l'analisi

La via italiana per l’IA è B2B e industriale: le startup che guidano la crescita

L’intelligenza artificiale traina la crescita del settore tech nel mondo delle startup anche in Italia. Certo i numeri sono incomparabilmente più piccoli rispetto a quelli di altri ecosistemi. Ma la via imboccata, pur con alcuni contro, ha diversi vantaggi, soprattutto in mancanza di un mercato unico europeo

Pubblicato il 16 Feb 2023

Pierluigi Casolari

founder di Unconventional Road, autore di Startup 3.0, blog su startup, innovazione e web 3.0

intelligenza artificiale ai act

La via italiana nel mondo dell’AI è B2B e industriale. Con qualche eccezione. E qualche dubbio legato all’effettiva capacità dell’AI italiana di superare i limiti del contesto nazionale, che proveremo a segnalare. Ma andiamo per punti.

La crescita dell’IA in Italia

Non solo nella Silicon Valley e nei distretti asiatici, l’intelligenza artificiale traina la crescita del settore tech nel mondo delle startup anche in Italia. Certo i numeri sono incomparabilmente più piccoli rispetto a quelli di altri ecosistemi. Se confrontiamo i dati di Globenewswire che stimano per il 2023 un giro d’affari complessivo mondiale intorno all’AI di 400 miliardi di dollari (e oltre il triliardo nel 2029), con i 380 milioni di volumi del mercato AI italiano, la proporzione è di poco inferiore al millesimo. Eppure, anche nel nostro paese, i trend di crescita sono nettamente positivi con un +27% rispetto al 2020 e la sensazione che il mercato possa crescere in maniera dirompente nei prossimi mesi.

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Secondo i dati dell’Osservatorio Artificial Intelligence, soluzioni più diffuse sul mercato italiano riguardano il Natural Language Processing, ovvero l’interpretazione del linguaggio naturale e gli argomenti di suggerimento, ovvero i suggerimenti di contenuti in linea con le preferenze dei clienti.

Vedrai e le altre, la via italiana all’AI

Una delle startup che incarna la via italiana all’AI è Vedrai. Vedrai, fondata nel 2020, ha sviluppato in questi due anni una serie di soluzioni di intelligenza artificiale per le piccole e medie imprese. In pratica, aiuta le PMI a prendere decisioni di marketing e di business, basandosi sullo studio e l’analisi di milioni di variabili. Ad esempio correlando il prezzo di fornitura di materie prime con milioni di variabili, Vedrai è anche in grado di predire l’andamento dei prezzi e dunque aiuta le aziende ad acquistare prodotti nel migliore dei modi. Non si tratta dell’intelligenza artificiale di ChatGPT o Google Sparrow, evidentemente. Gli utilizzi sono meno roboanti e le implicazioni sociologiche meno complesse. Ma non per questo meno interessanti.

Nelle settimane scorse Vedrai ha completato l’acquisizione di Premoneo, altra startup che opera nell’AI industriale. E’ torinese ed è stata fondata nel 2019, Clearbox che utilizza l’AI per analisi dei dati legati alla privacy dei clienti.

iGenius fondata nel 2016 opera in settori analoghi. Nei mesi scorsi ha raccolto 10 milioni di euro da investitori italiani e internazionali. Il focus di iGenius è la business analytics, in pratica utilizza l’AI per evidenziare correlazioni e rapporti causali nei dati di vendita delle aziende e quindi implementare strategie di ottimizzazione dei ricavi e delle marginalità.

Il sottile confine tra AI e big data analysis

Insomma l’AI che va per la maggiore in Italia sembra muoversi su un solco più tradizionale rispetto ai software di intelligenza generativa come ChatGPT. In primo luogo perché si tratta di soluzioni B2B e in secondo luogo perché ricorda le precedenti e più tradizionali soluzioni di big data analysis e business intelligence. In effetti il confine è sottile. Oggi, parlando di intelligenza artificiale, ci riferiamo per lo più agli strumenti generativi. Ma non si tratta dell’unico caso. Analisi di trends, correlazioni statistiche, algoritmi di suggerimento, piattaforme di machine learning sono alcuni dei quadri di riferimento in cui viene oggi applicata l’intelligenza artificiale.

L’eccezione di Contents

Sebbene prevalga la dimensione B2B, ci sono interessanti eccezioni. Contents , startup milanese fondata nel 2021, utilizza le API di ChatGPT per aiutare le aziende a redigere contenuti per i siti web e i negozi online. L’innovazione di Contents tuttavia non è tecnologia ma di “user experience” e di design. All’azienda o al marketer che vuole sviluppare contenuti, offre un’interfaccia intuitiva che permette di utilizzare in maniera “guidata” la potenza di calcolo clamorosamente impressionante di Chat GPT, ma in modo controllato e “business oriented”.

È una via interessante. Invece di puntare sulla tecnologia, si scommette su qualche suo specifico utilizzo rendendolo semplice, chiaro e professionale. E utilizzando come base la tecnologia dirompente realizzata in Silicon Valley.

Pro e contro dell’approccio italiano

In un certo senso, questo approccio potrebbe lasciare l’amaro in bocca e la convinzione – non del tutto erronea – che il bel paese sia una colonia tecnologica della Silicon Valley. In un certo senso è così, Contents prova però a giocare la carta del digital divide che separa le PMI dagli strumenti come ChatGPT che al momento sono pensati per early adopters e che quindi potrebbero trovare nuove applicazioni, all’interno di design, interfacce e piattaforme semplici da utilizzare.

Ci si chiede tuttavia come possano competere le startup italiane che riescono al più ad attrarre pochi milioni di euro, con giganti che beneficiano di finanziamenti nell’ordine di centinaia di milioni e/o miliardi di dollari. Ha dunque senso competere in questa arena. La via italiana oscilla tra la iperspecializzazione (soluzioni business e industriali molto specifiche) e formule di design innovativo – a basso contenuto tecnologico – per rendere più semplice l’utilizzo di tecnologie realizzate altrove.

Ha certamente senso. È pragmatico. Si sfrutta in maniera intelligente la mancanza di capitali realizzando soluzioni rapide per il mercato.

L’alternativa sarebbe quella di costruire un ecosistema con asset finanziari di un ordine di grandezza superiore a quelli attuali. Ma è verosimile? Al momento non è un’ipotesi percorribile. L’unica ipotesi sarebbe quella di creare un mercato delle startup unico a livello europeo, dove il mercato di riferimento delle soluzioni non sarebbe quello italiano con poche decine di milioni di possibili utenti. Ma quello europeo costituito da centinaia di milioni di utenti e decine di milioni di potenziali imprese.

Purtroppo però, a livello europeo ci sono una miriade di iniziative e sinergie, ma i mercati sono separati. E questo significa che nascere in Italia, non corrisponde ipso facto con il nascere come startup europea e da qui al ripiegamento B2B e a soluzioni iper specialistiche il passo è breve.

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