Sono tanti i piani che il Governo ha lanciato, per l’innovazione digitale, nell’ultimo anno. Ma se ne faticano ancora a vedere il senso d’insieme e i frutti. Ecco perché giunge particolarmente tempestivo l’appello lanciato da Andrea Rangone all’indomani dell’evento organizzato da Agendadigitale.eu sulle tecnologie emergenti, chiama all’azione i principali protagonisti della quarta rivoluzione industriale che stiamo vivendo.
Le imprese, soprattutto quelle medie e piccole, che hanno bisogno di una bussola, per orientarsi tra norme, cavilli e vocaboli ancora a molti poco noti, ma anche di cogliere come possano concretamente ricavare vantaggi da eventuali investimenti nel digitale.
La politica tutta, chiamata ad aiutare e agevolare queste piccole aziende, facendo capire agli imprenditori in che modo la transizione al digitale possa aiutare il loro business.
Il Governo, che ha avuto il merito di redigere norme innovative, mettendo in campo una serie di iniziative, potenzialmente in grado di fertilizzare quegli ecosistemi innovativi, da cui ora ci si aspetta un contributo determinante alla crescita economica.
Contributo che non può arrivare solo dalle startup, un settore che sta comunque dando importanti segnali di vitalità imprenditoriale (in aumento sia il numero di startup hi-tech che i fondi a loro disposizione). È vero che questo è un driver importantissimo dell’innovazione e dell’economia dei prossimi anni, ma è soprattutto sulle imprese preesistenti che bisogna agire.
La nuova vita di Impresa 4.0
Il Piano Impresa 4.0, pensato all’inizio più per i grandi player industriali (solo il 13% delle imprese si avvale delle agevolazioni per la digitalizzazione) è stato ritoccato, sia in termini di ampliamento della platea che di reintroduzione del super ammortamento, ed è pronto ora per incentivare anche le piccole e medie imprese. Si punta, quindi, a quella platea di imprese che ha dichiarato di avere in programma interventi, con una proiezione di crescita futura particolarmente accentuata per le piccole (9,4%) e medie (8,2%). Imprese che dovranno mostrarsi capaci, in termini di certificazione di qualità, di favorire la trasformazione tecnologica e digitale dei processi produttivi.
L’accesso all’agevolazione, infatti, è subordinato alla realizzazione di un progetto strutturato di trasformazione tecnologica e digitale che verta sull’implementazione, nei processi aziendali, delle tecnologie abilitanti individuate: soluzioni avanzate di produzione, produzioni additive, realtà aumentata, cloud, cyber sicurezza, internet industriale, big data e analytics.
Se il Governo, sul piano comunicativo, è riuscito a dare alle imprese l’idea di credere in queste tecnologie emergenti, ora è chiamato a:
- lavorare per colmare il gap di investimenti, ragionando in una ottica integrata tra le diverse tecnologie abilitanti (IoT, Blockchain, Intelligenza Artificiale, Cloud, Big Data);
- ampliare il più possibile la platea dei beneficiari, divulgando di più alle PMI le opportunità del Piano 4.0;
- velocizzare l’iter amministrativo degli incentivi, contrastando la tendenza al venir meno della fiducia delle imprese e la sensazione di indebolimento dell’assetto di incentivazione, che potrebbe portare nel 2019 a un arresto degli investimenti (i primi dati evidenziano un dato negativo, del – 2% di investimenti in macchinari).
Così come occorre emanare i decreti attuativi per sbloccare il fondo per incentivare l’utilizzo della nuova figura del manager dell’innovazione, istituito con l’ultima legge di bilancio. Si tratta del `voucher manager´ per le piccole e medie imprese: un contributo fino a 40 mila euro (pari al massimo al 50% dei costi sostenuti nel 2019 e nel 2020) per prestazioni di consulenze specialistiche finalizzate a sostenere i processi di trasformazione tecnologica e digitale, di ammodernamento degli assetti gestionali e organizzativi dell’impresa, compreso l’accesso ai mercati finanziari e dei capitali. Contributo che sarebbe concedibile anche alle imprese che sottoscrivono o aderiscono a un contratto di rete. Ma questi manager devono essere “in possesso di adeguati requisiti di qualificazione e iscritti in un apposito elenco”, che ancora non c’è. Così come non c’è il decreto attuativo per rendere fruibile questo voucher – dal Mise lo danno in dirittura d’arrivo.
Intelligenza artificiale, blockchain, Fondo Nazionale dell’Innovazione
Al pari della dotazione di 15 milioni di euro, stanziati dalla legge di bilancio per il prossimo triennio, a favore delle tecnologie e applicazioni di Intelligenza Artificiale, Blockchain e Internet of Things, «per perseguire obiettivi di politica economica ed industriale, connessi anche al programma Industria 4.0 nonché per accrescere la competitività e la produttività del sistema economico». Anche in questo caso, i bandi devono ancora essere emanati.
Obiettivo crescita che è stato affidato anche al Fondo Nazionale dell’Innovazione, nato con una dotazione di 1 miliardo di euro, che vedrà Cassa Depositi e Prestiti operare, per la prima volta in Italia, con strumenti di venture capital, ovvero investimenti diretti e indiretti in start up e PMI innovative nei settori strategici per la competitività del Paese (nuovi materiali, spazio, benessere e salute, bioeconomia, agritech e foodtech, mobilità, fintech, desing, made in Italy). Sebbene ampiamente pubblicizzato, in concreto il Fondo per diventare operativo deve attendere ancora che si concludano le operazioni di fusione tra Invitalia e il soggetto (SGR) di Cassa Depositi e Prestiti – al convegno il consigliere di Luigi di Maio Marco Bellezza ha stimato che sarà fatto per aprile – e che arrivi poi l’autorizzazione della Banca d’Italia a operare finanziariamente. Se ne riparlerà a settembre, secondo molti.
Piano “Smart Italy”, i risultati ancora non si vedono
Saper comunicare quanto finora fatto e riuscire a coordinare tutte queste iniziative, evitando che dicasteri importanti diano l’impressione di andare ognuno per conto proprio, non è compito da sottovalutare se si vuole dare più robustezza all’economia dei dati. Gli imprenditori devono fare la loro parte, intercettando i nuovi trend e spingendo sulla leva dell’innovazione, ma devono anche essere messi in grado di farlo, attraverso misure agevolative concrete, bandi aperti, linee di finanziamento appositamente dedicate. È proprio sul terreno della concretezza che si chiede ora di accorciare i tempi, per scaricare a terra tutto il potenziale di quel pacchetto di norme sul digitale pervicacemente reclamato dalla compagine più innovativa del Governo, affinché il cantiere delle autostrade digitali inizi a produrre i primi risultati.
Uno sprone che arriva anche dalla lettura de dati macroeconomici, pericolosamente tendenti al ribasso e indirizzati verso il quadrante negativo. Nelle prossime settimane, in occasione della presentazione del Documento di Economia e Finanze, conosceremo le nuove stime del Ministero dell’Economia e Finanze del tasso di crescita. L’appuntamento del DEF è stato preceduto da un incontro avuto dal Ministro Tria con il Segretario Generale dell’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), Angel Gurria, che hanno presentato il Rapporto economico sull’Italia 2019.
Il documento, pubblicato dall’OCSE ogni due anni per ciascun Paese UE, fornisce valutazioni in merito al quadro macroeconomico nazionale e indica alcune raccomandazioni di politica economica. Nel corso dell’incontro il Ministro e il Segretario Generale hanno concordato sulla necessità di un significativo rilancio degli investimenti pubblici, come previsto dalla strategia di Governo, da realizzarsi attraverso il miglioramento della capacità di progettazione dell’Amministrazione sia centrale che locale. Il richiamo fatto alla necessità di istituire un’unità di coordinamento a livello governativo, per supportare sotto il profilo tecnico la pianificazione e l’esecuzione delle infrastrutture, nonché promuovere l’adozione di best practice da parte delle amministrazioni territoriali, apre spazi all’utilizzo di tecnologie emergenti anche nei Programmi Operativi Nazionali (PON Reti e Mobilità; PON Infrastrutture e Reti; PON Cultura e Sviluppo).
È raro, infatti, trovare in questi piani parole come intelligenza artificiale, sensoristica avanzata per le emergenze, apprendimento macchina, telerilevamento spaziale, digitale e droni. Eppure sono piani che affrontano temi importanti, come la sicurezza infrastrutturale e il dissesto idrogeologico, da cui passano le opportunità per colmare il nostro gap di produttività.
In risposta al Segretario Generale Gurria, il premier Conte ha dichiarato che nell’analisi dell’OCSE sono stati sottostimati gli effetti delle misure inserite nella manovra di bilancio. Il punto è che le misure espansive ci sarebbero, è vero, ma che queste non abbiano ancora prodotto i loro effetti è altrettanto vero. Occorre quindi mettersi pancia a terra e mettere tutto a sistema, se si vuole che il piano “Smart Italy”, pensato dal Governo, non rimanga un libro dei sogni e diventi quel volano per l’economia reale che aiuti a quadrare i conti pubblici, rendendo più robusto e sostenibile il nostro tasso di crescita e di sviluppo.
Blockchain e smart contract: una leadership italiana da preservare
Siamo il primo Paese in Europa ad aver normato l’utilizzo dei registri elettronici distribuiti, dando valore giuridico agli smart contracts. Con la prossima uscita dall’Unione della Gran Bretagna, su questo terreno diventeremo leader in Europa. Il tavolo degli esperti, incaricati dal MISE di redigere la strategia nazionale sulla Blockchain, ha l’arduo compito di far evolvere il dibattito sulla tecnologia, oggi molto alla moda, spostando il focus da utilizzi per scopi banalmente di marketing, verso applicazioni con impatti nell’economia reale, ad esempio nella tracciabilità delle transazioni economiche, nella tutela del made in Italy, nella lotta alla contraffazione (che vuol dire anche recupero di evasione ed elusione fiscale), nella difesa del consumatore, nei rapporti tra cittadino e Stato. La Blockchain, infatti, ha la potenzialità di decentralizzare totalmente tutti i sistemi, per questo è vista da alcuni come l’attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale sancito nella Costituzione.
Dai risultati emersi dalla ricerca dell’Osservatorio Blockchain & Distributed Ledger della School of Management del Politecnico di Milano, emerge un quadro in cui nel 2018 la Blockchain continua a suscitare grande interesse da parte delle imprese. Nonostante i dati siano ancora poco significativi, l’Italia è il terzo paese europeo per numero di progetti (19 che hanno avuto visibilità mediatica, ma se guardiamo anche alla formazione e alla consulenza superano i 150 totali), ma il mercato è ancora agli albori.
Nel 2018 le aziende italiane hanno speso in tecnologie Blockchain e Distributed Ledger circa 15 milioni di euro, con 150 casi suddivisi fra corsi di formazione e consulenza strategica per comprendere modalità e ambiti applicativi di questa tecnologia (50, avviati da imprese che devono ancora orientarsi sul tema), consulenze per conoscere le diverse piattaforme e sviluppare progetti pilota (80, attivati da aziende che hanno già una conoscenza di base della Blockchain), progetti operativi (10) e ICO (Initial Coin Offering, 10 casi attivati da startup).
Al momento le aziende che investono in progetti di Blockchain e Distributed Ledger sono solo quelle di grandi dimensioni e le startup che cercano supporto operativo nella realizzazione di ICO. Le principali barriere all’adozione della tecnologia Blockchain sono la mancanza di competenze, la difficoltà nel valutare i benefici attesi e la scarsità delle risorse a disposizione.
Colmare il gap formativo diventa una priorità, perché sempre da un sondaggio condotto dall’Osservatorio su 61 grandi aziende italiane emerge come la conoscenza di queste tecnologie sia ancora scarsamente diffusa: il 31% del campione non sa cosa siano la Blockchain e gli strumenti Distributed Ledger, il 43% ha una conoscenza sufficiente e solo il 26% conosce bene la tecnologia. Anche le aspettative sull’impatto della Blockchain sono ancora ridotte: solo un’azienda su tre (32%) ritiene che sarà una rivoluzione, per il 61% si limiterà a migliorare alcuni processi e per il 7% non ci sarà alcuna influenza.
L’incontro di avvio del progetto pilota per promuovere il ricorso alla tecnologia Blockchain per la tutela del Made in Italy, all’interno della filiera del tessile-abbigliamento, va nella direzione giusta. A questo primo incontro seguiranno una fase di esplorazione e design thinking con l’individuazione, assieme alle imprese e alle associazioni rappresentative del settore, di casi specifici per analizzare alcuni processi produttivi ai quali applicare la Blockchain. Come riportato dallo stesso MISE, ‹‹il Progetto Pilota, affidato ad IBM, prevede uno studio di fattibilità che costituirà un modello di base per i settori di riferimento del Made in Italy, al fine di cogliere a pieno i vantaggi della tecnologia Blockchain in termini di tracciabilità dei prodotti lungo la filiera, certificazione al consumatore della loro provenienza, contrasto alla contraffazione, garanzia della sostenibilità sociale ed ambientale delle produzioni Made in Italy››.
Le potenzialità della Blockchain sono enormi e anche nella filiera agro-alimentare sono altrettanto dirompenti, come testimoniato in un articolo su blockchain e agro alimentare apparso in questa testata. L’auspicio è che una prossima sperimentazione al MISE possa interessare l’agroalimentare, per esempio nella filiera dell’olio di oliva che sta raccogliendo sempre più interesse da parte di istituzioni e produttori.
A questo tipo di Blockchain, più di tipo più industriale, fa da contraltare la Blockchain per così dire finanziaria, anch’essa da sostenere perché il mercato delle banche[6] e delle ICO premono sempre di più. A tal proposito, è intervenuta anche la Consob, in quanto autorità deputata alla tutela degli investitori, che ha aperto un discussione pubblica su un documento denominato “Le offerte iniziali e gli scambi di cripto-attività”[7], in attesa che in ambito europeo si definisca un orientamento condiviso circa la qualificazione giuridica dei crypto-asset (cripto-attività) e, in particolare, in merito alla loro riconduzione al novero dei valori mobiliari.
Missione nell’enigma dell’IA e dell’IoT
In attesa del salto quantistico che sarà prodotto dai super calcolatori, l’intelligenza artificiale è ormai penetrata in maniera dirompente nelle nostre vite. Non è una novità il fatto che oggi stiamo creando una quantità di dati senza precedenti. Grazie a consumatori sempre più disponibili a lasciare tracce di sé attraverso i dati che condividono con le piattaforme, l’I.A. e il machine learning possono essere utilizzati per raccogliere e analizzare queste informazioni in favore del precision marketing e della profilazione.
A mano a mano che l’intelligenza artificiale troverà terreno fertile tra i consumatori, diventa sempre più facile immaginare un mondo in cui i grandi gruppi high tech cresceranno ancora, in modo esponenziale, preparando la strada per case completamente connesse, auto a guida autonoma, macchinari completamente automatizzati. Ma tutto questo pone nuove sfide, sociali, etiche e giuridiche. Siccome l’economia digitale è diventata l’unica vera “Economia”, si pongono interrogativi sulle modalità di tassazione del digitale, sul valore economico delle transazioni di dati, sulla capacità di quantificare il valore economico dei nostri dati personali.
Sfide su cui anche Papa Francesco ha dedicato parte dell’esortazione apostolica post sinodo sui giovani “Christus vivit”. Nel testo il Pontefice ha sottolineato il fatto che “Il web e i social network sono ormai un luogo irrinunciabile per raggiungere e coinvolgere i giovani. Ma anche un territorio di solitudine, manipolazione, sfruttamento e violenza, fino al caso estremo del dark web”. Tra i rischi evidenziati ci sono anche quelli che riguardano la democrazia, dal momento che “nel mondo digitale operano giganteschi interessi economici, capaci di creare meccanismi di manipolazione delle coscienze e del processo democratico. Ci sono circuiti chiusi che facilitano la diffusione di informazioni e notizie false, fomentando pregiudizi e odio. La reputazione delle persone è messa a repentaglio tramite processi sommari online”. Infine un passaggio sul tema delle relazioni umane, vero fattore critico di questa quarta rivoluzione industriale: “Le relazioni online possono diventare disumane e l’immersione nel mondo virtuale ha favorito una sorta di migrazione digitale, vale a dire un distanziamento dalla famiglia dai valori culturali che conduce molte persone verso un mondo di solitudine”.
Non è un caso che le ricerche scientifiche più avanzate siano orientate a rendere più trasparente e più etica l’IA, con l’obiettivo di rendere i sistemi più efficaci e sicuri, non più a rischio di violazione della privacy e nemmeno di sottostare ai pregiudizi dei programmatori umani di algoritmi. Ben vengano questi studi, perché se avessimo un sistema che mi impedisse di aprire un mutuo in banca, dovrei avere il diritto di conoscere il motivo della mia scarsa affidabilità. L’avanzamento tecnologico atteso, quindi, è quello orientato a porre al centro l’essere umano (la cosiddetta “Human A.I.”), insieme con i suoi diritti e i suoi valori. Al contrario sentiamo spesso parlare di “macchine pensanti”, i cui passaggi logici – gli algoritmi – rimangono a volte sconosciuti anche agli esperti. Però, dal momento che si vuole contestualizzare lo studio dei sistemi intelligenti, rendendoli funzionali alle esigenze della società, occorrerà svelare le logiche delle scatole nere (black boxes), puntando allo sviluppo di tecniche in grado di spiegare ogni passaggio del “machine learning” e delle metodologie di apprendimento, rendendone trasparenti i “ragionamenti”.
È quanto intendono fare due gruppi di ricerca italiani che hanno ottenuto un finanziamento di 2,5 milioni di euro ciascuno dall’ERC, l’European Research Council dell’Unione europea. Si tratta del progetto “Explainable AI”, coordinato da Fosca Giannotti dell’Istituto di Scienza e Tecnologie dell’Informazione del CNR di Pisa e del progetto “WhiteMech” (White-box self-programming mechanisms), coordinato da Giuseppe De Giacomo del Dipartimento di ingegneria informatica e automatica dell’Università La Sapienza di Roma. La missione di questi gruppi di ricerca è consentire alle persone di interrogare il sistema sulle azioni che questo ha compiuto, sul come e sul perché abbia fatto una scelta invece di un’altra e che cosa avrebbe fatto in una determinata situazione.
Una strategia nazionale, anzi due, per l’Intelligenza Artificiale
Sono comunque tanti i ricercatori in Europa che, a fronte di una società complessa e sofisticata, per garantire servizi sempre più affidabili, hanno sottoscritto un appello per una “casa” comune dove poter puntare alla Human Centered AI.
Appello accolto prontamente dal Governo italiano che, per bocca del sottosegretario allo sviluppo economico Andrea Cioffi, ha annunciato – sempre al recente convegno – la candidatura del nostro Paese ad ospitare l’hub del futuro laboratorio per l’intelligenza artificiale Claire (Confederation of Laboratories for Artificial Intelligence Research in Europe) che l’Europa sta progettando: “Il nostro Paese crede nelle opportunità di crescita e innovazione legate all’Intelligenza Artificiale e si candida a ospitare il futuro hub – ha dichiarato il sottosegretario Cioffi – perché l’Europa può avere un ruolo nel tema dell’Intelligenza Artificiale se lavora unita e solo lavorando tutti insieme si può avere un confronto nella competizione con i giganti statunitensi e cinesi. Il sistema di laboratori proposto da CLAIRE è un sistema di laboratori a rete con un hub centrale e noi vogliamo ospitare questo nodo centrale in Italia, in una città della ex area della Magna Grecia”.
Vedremo se tali indicazioni saranno presenti nelle linee guida per una strategia nazionale sull’IA a cui stanno lavorando un gruppo di esperti nominati dal MISE. Atteso entro la primavera, il documento dovrà contenere la strategia nazionale, ma dovrà fare i conti anche con le indicazioni dell’omologo gruppo di esperti, nominati questa volta dal Ministro dell’Università e della Ricerca, Marco Bussetti, che ha voluto raccogliere le componenti più significative del mondo della ricerca scientifica che si occupano di questo tema con l’obiettivo di elaborare una strategia nazionale di lungo periodo che metta a sistema tutte le eccellenze scientifiche presenti nel nostro Paese e strutturare un programma nazionale di dottorati di ricerca.
Se questo secondo tavolo di esperti avesse come compito esclusivo quello di colmare il gap formativo, puntando su dottorati di alta qualificazione professionale, sarebbe senz’altro positivo, ma sarebbe anche una duplicazione perché qualcosa del genere, in parte, già esiste. Si chiama Laboratorio di Intelligenza Artificiale e Sistemi Intelligenti del Consorzio Interuniversitario Nazionale per l’Informatica (CINI) che coinvolge 45 laboratori di ricerca che si occupano di I.A. in tutta Italia.
Se poi questo secondo tavolo avesse, come dichiarato, anche il compito di redigere una strategia nazionale, saremmo di fronte a due distinti tavoli di esperti, con due distinte ipotesi di strategia nazionale, che potrebbero convergere, ma anche divergere e, in questo secondo caso, il rischio caos sarebbe inevitabile, quindi, da evitare.