In un settore nel quale dal 2019 in avanti, nonostante le tante promesse, sono mancate in Italia iniziative strategiche di policy, l’annuncio da parte del Governo di voler istituire il primo fondo pubblico italiano (con Cassa depositi e prestiti) di almeno 150 milioni di euro interamente destinato all’intelligenza artificiale (IA) è da accogliere positivamente.
Così ha annunciato il sottosegretario all’innovazione Alessio Butti.
I fondi (fin qui) negati all’intelligenza artificiale
Finora la scala di finanziamento esplicitamente dedicato all’IA era di un ordine di grandezza inferiore.
Come il Fondo per lo sviluppo delle tecnologie e delle applicazioni di intelligenza artificiale, blockchain e internet of things, istituito presso l’attuale Ministero delle imprese e del Made in Italy, con una dotazione di 45 milioni di euro in totale (dunque 15 milioni di euro in media per tecnologia con un range di applicazione in 9 settori diversi, da industria e manifatturiero a sistema educativo, da cultura e turismo a salute e via dicendo).
Negli iniziali tentativi di dare al Paese una strategia nazionale, sotto i Governi Conte I e II, l’asino regolarmente cascava laddove si provava a quantificare il budget dedicato, condizione necessaria per passare da un libro dei sogni a un piano che abbia qualche chance di essere effettivamente realizzato. In questo senso, lo stesso PNRR ha rappresentato una delusione.
La Spagna, altro Paese arrivato tardi a definire una Strategia nazionale, ha colto al volo le opportunità offerte dal programma Next Gen EU per finanziarla con 500 milioni di euro (che si aggiungono ad altre risorse nazionali).
Cifra da investire in un orizzonte pluriennale certo che non è certo da buttare, tenuto conto che la Spagna a differenza dell’Italia ha rinunciato ai prestiti e dunque può contare su un budget ben al di sotto della metà rispetto al nostro (77,2 vs 191,5 miliardi di euro).
In realtà nel PNRR italiano sono tanti i punti di contatto con l’intelligenza artificiale e i dati, che dell’IA sono il principale carburante, ma in una visione frammentaria nella quale l’IA sembra una ciliegina sulla torta più che la torta stessa.
Lo stesso programma strategico IA del Governo Draghi del novembre 2021, l’ultimo tentativo e peraltro l’unico approdato in porto di dotare l’Italia di una strategia nazionale, scontava fin dall’inizio un’assoluta incertezza sulle risorse a disposizione, rimandando a capitoli di spesa molto ampi già stanziati senza che venissero assegnate risorse specifiche all’IA. Peccato originale che si andava a sommare a un orizzonte triennale (che dunque neppure traguardava le scadenze del PNRR allora in fase di avvio) e un’assoluta mancanza di strumenti di governance per assicurarne l’attuazione.
Il possibile impatto di in fondo dedicato alla AI
Dunque, in questo quadro un po’ desolante il proposito di costituire un fondo dotato di risorse rilevanti è come un raggio di luce in un cielo plumbeo. Anche se 150 milioni di euro da soli sono certo ben poca cosa rispetto ai 47 miliardi di dollari investiti complessivamente da fondi e aziende statunitensi nel 2022 o alla dote iniziale di oltre un miliardo di dollari con la quale è nata alla fine del 2015 OpenAI, ex startup statunitense alla quale si devono solo nell’ultimo anno prodotti rivoluzionari come Chat GPT, GPT-4 e Dall-E.
Quindi, oltre ad augurarci che la cifra in dotazione al Dipartimento per la trasformazione digitale rappresenti solo un primo stanziamento, occorre lavorare per attivare un importante effetto leva su fondi privati addizionali che moltiplichi gli investimenti totali di un multiplo importante.
Così come, specie su alcuni filoni tecnologici a più alta intensità di capitale, per creare la massa critica adeguata bisognerebbe promuovere la costituzione di un fondo europeo, aperto agli Stati membri UE ma anche a Paesi vicini extra-UE che attraggono investimenti e dispongono di risorse umane e finanziari di ricerca importanti, come Regno Unito, Svizzera e Israele. Con lo scopo di finanziare startup ma soprattutto far scalare rapidamente innovazioni disruptive, che non mancano di certo da questo lato dell’Atlantico ma che troppo spesso non sono in grado di realizzarsi, almeno secondo le ambizioni iniziali, oppure per farlo sono costrette ad emigrare altrove insieme a chi le sviluppa.
L’importanza di una strategia
Oltre ai soldi, serve però una strategia che possa costruire tutte le premesse per impiegarli al meglio (e magari attrarne degli altri). Altrimenti, si rischierebbe come per tante altre esperienze del passato anche recente (il pensiero va ad esempio all’incredibile vicenda di ENEA Tech, oggi ENEA Tech e Biomedical) di rimanere solo all’effetto annuncio, nella migliore delle ipotesi, o di generare uno spreco di risorse pubbliche, nella peggiore.
Dunque, bene farebbe il Governo a promuovere un aggiornamento delle bozze di strategia che erano state pensate qualche anno fa e che per tanti versi sono ancora attuali.
Butti ha annunciato anche questo, l’intento di aggiornare la strategia nazionale, con un nuovo (il terzo di tre Governi) gruppo di lavoro: vedremo.
Ma tornando alla visione olistica che muoveva il primo tentativo di strategia, che provando a trovare una via italiana rispetto a quelle già formulate nel 2018 da Paesi come Francia e Germania, guardava agli impatti complessivi dell’IA sulla società. Dunque, non solo alla ricerca ma anche all’adozione nelle imprese, anche quelle più piccole, e presso i consumatori.
Prevedendo interventi coerenti in un orizzonte temporale adeguato e secondo una governance attuativa prestabilita. La strada è dunque in buona parte già tracciata e, imparando dagli errori del passato e tenendo conto degli sviluppi più recenti (tra i quali l’IA generativa, che ha impresso una significativa accelerazione a un’applicazione tecnologica di massa e che senz’altro pone delle sfide aggiuntive), non rimane altro che percorrerla a passo certo e con traiettorie coerenti.
Possibilmente insieme a un buon numero di compagni di viaggio selezionati allo scopo.