il commento

Intelligenza artificiale, si avvicina la Strategia italiana: non c’è più tempo

Il nuovo gruppo degli esperti designati dal Governo ha appena consegnato le raccomandazioni sull’intelligenza artificiale. L’Italia ha un ritardo di due anni e ora il tempo è finito. Francia e Germania ci lavorano dal 2019 con un piano di investimenti. Dobbiamo correre, dopo aver perso tanto tempo: ecco le priorità

Pubblicato il 08 Ott 2021

Stefano da Empoli

presidente dell’Istituto per la Competitività (I-Com)

intelligenza artificiale digitale

Si apprende che il nuovo gruppo degli esperti designati dal Governo ha consegnato le raccomandazioni sull’intelligenza artificiale, ieri.

Strategia italiana sull’intelligenza artificiale: la tela di penelope

Sono ormai passati più di tre anni da quando l’allora Ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, annunciava in audizione alla Camera alla fine di luglio del 2018 l’imminente stesura di una Strategia nazionale per l’intelligenza artificiale. Solo pochi mesi prima il presidente francese Macron in persona presentava la strategia francese e, grazie anche all’attenzione del Presidente transalpino su questo e su altri temi digitali, la Francia è diventata protagonista assoluta nel Vecchio continente, attirando importanti investimenti dall’estero e capitali per le proprie startup, che le hanno consentito di raggiungere e superare la Germania.

Intelligenza artificiale, all’Italia servono governance e sinergie

Dal 2019 Francia e Germania hanno una strategia sull’AI, 1 miliardo in sei anni e 3 miliardi in sei rispettivamente.

Cambi di Governo

Nel frattempo in Italia sono cambiati due governi ma la strategia non è ancora arrivata al traguardo.

Nonostante tutto il lavoro svolto, che ha portato alla pubblicazione di svariati documenti, sottoposti a ben due consultazioni pubbliche (tenutesi nel 2019 e nel 2020).

Tuttavia non è bastato per mettere la parola fine alla vicenda, tanto che, nonostante l’Europa si fosse data la scadenza del giugno 2019 perché ogni Stato membro producesse la propria strategia, il nostro è uno dei pochissimi Paesi che a più di due anni da quella deadline ha lasciato la casella vuota. A pesare, oltre ai cambi di governo e dunque di ministri, sono stati la sostanziale indifferenza della classe politica di fronte a una tecnologia general purpose di difficile comprensione e un vizio di origine tipicamente italiano. Se in Francia ad intestarsi la paternità politica della strategia è stato il Presidente in persona, da noi si è deciso di assegnarla a un singolo Ministero, sia pure importante come lo Sviluppo economico, dunque limitandone di fatto la portata e creando fin dall’inizio un potenziale conflitto con altri dicasteri.

Dunque, se l’attuale governo ha purtroppo contribuito al ritardo già colossale, nominando un nuovo gruppo di lavoro, quantomeno ha superato il vizio di origine ponendolo sotto l’egida dei tre ministeri (più) competenti (oltre al MiSE, il Ministero dell’Innovazione tecnologica e della Transizione digitale e il Ministero dell’Università e della Ricerca).

Le principali novità nella strategia

La ragione dell’ulteriore supplemento di lavoro sono le principali novità intervenute nel frattempo, il PNRR sul fronte nazionale e la proposta europea di AI Act dell’aprile scorso su quello sovranazionale.

Tuttavia, l’ennesimo documento tecnico non può di certo bastare. Deve infatti essere il governo attuale, nei suoi vertici, ad assumersi la paternità politica della strategia. Che altrimenti, al di là della consegna fuori tempo massimo a Bruxelles, rimarrà lettera morta, come tanti altri piani del passato. Quando invece alcune priorità appaiono molto chiare.

Le priorità più urgenti per la strategia italiana sull’AI

Innanzitutto, sul piano dello sviluppo di un AI made in Italy, si deve ideare e rendere operativo il più velocemente possibile un centro nazionale di ricerca dedicato, raccogliendo e rafforzando le tante competenze già presenti ma poco coordinate e sottofinanziate. Nel PNRR sono previsti “campioni nazionali” della R&S, selezionati con procedure competitive, che siano in grado di raggiungere, attraverso la collaborazione di Università, centri di ricerca e imprese, una soglia critica di capacità di ricerca e innovazione.

Nella versione originaria del PNRR, se il ruolo e il modello organizzativo di questi centri era più vago e appariva legato esclusivamente al trasferimento tecnologico, si menzionava esplicitamente uno dedicato all’intelligenza artificiale. Apparentemente sostituito nella versione finale da uno focalizzato su simulazione avanzata e ai big data. Al di là dei nomi (che pure hanno il loro valore simbolico), l’intelligenza artificiale è una delle prime tecnologie sulle quali investire in capitale umano e attrezzature per raggiungere quella massa critica ai quali si fa riferimento nel PNRR. Sulla scia dell’Alan Turing Institute britannico ma anche dell’Institut DATAIA Paris-Saclay francese. Entrambi modelli più centralizzati probabilmente di quello immaginabile in Italia, che dovrebbe avere funzioni amministrative centralizzate e quelle di ricerca parzialmente decentralizzate, ma in grado di attivare in pochi anni dalla propria costituzione ingenti investimenti privati nonché un vasto network di collaborazioni a livello internazionale.

Proprio gli investimenti privati sono tuttora il lato più debole dell’Italia ma più in generale dell’Europa. Nonostante l’impegno della Commissione europea ad aumentare le risorse comunitarie del 70% nel triennio 2018-2020, i riflessi sul settore privato non sembrano esserci stati. Secondo l’ultimo rapporto annuale della Stanford University, le imprese UE hanno investito nell’intelligenza artificiale appena 2 miliardi di dollari contro gli oltre 23,6 miliardi di dollari di quelle statunitensi e i 9,9 miliardi di dollari di quelle cinesi. Appena 100 milioni in più di quelle britanniche. Il gap è dovuto in buona misura al fatto che in Europa scarseggiano le Big Tech. Un problema che è ancora più significativo in Italia, dove la dimensione media delle imprese è notoriamente molto ridotta. Occorre dunque pensare a misure specifiche che incoraggino le PMI italiane a investire. Partendo da due priorità: i dati e le competenze.

Sui dati, il fattore dimensionale rischia di ridurre non poco la possibilità di accedere a banche dati sufficientemente vaste. E se anche questo problema fosse risolto, molte imprese non disporrebbero poi delle risorse umane, prima ancora di quelle informatiche, per elaborare i dati e dunque estrarre valore da essi. È evidente che occorre pensare a forme di condivisione di dati e di risorse umane, almeno per le realtà più piccole (ma non solo), incoraggiandole pro-attivamente. Insieme a uno sforzo di sensibilizzazione che ci fu al tempo del lancio del piano Industria 4.0, con una grande mobilitazione delle associazioni imprenditoriali, a partire da Confindustria.

In conclusione

Solo se l’intelligenza artificiale diventerà rapidamente un luogo privilegiato di un grande progetto pubblico-privato, l’Italia potrà esercitare un ruolo da protagonista in una delle tecnologie chiave del futuro (ma ormai anche del presente).

È dunque arrivato il tempo di fare uscire dai cassetti ministeriali la Strategia e di attuarla il più rapidamente possibile. Cogliendo le opportunità del PNRR e facendo sentire la voce dell’Italia nel dibattito sull’AI Act e sulla Strategia europea dei dati.

L’intelligenza artificiale per la ripresa dell’Italia: ecco sfide e opportunità

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