intelligent sharing economy

L’advanced advisor, per l’innovazione delle imprese: chi è e cosa fa

L’advanced advisor stimola e promuove la domanda d’innovazione del sistema produttivo, le nostre PMI, rafforzando il livello di conoscenze e di awareness rispetto alle opportunità offerte dalla digitalizzazione. Vediamo competenze e capacità di questa figura di super consulente per la trasformazione digitale

Pubblicato il 05 Giu 2020

Leonardo Valle

esperto internazionale di Project Management

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Le aziende, poste di fronte alle sfide della quarta rivoluzione industriale devono attuare un cambio culturale non da poco: occorre cambiare il sistema di relazione all’interno e all’esterno, e occorre altresì una radicale innovazione di pensiero, che coinvolga l’imprenditore in modo strategico nel passaggio da un paradigma unidirezionale, ormai superato, a una comunicazione sempre più open, dove, con clienti e fornitori si scambiano informazioni reciproche e si crea insieme il prodotto, il servizio: si fa, insomma, new business.

Chi è l’advanced advisor

Si innesta in questi nuovi scenari generati dalla cosiddetta “economia delle piattaforme” la figura dell’advanced advisor che lavora alla rete, anzi alle nuove reti, ed è per questo che deve avere la cultura di base e un know how fatto di conoscenze ed attitudini, un bagaglio di saperi, abilità e competenze costantemente a disposizione dell’imprenditore, soprattutto nei momenti cruciali della sua attività, come per l’appunto il tempo che stiamo vivendo di trasformazione sostanziale, in cui la nascita delle nuove piattaforme digitali obbligale imprese a una metamorfosi senza precedenti.

L’advanced advisor ha il compito di stimolare e promuovere la domanda d’innovazione del sistema produttivo, le nostre PMI, rafforzare il livello di conoscenze e di awareness rispetto alle opportunità offerte dalla digitalizzazione che sono, rispettando un percorso circolare, la porta di accesso delle imprese proprio al mondo dell’Industria 4.0.

L’importanza dei cluster di settore

Occorre, quindi, avere la forza di implementare cluster di settore, avvalendosi di un network di attori dell’innovazione, nazionali ed europei, per offrire un livello qualificato di servizi, con la libertà di poter operare attraverso i cluster in esclusiva per gli imprenditori rappresentati e con la velocità di un attore privato che ha, come matrice di business, il valore aggiunto certificato agli imprenditori aderenti.

Con i cluster, moderne reti di imprese coordinate da advanced advisors illuminati, si punta all’integrazione tra risorse e attori della filiera, che fa sì che l’impresa 4.0 amplifichi l’intensità delle relazioni tra aziende, creando nuove piattaforme e nuovi ecosistemi. Per i cluster, così come per il paradigma Impresa 4.0, l’aspetto fondamentale è l’interconnessione. Attraverso il modello collaborativo dei cluster si ha la possibilità di competere con aziende più grandi senza la necessità d’ingenti investimenti per includere ricerche e sviluppo a sostegno della propria azienda.

Il fine ultimo dei cluster non può che essere l’eccellenza che nascerà nelle moderne reti di impresa, pronte a primeggiare nella nuova economia collaborativa.

Parole d’ordine: interconnessione

Nella nuova platform economy produttori e venditori incontrano i consumatori e i propri clienti. In tal modo gli attori della piattaforma pensano ai clienti non come a qualcuno posto alla fine di una catena del valore, ma come a una entità con cui possono e devono interagire. Questo implica moltiplicare prodotti e servizi, poter creare nuove soluzioni ricombinando ogni elemento con gli altri. La piattaforma percepisce una commissione che è sostanzialmente un profitto puro; quindi chi costruisce platform economy amplia la sua matrice di business, per contro chi non ha questa capacità è destinato ad avere difficoltà enormi, a competere a costi associati al prodotto che portano fuori mercato.

L’advanced advisor, pertanto, esercita la sua funzione al fianco dell’imprenditore, in modo costante, con un rapporto quasi viscerale, dove la fiducia è il collante e la condivisione della vision l’elemento di connessione ricorrente rispetto alla mission, che s’implementa in azienda. Si cercano costantemente opportunità di miglioramento, relazioni, mercati, soluzioni, risorse adeguate; la rete si popola costantemente di strumenti condivisi a prezzi accessibili perché basati sul nuovo concetto della cosiddetta sharing economy, che è la naturale espansione del progresso intelligente predicato da Adriano Olivetti.

La sharing economy “intelligente”

Nel libro “Advanced Advisory” viene definito quindi il significato dell’intelligent sharing economy, che è quindi l’esaltazione del progresso intelligente applicato alla sharing economy.

L’intelligent sharing economy consente di entrare all’interno di un meccanismo dove il fatturato si realizza spostando valore dalla proprietà all’uso e rivoluziona la visione tradizionalista. La sharing economy, per esempio, sfruttata sia da aziende sia da consumatori, è un modello economico che poggia sulla condivisione, dietro compenso, di risorse sottoutilizzate come oggetti, spazi, professionalità. È bene ricordare che le Pmi del nostro paese, imbottite di mediocrazia, s’illudono di essere autosufficienti e non cooperano. Il tentativo di mantenere posizioni di vantaggio vive solo nella mente di chi non è abituato a competere e, quindi, a vincere. Nel nostro paese vi è una mentalità legata alla filiera di produzione, basata su motivi storici e consolidati, che bisogna assolutamente superare.

Per ottenere risultati concreti occorre infatti mettere in campo tutti gli strumenti nati nella quarta rivoluzione industriale, strumenti purtroppo ancora poco noti e quindi poco usati dalle Pmi del nostro paese. Questo scenario determina un divario crescente con le altre realtà internazionali che, al contrario, usano in pieno le nuove opportunità, progrediscono e raggiungono livelli di sviluppo e benessere superiori.

L’interconnessione è uno dei primi piani strategici da mettere in piedi, soprattutto oggi, perché il 5G aprirà nuove opportunità di semplificazione per tutti e il rischio è perdere un vantaggio competitivo, ammesso che lo si abbia, oppure arretrare nell’efficienza aziendale, con aggravio di costi derivanti da prestazioni non più in linea con lo standard di riferimento; in poche parole una scarsa interconnessione, rispetto a un competitor, porta fuori mercato l’azienda in tempi brevissimi.

L’interconnessione nella quarta rivoluzione industriale fa riferimento a un approccio di tipo organizzativo, che punta prevalentemente all’implementazione di un sistema integrato e connesso e, in contemporanea, alla cooperazione delle risorse. Il fine è quello di incrementare la produttività, l’efficienza, la varietà produttiva degli impianti e la competitività aziendale, senza limitazioni di settore.

Occorre saper gestire un flusso costante di dati e d’informazioni sia all’interno sia all’esterno (tra le aziende e lungo la catena di creazione valore, per esempio). L’integrazione della parte fisica dell’azienda, grazie ai sistemi informativi adottati, permette di elaborare i dati disponibili provenienti dalle macchine, trasformandoli in informazioni capaci di migliorare le varie fasi di produzione e di processo come, tra le altre, la gestione della produzione, le movimentazioni interne ma anche gli acquisti a monte e le vendite a valle. L’integrazione è da considerarsi in modo circolare, ossia un flusso che parte dalla politica di marketing, passando per la supply chain, le fasi produttive e logistiche, fino a giungere nuovamente al marketing, al fine di recepire e saper misurare il gradimento del cliente in modo da ripetere, qualora soddisfatto, il suo ciclo di richiesta.

Le tecnologie abilitanti sono il mezzo per arrivare all’interconnessione, l’unione virtuosa tra le nuove tecnologie produttive e quelle già disponibili in azienda, per operare in una logica di neutralità tecnologica, per intervenire con azioni orizzontali e non verticali o settoriali, utilizzando dunque le tecnologie abilitanti al fine di orientare strumenti esistenti. Non si rendono più necessari grandi investimenti al fine d’incentivare la trasformazione digitale e coordinare i vari stakeholder, evitando così di ricoprire un ruolo di tipo dirigista. Per essere ancora più chiari, le tecnologie abilitanti di oggi hanno per l’umanità la stessa importanza che ha avuto il vapore alla fine del XVIII secolo, l’elettricità all’inizio del XX  o i robot e le automazioni nei primi anni Settanta.

Il ruolo dei competence center

Strumento formidabile sono, quindi, i competence center. Gli advanced advisor li pianificano e implementano a livello aziendale senza aspettare il finanziamento pubblico attraverso bandi. È l’advanced advisor che lavora alla rete costituita da università, enti di ricerca, organismi di ricerca, scuole superiori e imprese per le PMI associate, in un’ottica 4.0. I competence center favoriscono le collaborazioni tra ricerca e impresa nelle tecnologie caratteristiche dell’Industria 4.0, dopo che attraverso la predisposizione di una serie di strumenti si valuta il loro livello di maturità digitale e tecnologica.

La formazione alle imprese predisposta dai cluster vuole promuovere e diffondere le competenze in ambito d’Industria 4.0, mediante attività di formazione in aula, sulla linea produttiva e tramite applicazioni reali e soprattutto progetti di innovazione, ricerca industriale e sviluppo sperimentale, proposti alle imprese e dalle imprese. Infine interviene l’importanza di una fornitura di servizi per il trasferimento tecnologico in ambito Industria 4.0, anche attraverso azioni di stimolo alla domanda di innovazione da parte delle imprese, in particolare delle Pmi.

Da innovazione chiusa a open innovation

Lo scenario ideale per il raggiungimento e la creazione di nuove opportunità di business propedeutiche alla creazione dei cluster è l’open innovation, che si basa sulle relazioni tra azienda e soggetti esterni. Il passaggio da innovazione chiusa a Open innovation mette in discussione le caratteristiche sulle quali le imprese tradizionali hanno basato la propria egemonia per decenni, con effetti anche sulla trasformazione dei modelli di business. Dobbiamo sostenere che l’innovazione chiusa non esiste più oppure è di fatto non più sostenibile, e che l’innovazione aperta sia il modo più corretto per fronteggiare i cambiamenti del mercato.

L’azione costante dell’advanced advisor lavora sulla cultura e sulla volontà di entrare consapevolmente e in modo informato nel cambiamento, con il coinvolgimento di altre realtà imprenditoriali viste fino al giorno prima come concorrenti, a prescindere dalla finalità e dalla produzione aziendale. Pensiamo una sorta d’innovazione di settore che porti alla crescita di tutti i soggetti coinvolti, passando da una comune depressione di genere, dove la mediocrazia fa da padrona, ad un sistema circolare basato sull’entusiasmo e la voglia di innovare e innovarsi, ampliando i confini della propria azienda in modo consapevole e motivato. Questo è il terreno sul quale edificare i cluster.

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La collaborative cross platform competency

Lo strumento messo in campo e descritto nel libro Advanced Advisory per far raggiungere risultati concreti all’imprenditore è la Collaborative Cross Platform Competency. Non esiste arma più potente di questa, e Uber o Airbnb ne sono solo due dei numerosi esempi a conferma.

Anche le imprese tradizionali possono ragionare in una logica di ecosistema, come ha fatto Walmart per reagire ad Amazon, perché la Collaborative Crossplatform Competency permette di far fronte alla necessità di gestire un gran numero di competenze e risorse, al fine di soddisfare le esigenze dei propri clienti. Questo recente fenomeno va di pari passo con l’evoluzione che sta subendo il nostro mercato e dimostra come la tradizionale catena del valore stia drasticamente evolvendo verso relazioni più complesse e non lineari.

È possibile citare alcuni casi di rilevanza globale quali Uber, Facebook, Airbnb o Alibaba. Per capire la potenza della Collaborative Cross Platform Competency occorre sapere, per esempio, che Uber è la più̀ grande società di taxi ma non ne possiede nessuno; Facebook fornisce migliaia di applicazioni che sono implementate da sviluppatori esterni; Airbnb è la più grande società operante nelle strutture ricettive ma non ha acquistato nessun immobile per ricevere i viaggiatori mentre Alibaba è uno dei retailer più quotati al mondo ma nessun magazzino è intestato al colosso cinese.

Esistono alcuni casi famosi anche in Italia, come Fazland che mette in contatto professionisti e consumatori finali per l’offerta di preventivi, a seguito di richieste che arrivano direttamente dai consumatori. L’Intelligent Sharing Economy, l’esaltazione del Progresso Intelligente applicato alla Sharing Economy, consente quindi l’implementazione di una piattaforma in grado di abilitare interazioni e transazioni tra diversi gruppi di utenti, che decidono di partecipare al business creato dalla piattaforma digitale, costruita appositamente per questa funzione. Queste tipologie di business, emerse nel corso degli ultimi anni, sono sempre più oggetto di studio da parte della letteratura scientifica e manageriale, adottando il termine specifico di multisided platform e portando alla nascita del fenomeno della platform economy. È attraverso la platform economy che le imprese trasformano il loro tradizionale modello economico lineare in un sistema basato su connessioni pluridirezionali, con la partecipazione di eterogenei gruppi di utenti.

Le aziende tradizionali possono competere anche su questo scenario, possono creare attraverso la Collaborative Cross Platform Competency piattaforme digitali oppure utilizzare le piattaforme condivise negli Open Innovation o meglio nei Cluster esistenti e quelli possibili grazie al lavoro degli Advanced Advisors. Prendiamo un modello Traditional, come era Walmart che ha rischiato di essere sopraffatto totalmente da Amazon; si è ripreso da un pericolosissimo sbandamento solo dopo che ha deciso di abbracciare un modello Collaborativo, Sharing, che gli ha concesso di ritornare ad essere competitivo nei confronti di tutti i suoi principali rivali, anche quelli di nuovissima generazione. Secondo un’indagine del 2016 di Accenture, “l’81% dei dirigenti afferma che i modelli di business basati sulla piattaforma saranno fondamentali per la loro strategia di crescita entro tre anni”. Non predichiamo nel deserto quindi, ma operiamo su dati consolidati soprattutto in zone economiche e geografiche avanzate come gli Usa e la Cina.

La conoscenza è elemento fondamentale nella comunicazione all’interno delle piattaforme digitali, non ci sono pile di carta dietro le quali nascondersi, non ci sono archivi da gestire pigramente né procedure lunghe e complesse da seguire. Nelle piattaforme digitali, le competenze sono l’unico ruolo previsto in sceneggiatura ed è anche per questo che il cambiamento e il ruolo dell’Advanced Advisor sarà sempre più cruciale. Soprattutto nei primi anni di implementazione il limite non sarà trovare la clientela, ma avere tempo e risorse adeguate per affiancare l’imprenditore nelle sue molteplici attività.

L’azione dell’Advanced Advisor è rivolta a costruire, sulla base di business plan molto accurati, una rete di università, scuole superiori e imprese che lavorino su progetti di ricerca e sviluppo con le pmi degli imprenditori, in un’ottica 4.0 e di continuous improvement, attraverso quindi un processo pianificato, organizzato e sistematico di cambiamento, costante e incrementale delle pratiche esistenti.

Il punto di arrivo dev’essere sempre e solo il miglioramento delle prestazioni aziendali. Nasce da qui lo stimolo continuo sulla sperimentazione, cercando incentivi per i progetti d’innovazione che vedono il coinvolgimento delle tecnologie digitali. Infine vi è il vantaggio implicito di arrivare a un’elevata conoscenza e consapevolezza da parte dell’imprenditore sui temi oggetto di analisi, per alimentare così in modo costante la vision specifica dell’impresa.

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