro dell’intero sistema, riuscendo ad aprire i propri confini regionali per accogliere nuovi flussi di conoscenza e migliorare il proprio vantaggio competitivo. Per le imprese questo approccio si è concretizzato in preziose risorse esterne e collaborazioni con altre imprese e startup, intermediari dell’innovazione, Università, Centri di Ricerca. Un ecosistema di open innovation che rappresenta un’eccellenza all’interno del contesto nazionale, da studiare ed esportare in altri territori.
La capacità di orchestrare un ecosistema: è possibile farlo nelle aree rurali?
Orchestrare un ecosistema di innovazione presenta molte sfide. Una delle principali difficoltà è la mancanza di routine consolidate e capacità specifiche per gestire ambienti dinamici.
Qui entra in gioco il concetto di “capacità dinamiche”, ovvero la capacità di creare, estendere e modificare risorse e competenze in risposta ai cambiamenti del mercato. Queste capacità sono fondamentali per orchestrare efficacemente gli ecosistemi. Le imprese devono sviluppare abilità specifiche per gestire e coordinare i vari attori all’interno dell’ecosistema, tra cui la capacità di rilevare opportunità e minacce, cogliere tali opportunità e mantenere la competitività riconfigurando le risorse disponibili.
Questi processi richiedono una comprensione profonda delle dinamiche dell’ecosistema e delle interazioni tra i vari attori coinvolti. Se nei grandi centri ci sono attori e risorse, occorre investire e non dimenticare le aree rutali. Secondo la Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, le aree rurali sono “il tessuto della nostra società e il cuore della nostra economia. Esse sono una parte fondamentale della nostra identità e del nostro potenziale economico”.
Le statistiche sulle aree rurali dell’Unione Europea evidenziano l’importanza di queste zone sia dal punto di vista territoriale che demografico. Le aree rurali coprono una vasta porzione del territorio dell’UE, ben l’83%. Questo dato sottolinea la predominanza di aree non urbanizzate e l’importanza di gestire e preservare questi territori. Le aree rurali dell’UE ospitano 137 milioni di persone ovvero il 30% della popolazione dell’UE vive in aree rurali.
Una percentuale significativa che evidenzia la necessità di politiche che supportino lo sviluppo rurale, garantendo che queste comunità possano prosperare e contribuire all’economia complessiva dell’UE. Le aree rurali devono essere dotate di infrastrutture moderne, servizi di qualità e opportunità di lavoro per trattenere e attirare nuovi residenti.
La ricerca e l’innovazione svolgono un ruolo chiave nell’affrontare tali sfide e cogliere le opportunità per il benessere e la crescita nei territori rurali. Iniziative di supporto in ambito europeo ci sono, come ad esempio l’European Startup Village Forum. Purtroppo, iniziative del genere scarseggiano a livello nazionale, dove invece potrebbero essere lanciate e valorizzate considerando il potenziale distribuito in tutte le regioni.
Coordinare meglio politica della ricerca e dell’innovazione
Il punto in comune nel nostro paese tra chi governa la politica della ricerca (Ministero dell’Università e della Ricerca) e chi programma la politica industriale (Ministero delle Imprese e del Made in Italy) è rappresentato dalla Strategia Nazionale di Specializzazione Intelligente.
Il coordinamento tra le due politiche diventa cruciale. Alcune condizioni di contesto potrebbero essere migliorate.
Il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha annunciato che dal prossimo 10 luglio – con possibilità di precompilare le domande già dal 25 giugno – ci sarà l’apertura del bando riguardante i progetti di ricerca e sviluppo sperimentale delle imprese localizzate nelle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia, coerenti con la “Strategia Nazionale di Specializzazione Intelligente”.
Si tratta di un bando per progetti che potranno essere realizzati anche in forma congiunta tra più imprese; dovranno prevedere attività di ricerca industriale e sviluppo sperimentale che facciano utilizzo di tecnologie abilitanti fondamentali, in particolare: nanotecnologia e materiali avanzati, fotonica e micro/nano elettronica, sistemi avanzati di produzione, tecnologie delle scienze della vita, intelligenza artificiale, connessione e sicurezza digitale.
Sono le stesse aree tematiche che si stanno sviluppando anche nell’ambito delle iniziative attuate dal Ministero dell’Università e della Ricerca. Per questo diventa importante un maggiore coordinamento a livello centrale per rendere complementari le misure attuative delle politiche per la ricerca e l’innovazione.
Questo si traduce, per esempio, nella scrittura dei bandi con la previsione che tra i soggetti ammissibili possano rientrare anche i nuovi soggetti giuridici nati dalle iniziative attuate dal MUR nell’ambito del PNRR. In altre parole, che possano essere considerate imprese ammissibili, a titolo esemplificativo, le Fondazioni di partecipazione, le Società consortili di tipo S.C.A.R.L., le aggregazioni di soggetti pubblici e privati dotate di autonoma personalità giuridica, le reti di impresa, le associazioni di imprese e gli ordini professionali.
Un maggiore coordinamento nazionale darebbe più forza al Governo anche in sede europea.
In Italia manca il responsabile scientifico
La diplomazia si muove spesso in silenzio e sottotraccia. Qualche mese fa in Italia si sono riuniti presso il Ministero degli Esteri circa 60 responsabili scientifici che lavorano nelle ambasciate in giro per il mondo. In tale contesto è spiccato bizzarro, ma non curioso, l’assenza del responsabile scientifico del Governo italiano. Figure simili esistono nei paesi anglosassoni, negli USA e in diverse economie europee. Fa male aver perso già il Ministro dell’Innovazione, senza poter contare neanche sul responsabile scientifico o su una delle tante task force, che in questo caso potrebbe risultare utile.
Se vogliamo incidere e contare di più in Europa, per esempio quando si riunisce il Consiglio Competitività (spazio, ricerca e innovazione), sarebbe bello vedere rappresentato il Governo ai massimi livelli, da una o più figure professionali competenti che sappiano maneggiare con diplomazia scientifica argomenti complessi.
Le misure europee per l’innovazione
Potrebbe essere l’accrescimento del patrimonio relazionale internazionale la carta vincente per l’innovazione di domani. Si tratta di un asset non scontato ma che, attraverso lo scambio e la collaborazione, può risultare come il migliore propellente per dare concretezza alla ricerca e all’innovazione e alimentare il motore della crescita.
D’altronde già adesso si intravedono le traiettorie europee dell’innovazione incrementale. Si chiamano “Valli regionali dell’Innovazione” e diventeranno nel futuro prossimo dell’Unione Europea gli hub sul territorio comunitario per l’innovazione deep-tech.
Al momento sono in fase di ultimazione. La nuova Agenda europea per l’innovazione, adottata nel luglio dello scorso anno dall’esecutivo comunitario per “posizionare l’Europa in prima linea nella nuova ondata di innovazione tecnologica e di startup”, prevede una prima tranche di 170 milioni di euro con l’obiettivo di individuare fino a 100 Regioni impegnate a migliorare il coordinamento di investimenti e politiche d’innovazione con progetti interregionali.
Elenco regioni italiane candidate a diventare valli regionali dell’innovazione
Fonte: Commissione Europea
La volontà di costruire catene di valore e reti europee è evidente anche in altri programmi europei. Il programma Horizon Europe per la prima volta prevede una linea di finanziamento dedicata agli Ecosistemi europei dell’innovazione. All’interno del Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale lo Strumento di Investimento Interregionale per l’Innovazione (I3), di cui un bando è in uscita a inizio giugno, caratterizzato da una forte spinta a fare rete tra imprese e regioni.
Tutti interventi che sostengono lo sviluppo di catene del valore europeo facendo perno sulla complementarità delle Strategia di Specializzazioni intelligenti dei diversi paesi UE.
Il ruolo dell’Italia nella programmazione dei fondi europei 2028-2034
Sembra presto per pensare al prossimo budget o alla programmazione 2028-2034 dei fondi di coesione, ma è giusto che se ne cominci a parlare già da adesso. La prossima Commissione e il prossimo Parlamento avranno voce in capitolo essendo autorità di bilancio.
I principali rappresentanti dell’industria italiana vedono nel mercato unico e nella possibilità di negoziare accordi commerciali comuni un’opportunità di crescita decisiva per il nostro Paese: il mercato interno è ormai il nostro riferimento principale (più del 50% dell’export italiano avviene nell’UE) e le regole europee stabiliscono oltre il 70% della normativa di riferimento.
Per questo è indispensabile utilizzare al meglio le possibilità offerte da un mercato ancora più “in comune” per generare innovazione incrementale e creare occasioni di lavoro di qualità.
Con il prossimo Parlamento europeo e la prossima Commissione europea si aprirà una fase nuova di ricerca di nuovi equilibri e virtuosi compromessi tra le diverse idee di bene comune europeo che esistono tra gli Stati.
In tal senso, un ruolo strategico per l’Italia nella prossima composizione della Commissione europea, potrebbe essere quello di assumere la guida delle politiche di coesione e delle riforme. Vedremo come andrà a finire.
Conclusioni
Il connubio tra ricerca e innovazione è sempre più integrato. La capacità innovativa del nostro Paese potrà aumentare solo se gli attori regionali dell’innovazione resteranno agganciati a una dimensione europea e sapranno intercettare le risorse comunitarie. È impensabile per l’Italia possa affrontare in solitaria le nuove sfide tecnologiche e sociali (considerato anche il livello di debito del nostro Paese). Il PNRR sta aiutando l’ecosistema nazionale a rafforzarsi, posizionandolo su un sentiero di crescita più elevata. Tra qualche anno dovremo affrontare il tema del post-PNRR (come selezionare i casi di successo e come dare prospettive stabili ai dottorandi e ai neo-ricercatori assunti).
La programmazione della politica di coesione e dei fondi europei 2028-2034 sarà decisa dal nuovo Parlamento e dalla prossima Commissione. Farebbe bene il governo a presidiare i punti decisionali dove si progettano strategie e programmano le future traiettorie di sviluppo.
Nel suo Rapporto sul Mercato Unico, Enrico Letta ha suggerito di inserire un quinto pilastro al mercato interno, aggiungendo alle quattro libertà già presenti nell’Atto Unico Europeo una quinta libertà. Quella di investigare, esplorare e creare benessere. In altre parole, potenziare la ricerca, l’innovazione e l’istruzione. Una prospettiva molto interessante e stimolante.
A breve avremo anche il contributo di Draghi sulla competitività. Arriveranno altri stimoli e la parola innovazione echeggerà ancora molto forte.