Dopo poco più di un anno e mezzo dall’inizio della rivoluzione dell’AI generativa si cominciano a notare i primi segni dell’impatto della tecnologia sul mondo del lavoro. Un recente rapporto del fondo monetario internazionale sottolinea come si stima che il quaranta per cento dell’impiego globale può essere condizionato dall’intelligenza artificiale; questa percentuale sale fino al sessanta percento nelle economie più avanzate.
Ma quali possono essere gli impatti e quali le contromisure?
I primi effetti dell’IA generativa: mancati nuovi impieghi nel settore IT (e non solo)
Il settore IT dove l’AI si è sviluppata, non senza ironia, mostra i primi segni in termini di nuove occupazioni con giganti come IBM che ha annunciato la sospensione delle assunzioni di lavori potenzialmente condizionati dall’AI. Anche il CEO di Klarna ha dichiarato che l’impiego di ChatGPT ha ridotto il tempo di svolgimento di alcuni compiti al punto da ridurre il bisogno di nuove assunzioni.
Alcune compagnie come Dropbox hanno addirittura deciso di tagliare alcune posizioni solo al fine di liberare risorse per assumere esperti in AI per lo sviluppo di nuovi servizi.
Un sondaggio di Ernst&Young ha evidenziato che il 50% dei leader aziende tecnologiche prevede sia licenziamenti che assunzioni necessari al riallineamento della forza lavoro alla luce di queste nuove tecnologie.
Ma se il settore IT è abituato a confrontarsi con dinamiche di cambiamento rapido dello scenario lavorativo, anche se raramente di questa portata, sono altri i settori in cui l’impatto della tecnologia AI generativa potrebbe essere più significativo. Tecnologie come i GPTs di OpenAI possono, almeno in parte sostituire gli operatori di primo supporto che molte realtà hanno già cercato di imporre per ridurre i costi ma con risultati non certo esaltanti (penso di non essere l’unico a sentirmi frustrato quando mi impongono di interagire con uno di questi assistenti).
Anche i servizi di trasformazione della conoscenza, come ad esempio la traduzione, condizioneranno il mercato, rimarranno sicuramente ambiti in cui una traduzione richiederà cura e attenzione, ma la tendenza già inaugurata con i sistemi di traduzione automatica non potrà che progredire con un impatto significativo sul mercato del lavoro. Figure ibride come gli operatori del Web potrebbero essere condizionati dalla capacità dei sistemi di AI di generare HTML e CSS automaticamente in accordo alla richiesta che può essere verbale oppure fornendo un’immagine che esemplifichi un particolare layout.
Impatto sui freelance: meno lavoro, peggio pagato
I lavori freelance che richiedono scrittura, codifica o traduzione di base stanno scomparendo tra gli annunci di Upwork.
L’impatto dell’IA generativa sui freelance è devastante, riflette un articolo del Wall Street Journal, almeno per il mercato Usa.
I risultati dello studio Upwork sono confermati da quelli di oltre una dozzina di altri ricercatori di istituzioni come la Harvard Business School, la Washington University di St. Louis e l’Università di Hong Kong.
Hanno scoperto che dal debutto di ChatGPT e di altri modelli di IA generativa, il numero di lavori freelance pubblicati su Upwork, Fiverr e piattaforme affini, nei settori in cui l’IA generativa eccelle, è diminuito fino al 211 per cento.
Gli economisti sono soliti affermare che l’IA automatizzerà alcune mansioni, ma è improbabile che elimini molti posti di lavoro, poiché la maggior parte dei lavori è molto più ampia e impegnativa delle parti che possono essere affidate all’IA.
Ma i freelance rappresentano una percentuale crescente della forza lavoro, nei Paesi sviluppati.
Gli ambiti impattati sono quelli dove si creano testi o immagini non troppo complesse (editoria, marketing, arti, cinema e tv).
Per questo tipo di lavoro, a volte capita che la maggior parte del lavoro di una persona svolga proprio i compiti che possono essere automatizzati, e questo può mettere a rischio l’intero sostentamento.
Il Wall Street Journal cita casi di freelance il cui reddito si è dimezzato- meno lavoro e peggio pagato.
Ad alcuni è stato offerto di correggere e migliorare testi fatti dall’AI, che prima avrebbero scritto loro, a una frazione del compenso precedente.
Su questo si veda anche l’esperienza di una redazione inglese riportata dalla Bbc, progressivamente automatizzata dalla AI.
Forse alcuni di questi casi si riveleranno estremi ed esempi di cattiva automazione, dannosa per la stessa azienda, per via della perdita di qualità finale. Soprattutto per quei campi dove servono testi e immagini più professionali, umani e meno stereotipati, in ambito marketing, artistico o giornalistico.
Poi ci sono altre due casistiche di lavoratori.
Quelli in grado di trarre vantaggio dal cambiamento, come accaduto nelle precedenti trasformazioni. Lavoratori che – come in passato con il computer – diventano più produttivi con l’uso dell’IA (senza poterne essere sostituiti, non ancora almeno).
La loro maggiore produttività ha portato a un aumento dei loro compensi nella precedente rivoluzione industriale (informatica). E’ il caso delle professioni d’ufficio e dei professionisti, come riflettono gli studi del noto economista del MIT David Autor.
Ora, analogamente, grazie all’AI i professionisti della scienza dei dati e dell’informatica guadagnano in media il 40% in più, secondo Upwork.
E poi ci sono i freelance che riferiscono che la domanda per il loro lavoro è in aumento perché, almeno nei loro ruoli più impegnativi e specializzati, l ‘IA non riesce proprio a ottenere risultati buoni.
Il rischio che ci sia un calo di guadagno per alcuni mestieri di massa c’è, però. E non è affatto scontato che il mercato e i lavoratori riescano a adattarsi in tempo, al passo dell’evoluzione tecnologica.
Tutti gli esperti sono d’accordo nell’importanza del ruolo delle politiche pubbliche e delle aziende stesse, per accompagnare il cambiamento.
Un tema che in Italia è ancora sotto traccia, nel dibattito pubblico e nelle politiche di Governo, dove sembrano prevalere solo temi etici astratti o interessi di pochi settori industriali legati al diritto d’autore potenzialmente minacciato dall’IA.
Alessandro Longo
I nuovi scenari applicativi aperti dall’AI multimodale
Troppo spesso il dibattito dell’ultimo anno si è concentrato sull’interazione testuale con l’AI, sicuramente perché colpisce la nostra immaginazione, anche a causa di decenni di fantascienza che hanno costruito sull’idea degli anni ’50 del secolo scorso che la parola avrebbe reso “intelligenti” le macchine.
In realtà i modelli multimodali come Gemini o GPT-4o aprono nuovi scenari applicativi offrendo un’incredibile capacità di analizzare immagini e video alla ricerca di informazioni utili. Si tratta di modelli che magari non offrono la precisione richiesta da un processo industriale, ma che potrebbero aprire l’analisi automatica a nuovi mercati andando nuovamente a trasformare le esigenze lavorative.
L’integrazione dei modelli AI con i servizi, come accade poi con i GPTs di OpenAI, aprirà nuovi scenari offrendo interazioni nuove con i servizi che potrebbero contribuire a rimuovere figure lavorative in molti più settori.
Quanto siamo pronti ad affrontare la trasformazione?
Siamo pronti ad affrontare questa ennesima trasformazione? Come possiamo tutelare le vittime evitando che si creino veri e propri smottamenti sociali legati a un’applicazione poco rispettosa dell’AI nella società.
Appartengo a quella generazione che ha ancora il conto in banca presso la stessa filiale, e se negli anni Novanta andavo in banca e trovavo una quindicina di sportelli per servire i clienti con file interminabili nelle ore di punta, oggi entro in una sorta di open space molto accogliente in cui si discutono operazioni complesse, non certo prelievi e depositi che ormai si fanno con l’ausilio di macchine. Si tratta di uno di molti esempi di come nell’arco di poco più di vent’anni sia cambiata l’organizzazione lavorativa e sociale di un intero settore.
Quello che colpisce è però la rapidità con cui la rivoluzione dell’AI stia avvenendo nell’arco di mesi piuttosto che di anni. Sempre lo studio del fondo monetario internazionale ha elaborato un indice di preparazione all’AI e di come questo sia correlato ai lavori fortemente esposti al rischio di AI. Le economie avanzate (tra cui quella Italiana) hanno lavori più esposti all’impatto dell’AI ma sono anche più preparati al salto.
La situazione in Italia
Ma cosa sta succedendo in Italia? Dal punto di vista legislativo il disegno di legge sull’AI affronta in modo ragionevole la tensione tra rischi e benefici di questa nuova tecnologia, prendendo posizioni esplicite su settori chiave come, ad esempio, la sanità. Ma a parte questa azione legislativa la sensazione è che nel paese come sempre se ne parli ma solo perché fa notizia.
Non sembra che vi siano azioni concrete su larga scala per la formazione del personale già impiegato, né azioni specifiche nel percorso formativo per assicurarsi che i giovani siano preparati a questa tecnologia e riescano a impiegarla proficuamente.
Anche il dibattito sui modelli sembra un po’ rigido e concentrato sugli aspetti computazionali e di addestramento dei modelli, con una scarsa attenzione al loro impiego e alle ricadute sulla società reale.
Per fortuna non ho incarichi di governo, non saprei da dove cominciare, è facile individuare cosa non va, ma lo è meno capire quali azioni possano davvero spostare le cose in una nazione dove un po’ tutti siamo ritrosi al cambiamento (quanto meno all’inizio, apparentemente oltre un certo punto diveniamo invece bulimici). Credo che sia necessario promuovere quanto più possibile queste tecnologie e rivedere l’organizzazione del lavoro in modo che i lavoratori siano supportati dall’AI in modo da essere più efficaci nello svolgere le proprie mansioni. Già lo scorso anno uno studio della Harvard School of Business e del Boston Consulting Group osservava come l’AI in certi ambiti lavorativi può funzionare come un acceleratore ed un amplificatore delle capacità di lavoro degli individui.
Resta la necessità di passare oltre la semplice notizia dell’ultima versione di un modello LLM ad un approccio più concreto e pervasivo nell’introduzione di queste tecnologie nel processo produttivo senza che, come spesso accade, ci vengano semplicemente imposte dalle multinazionali di turno. Università, scuola, e governo dovrebbero collaborare per promuovere azioni concrete partendo dalla formazione dei formatori, e delle figure esperte che il mercato inevitabilmente cercherà.
Puntare su una transizione rispettosa dell’uomo e della sua dignità
Sempre più segnali, come quelli intercettati dal Fondo monetario internazionale, lasciano vedere i primi segni di un impatto sul mercato del lavoro a causa dell’arrivo dell’AI. È facile aspettarsi che in molti lavori d’ufficio l’AI possa cambiare sostanzialmente le necessità di forza lavoro. Un aspetto fondamentale di questo processo di trasformazione è però quello di puntare a una transizione che sia “umana”, ovverosia rispettosa dell’uomo e della sua dignità, come raccomandato più volte anche da Papa Francesco.
D’altronde numerosi pensatori, tra cui Engelbart, hanno sostenuto che le tecnologie se usate per amplificare le potenzialità umane possono avere impatti più significativi rispetto a quello che avrebbero limitandosi a sostituire l’uomo. In ambito economico Brynjolfsson e McAfee hanno discusso come anche l’economia storicamente tenda a beneficiare più dalla combinazione tra uomo e tecnologia che dalla sostituzione dell’uomo con essa.
Non so se la mia sia solamente la normale attitudine nazionale nel vedere come siamo impreparati ad affrontare questo cambiamento, oppure si tratti della realtà. Resta la mia impressione che dovremmo essere più veloci nella transizione e nell’anticipare i problemi, non solo limitatamente agli aspetti giuridici. Sicuramente in una nazione caratterizzata dal declino delle nascite si può pensare che l’AI alla fine possa divenire una delle leve a sostegno dell’economia e che questo possa aiutare a sostenere i processi produttivi anche in periodi di calo demografico.
Rivedere il processo formativo
Resta aperto il problema di capire rapidamente come insegnare ai nostri ragazzi cosa sia l’AI e come usarla in modo proficuo, rivedendo tutto il processo formativo, a partire dalla necessità di formare gli insegnanti, evitando approcci sensazionalistici tipo comprare una LIM per ogni classe prima di capire come possa essere usata. Vanno anche individuate forme di riqualificazione della forza lavoro per evitare che la trasformazione dell’impiego porti all’esclusione dal processo produttivo di lavoratori divenuti fragili a causa della tecnologia e pertanto difficilmente reimpiegabili. Contrariamente al passato non sembra che vi sia il tempo per attendere che certi lavoratori escano dal processo produttivo per anzianità vista la rapidità con cui si sta trasformando il mercato del lavoro.
Conclusioni
Come sempre non possiamo che osservare l’evoluzione del panorama nella speranza che la realtà che tutti insieme costruiremo sia utopica e non distopica.