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L’IA Generativa sta già cambiando il mercato del lavoro: ecco come e che fare



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Dopo un anno e mezzo dall’avvento dell’AI generativa, si evidenziano gli effetti sul lavoro. Il Fondo Monetario Internazionale stima che il 40% dell’occupazione globale potrebbe essere influenzato, percentuale che sale al 60% nelle economie avanzate. Settori come l’IT mostrano già cambiamenti, con sospensioni delle assunzioni e riorganizzazioni aziendali

Pubblicato il 27 giu 2024

Antonio Cisternino

Università di Pisa



intelligenza artificiale mano

Dopo poco più di un anno e mezzo dall’inizio della rivoluzione dell’AI generativa si cominciano a notare i primi segni dell’impatto della tecnologia sul mondo del lavoro. Un recente rapporto del fondo monetario internazionale sottolinea come si stima che il quaranta per cento dell’impiego globale può essere condizionato dall’intelligenza artificiale; questa percentuale sale fino al sessanta percento nelle economie più avanzate.

Ma quali possono essere gli impatti e quali le contromisure?

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I primi effetti dell’IA generativa: mancati nuovi impieghi nel settore IT (e non solo)

Il settore IT dove l’AI si è sviluppata, non senza ironia, mostra i primi segni in termini di nuove occupazioni con giganti come IBM che ha annunciato la sospensione delle assunzioni di lavori potenzialmente condizionati dall’AI. Anche il CEO di Klarna ha dichiarato che l’impiego di ChatGPT ha ridotto il tempo di svolgimento di alcuni compiti al punto da ridurre il bisogno di nuove assunzioni.

Alcune compagnie come Dropbox hanno addirittura deciso di tagliare alcune posizioni solo al fine di liberare risorse per assumere esperti in AI per lo sviluppo di nuovi servizi.

Un sondaggio di Ernst&Young ha evidenziato che il 50% dei leader aziende tecnologiche prevede sia licenziamenti che assunzioni necessari al riallineamento della forza lavoro alla luce di queste nuove tecnologie.

IMF warns artificial intelligence to hit almost 40% of jobs worldwide

Ma se il settore IT è abituato a confrontarsi con dinamiche di cambiamento rapido dello scenario lavorativo, anche se raramente di questa portata, sono altri i settori in cui l’impatto della tecnologia AI generativa potrebbe essere più significativo. Tecnologie come i GPTs di OpenAI possono, almeno in parte sostituire gli operatori di primo supporto che molte realtà hanno già cercato di imporre per ridurre i costi ma con risultati non certo esaltanti (penso di non essere l’unico a sentirmi frustrato quando mi impongono di interagire con uno di questi assistenti).

Anche i servizi di trasformazione della conoscenza, come ad esempio la traduzione, condizioneranno il mercato, rimarranno sicuramente ambiti in cui una traduzione richiederà cura e attenzione, ma la tendenza già inaugurata con i sistemi di traduzione automatica non potrà che progredire con un impatto significativo sul mercato del lavoro. Figure ibride come gli operatori del Web potrebbero essere condizionati dalla capacità dei sistemi di AI di generare HTML e CSS automaticamente in accordo alla richiesta che può essere verbale oppure fornendo un’immagine che esemplifichi un particolare layout.

I nuovi scenari applicativi aperti dall’AI multimodale

Troppo spesso il dibattito dell’ultimo anno si è concentrato sull’interazione testuale con l’AI, sicuramente perché colpisce la nostra immaginazione, anche a causa di decenni di fantascienza che hanno costruito sull’idea degli anni ’50 del secolo scorso che la parola avrebbe reso “intelligenti” le macchine.

In realtà i modelli multimodali come Gemini o GPT-4o aprono nuovi scenari applicativi offrendo un’incredibile capacità di analizzare immagini e video alla ricerca di informazioni utili. Si tratta di modelli che magari non offrono la precisione richiesta da un processo industriale, ma che potrebbero aprire l’analisi automatica a nuovi mercati andando nuovamente a trasformare le esigenze lavorative.

L’integrazione dei modelli AI con i servizi, come accade poi con i GPTs di OpenAI, aprirà nuovi scenari offrendo interazioni nuove con i servizi che potrebbero contribuire a rimuovere figure lavorative in molti più settori.

Quanto siamo pronti ad affrontare la trasformazione?

Siamo pronti ad affrontare questa ennesima trasformazione? Come possiamo tutelare le vittime evitando che si creino veri e propri smottamenti sociali legati a un’applicazione poco rispettosa dell’AI nella società.

Appartengo a quella generazione che ha ancora il conto in banca presso la stessa filiale, e se negli anni Novanta andavo in banca e trovavo una quindicina di sportelli per servire i clienti con file interminabili nelle ore di punta, oggi entro in una sorta di open space molto accogliente in cui si discutono operazioni complesse, non certo prelievi e depositi che ormai si fanno con l’ausilio di macchine. Si tratta di uno di molti esempi di come nell’arco di poco più di vent’anni sia cambiata l’organizzazione lavorativa e sociale di un intero settore.

Quello che colpisce è però la rapidità con cui la rivoluzione dell’AI stia avvenendo nell’arco di mesi piuttosto che di anni. Sempre lo studio del fondo monetario internazionale ha elaborato un indice di preparazione all’AI e di come questo sia correlato ai lavori fortemente esposti al rischio di AI. Le economie avanzate (tra cui quella Italiana) hanno lavori più esposti all’impatto dell’AI ma sono anche più preparati al salto.

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La situazione in Italia

Ma cosa sta succedendo in Italia? Dal punto di vista legislativo il disegno di legge sull’AI affronta in modo ragionevole la tensione tra rischi e benefici di questa nuova tecnologia, prendendo posizioni esplicite su settori chiave come, ad esempio, la sanità. Ma a parte questa azione legislativa la sensazione è che nel paese come sempre se ne parli ma solo perché fa notizia.

Non sembra che vi siano azioni concrete su larga scala per la formazione del personale già impiegato, né azioni specifiche nel percorso formativo per assicurarsi che i giovani siano preparati a questa tecnologia e riescano a impiegarla proficuamente.

Anche il dibattito sui modelli sembra un po’ rigido e concentrato sugli aspetti computazionali e di addestramento dei modelli, con una scarsa attenzione al loro impiego e alle ricadute sulla società reale.

Per fortuna non ho incarichi di governo, non saprei da dove cominciare, è facile individuare cosa non va, ma lo è meno capire quali azioni possano davvero spostare le cose in una nazione dove un po’ tutti siamo ritrosi al cambiamento (quanto meno all’inizio, apparentemente oltre un certo punto diveniamo invece bulimici). Credo che sia necessario promuovere quanto più possibile queste tecnologie e rivedere l’organizzazione del lavoro in modo che i lavoratori siano supportati dall’AI in modo da essere più efficaci nello svolgere le proprie mansioni. Già lo scorso anno uno studio della Harvard School of Business e del Boston Consulting Group osservava come l’AI in certi ambiti lavorativi può funzionare come un acceleratore ed un amplificatore delle capacità di lavoro degli individui.

Resta la necessità di passare oltre la semplice notizia dell’ultima versione di un modello LLM ad un approccio più concreto e pervasivo nell’introduzione di queste tecnologie nel processo produttivo senza che, come spesso accade, ci vengano semplicemente imposte dalle multinazionali di turno. Università, scuola, e governo dovrebbero collaborare per promuovere azioni concrete partendo dalla formazione dei formatori, e delle figure esperte che il mercato inevitabilmente cercherà.

Puntare su una transizione rispettosa dell’uomo e della sua dignità

Sempre più segnali, come quelli intercettati dal Fondo monetario internazionale, lasciano vedere i primi segni di un impatto sul mercato del lavoro a causa dell’arrivo dell’AI. È facile aspettarsi che in molti lavori d’ufficio l’AI possa cambiare sostanzialmente le necessità di forza lavoro. Un aspetto fondamentale di questo processo di trasformazione è però quello di puntare a una transizione che sia “umana”, ovverosia rispettosa dell’uomo e della sua dignità, come raccomandato più volte anche da Papa Francesco.

D’altronde numerosi pensatori, tra cui Engelbart, hanno sostenuto che le tecnologie se usate per amplificare le potenzialità umane possono avere impatti più significativi rispetto a quello che avrebbero limitandosi a sostituire l’uomo. In ambito economico Brynjolfsson e McAfee hanno discusso come anche l’economia storicamente tenda a beneficiare più dalla combinazione tra uomo e tecnologia che dalla sostituzione dell’uomo con essa.

Non so se la mia sia solamente la normale attitudine nazionale nel vedere come siamo impreparati ad affrontare questo cambiamento, oppure si tratti della realtà. Resta la mia impressione che dovremmo essere più veloci nella transizione e nell’anticipare i problemi, non solo limitatamente agli aspetti giuridici. Sicuramente in una nazione caratterizzata dal declino delle nascite si può pensare che l’AI alla fine possa divenire una delle leve a sostegno dell’economia e che questo possa aiutare a sostenere i processi produttivi anche in periodi di calo demografico.

Rivedere il processo formativo

Resta aperto il problema di capire rapidamente come insegnare ai nostri ragazzi cosa sia l’AI e come usarla in modo proficuo, rivedendo tutto il processo formativo, a partire dalla necessità di formare gli insegnanti, evitando approcci sensazionalistici tipo comprare una LIM per ogni classe prima di capire come possa essere usata. Vanno anche individuate forme di riqualificazione della forza lavoro per evitare che la trasformazione dell’impiego porti all’esclusione dal processo produttivo di lavoratori divenuti fragili a causa della tecnologia e pertanto difficilmente reimpiegabili. Contrariamente al passato non sembra che vi sia il tempo per attendere che certi lavoratori escano dal processo produttivo per anzianità vista la rapidità con cui si sta trasformando il mercato del lavoro.

Conclusioni

Come sempre non possiamo che osservare l’evoluzione del panorama nella speranza che la realtà che tutti insieme costruiremo sia utopica e non distopica.

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