L’indagine c-level

Aziende, cosa significa innovare davvero: lo studio Itir



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La Digital Transformation rappresenta un cambiamento epocale per le aziende, che non si limita all’implementazione di nuove tecnologie. Questo processo richiede un ripensamento dei modelli di business, un rinnovato approccio alla governance e un’accentuata attenzione alla cultura aziendale e alla sostenibilità

Pubblicato il 18 dic 2023

Stefano Denicolai

professore ordinario all’Università di Pavia e Presidente Institute for Transformative Innovation Research (ITIR)



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Nessuno nutre più dubbi sull’importanza della digital transformation nell’epoca contemporanea. Tuttavia, come implementarla con successo è un dibattito tutt’ora aperto e attualissimo.

La digital transformation rappresenta infatti un salto epocale per le aziende e la sfida non risiede solo nell’implementazione di nuove tecnologie, ma anche nel ripensamento dei modelli di business e nella riformulazione della gestione interna.

Non si tratta solo di adottare strategie effimere, ma di operare una vera e propria innovazione trasformativa che ponga al centro la sostenibilità, intesa sia dal punto di vista ambientale che sociale.

In questo panorama, la cultura aziendale assume un ruolo fondamentale: è attraverso il coinvolgimento dei dipendenti e l’adozione di una mentalità aperta al cambio che le imprese possono guidare efficacemente il processo di trasformazione digitale.

Il cambiamento epocale della Digital Transformation

All’Università di Pavia, presso il nostro “Institute for Transformative Innovation Research” (ITIR), stiamo raccogliendo sempre più evidenze che suggeriscono come il problema della digital transformation sia il fatto di essere un po’ troppo “digital”: ossia, non può essere una mera implementazione di soluzioni tecnologiche.

Un impatto competitivo è palpabile solo quando è l’occasione per ripensare in modo dirompente i modelli di business, in cui il “digitale” è soltanto un mezzo per raggiungere una visione creativa e illuminata. In secondo luogo, la sfida della sostenibilità ambientale e sociale può sembrare concettualmente indipendente dallo sviluppo tecnologico, ma di fatto vede nella trasformazione digitale un passaggio critico: da un lato, lo sviluppo digitale è molto meno sostenibile di quanto si creda; dall’altro, è assolutamente utopistico immaginare di gestire la sfida del cambiamento climatico senza l’ausilio di modelli predittivi, logiche data-driven, simulazioni abilitate da un’enorme potenza di calcolo, e così via.

In questo contesto, come i percorsi di cambiamento del nostro tempo differiscono rispetto al passato e quali implicazioni comporta tutto ciò? In risposta a queste sfide, quali sono i fattori critici di successo per ripensare “in profondità” un’impresa moderna?

Un mindhub per promuovere il confronto tra università e imprese

All’ITIR abbiamo avviato un mindhub che promuove un confronto tra università e imprese su queste tematiche. Un mindhub è una sorta di piattaforma di collaborazione tra accademia e impresa che rinnova il classico formato ‘osservatorio’, basandosi su iniziative di ricerca agile e gruppi di lavoro piccoli e flessibili.

Tra le prime iniziative di questo mindhub, abbiamo intervistato una serie di imprese ponendo esattamente le domande menzionate precedentemente. Nel far ciò, abbiamo ragionato su un campione composto da grandi imprese, startup e scale-up emergenti, tutte provenienti da settori diversi, unite dal fatto di vivere profondi processi di trasformazione.

Nello specifico, abbiamo intervistato C-Levels dal seguente panel di imprese (in ordine alfabetico): Angelini group; beSharp; Cifarelli; Cimbali Group; Crédit Agricole; G-Gravity; Goglio; ICSS; illimity; ITP; Planet Farms; Poste Italiane; Qualis Credit Risk; Risorse spa; Vesenda. A queste si aggiungono le interviste ad alcuni esperti, come Ernesto Ciorra – già Chief Innovability Officer di ENEL – e Stefano Epifani – Presidente Fondazione Sostenibilità Digitale -.

Qui di seguito alcune delle principali evidenze emerse.

Trasformazione digitale: il solito vino in nuove bottiglie?

Siamo testimoni di “trasformazioni” epocali che penetrano ogni ambito e settore. Una parola – trasformazione – che trova sempre più spazio e, talvolta, viene abusata nelle sue molteplici sfumature: trasformazione aziendale, trasformazione digitale, transizione ecologica, leadership trasformativa, etc.. Ci si interroga se si tratti effettivamente di qualcosa di nuovo, o se sia soltanto un termine di tendenza privo di sostanza. Gli anglossani direbbero: è forse semplicemente il solito vino in nuove bottiglie?

Le imprese del nostro panel di ricerca ritengono che la verità stia nel mezzo: mentre alcuni capisaldi del “change management” rimangono validi, recenti esperienze di profonda trasformazione aziendale delineano cambiamenti con caratteristiche inedite e multidisciplinari. Secondo Alessia Scarpa -Innovation & Sales Director – Risorse spa:

“La trasformazione a cui stiamo assistendo non riguarda più solo singoli aspetti ma abbraccia la crescita di ogni azienda in ogni sua sfaccettatura. Le imprese oggi devono relazionarsi in ecosistemi in cui convivono realtà profondamente diverse (mondo aziendale, accademico, istituzionale) che solo operando in sinergia potranno fare la differenza per vincere la sfida del lavoro del futuro che abbraccerà le tre grandi trasformazioni in atto: digitalizzazione, sostenibilità e innovazione, offrendo opportunità alle persone per aggiornare le proprie competenze che diventeranno sempre più ‘trasformative’ ”.

Il rischio di confondere caratteristiche strutturali dell’innovazione con quelle che sono le caratteristiche dell’innovazione attuale può portare a gravi errori di valutazione. Lo evince molto bene dalle parole di Stefano Epifani, Presidente di Fondazione Sostenibilità Digitale:

“Da sempre il progresso è una sfida, e da sempre la velocità del cambiamento aumenta. Tuttavia, l’accelerazione della trasformazione abilitata dal digitale attiva oggi percorsi inediti, che guardano alla progressiva acquisizione di autonomia delle macchine e che arrivano a mettere in discussione il senso stesso del lavoro, rendendo fondamentale una riflessione di senso sul modo in cui macchine e persone debbano e possano interagire per costruire modelli di sviluppo sostenibile che ci permettano di rispondere alla reale sfida odierna: la sfida della complessità. Cambiamenti climatici, demografici e geopolitici produrranno impatti sistemici sulle aziende – e non solo – che richiedono da una parte nuovi modelli di crescita (basati su dinamiche circolari ed esponenziali) e dall’altra nuovi strumenti per gestirla (come l’intelligenza artificiale).”

L’innovazione al di là dell’hype: come trasformare le minacce in opportunità

Un elemento ricorrente nelle interviste svolte è la considerazione secondo cui, in un mondo dove la tecnologia evolve in modo esponenziale, diventa difficile stare al passo con i cambiamenti e allo stesso tempo intercettare i reali benefici per il proprio business.

I processi di cambiamento all’interno delle aziende richiedono una velocità maggiore rispetto al passato, dove persone e competenze devono essere adeguati a software e paradigmi “as a service”, dove ogni giorno vi è a disposizione una nuova release, a prescindere dal fatto di averla richiesta o meno.

Ciò può generare un pericoloso mix fra complessità e confusione. Afferma Simone Merlini – CEO, CTO & Co-founder di beSharp: “In un panorama dove c’è una rapida successione di wave of Innovation, la sfida è individuare quali siano quelle tecnologie in grado di avere un impatto reale sul business senza farsi condizionare dall’hype del momento e quindi dall’effetto FOMO (Fear of Missing Out) di un dato trend. In questo quadro, la sfida al cambiamento è la confusione: la velocità porta ad avere sempre più informazioni e questa ricchezza rende il processo decisionale più complicato. I grandi progetti sono di fatto piccoli progetti ben fatti che propagano trasformazioni profonde e ‘contagiose’ ”

Il ruolo della sostenibilità nella trasformazione digitale

Non solo c’è incertezza, quanto un cumulo di incertezze. Dalla Seconda guerra mondiale, forse mai abbiamo vissuto un’epoca con così pochi capisaldi cui ancorarci. Non solo a livello business: anche con riferimento alla salute del pianeta, alle questioni demografiche e ai problemi di equità ed inclusione, e così via. Il tutto si intreccia in un tutt’uno, un’unica sfida, per società ed imprese.

In questo quadro, il problema non è trasformarsi in chiave digitale, quanto comprendere davvero cosa significhi diventare un’azienda data-driven e cominciare a monetizzare l’enorme mole di dati che ormai tutti hanno a disposizione. Una grande sfida diventa l’upskilling delle risorse aziendali, congiuntamente alla definizione di modalità di creazione continua di competenze originali.

Più di un intervistato sottolinea come, in questo quadro, il percorso di democratizzazione degli strumenti digitali è fondamentale per valorizzare il ruolo dell’essere umano, coinvolto sempre più in processi digitali che devono saper offrire un’esperienza “umana” e “naturale”.

Transformation execution: dalla teoria ai fatti

Come affrontare con successo le sfide sopra delineate? Si tratta di un ambito di ricerca particolarmente interessante e promettente, dove c’è ancora molto da lavorare prima di giungere a fondamenta consolidate. Tuttavia, nel corso delle nostre interviste abbiamo rilevato una serie considerazioni ricorrenti, fra conferme e spunti di riflessione originali.

In primo luogo, può apparire ovvio ma occorre ricordare come la digital transformation implichi investimenti significativi e convinti: non si può parlare di questa rivoluzione in termini entusiastici per poi allocarvi budget miserevoli, o – peggio – non assegnarvi i migliori talenti a disposizione. Se ciò da un lato può apparire semplice buon senso, in realtà la riflessione è più ampia.

Secondo i manager intervistati, la chiave per affrontare il cambiamento continuo è la digital readiness. In altre parole, serve investire in prontezza. Così come nella diversificazione del rischio finanziario, occorre ampliare le occasioni di crescita e farsi trovare pronti rispetto ad una serie di futuri plausibili alternativi, consapevoli che alcuni non avverranno mai. Solo in questo modo si è a proprio agio con rivoluzioni che si palesano dalla sera alla mattina.

La nuova governance del cambiamento

In secondo luogo, servono nuovi modelli di governance del cambiamento. Fra le altre cose, ciò significa una nuova leadership, come ci ha ben chiarito Corrado Passera, fondatore e CEO di illimity:

“Oggi viviamo esigenze di leadership diverse rispetto al passato, in quanto i processi di trasformazione sono così trasversali e profondi che implicano difficoltà che non sono solo maggiori, possono dirsi del tutto “nuove”, dove si intrecciano valutazioni razionali ed emotive. Serve una leadership sempre più saggia.”

Perseguire nuovi modelli di governance del cambiamento significa pure provare a immaginare e diffondere delle vere e proprie “competenze trasformative”, ossia capacità in grado far sentire il capitale umano a proprio agio con il cambiamento continuo, nonché in grado di scatenare e propagare innovazione attorno a sé, verso reazioni trasformative a catena, in grado di contagiare entusiasmo verso il futuro e una propulsione innovativa fra chi è sempre stato restio al cambiamento.

L’importanza della cultura nel processo di trasformazione

In terzo luogo, tutti i nostri intervistati convergono sul fatto che la questione culturale sia, ancora una volta, fondamentale: formazione, discussione di case histories, reskilling, etc. Una trasformazione di successo passa dal rinnovamento dei valori condivisi, facendo però un pivoting sapiente innestando innovazione sulle radici da cui arriva l’impresa, su quanto di buono è stato fatto in passato. Da questo punto di vista, l’innovazione trasformativa è diversa dall’innovazione concepita quale tabula rasa del pregresso.

L’innovazione per creare un mondo migliore

Ci troviamo nell’era dell’innovazione trasformativa, in cui una profonda revisione dei modelli di business, la trasformazione digitale e la transizione a modelli sostenibili – verso nuovi purpose – non sono percorsi distinti, quanto piuttosto parti di un unico ed inscindibile flusso di cambiamento epocale. La trasformazione digitale, quella di grande impatto, non può prescindere da una revisione critica del core business. Così come non va trascurata l’importanza crescente dell’intreccio tra sostenibilità e digitalizzazione, un aspetto strategico e di stringente attualità.

Questa visione è emersa chiaramente in diverse interviste ed è rappresentata in modo illuminante dalle parole raccolte da Ernesto Ciorra:

“Abbiamo bisogno di Innovability, ossia di innovazione che crea un mondo migliore. Ogni quindici anni circa di fatto ogni essere umano muore e rinasce, perché oltre il 99% delle nostre cellule sono state sostituite. Se ciò è normale per un essere vivente, non lo è per le aziende, che al contrario tendono per loro natura a preservarsi nella forma originale. Il problema è che ormai tutto attorno a noi cambia, ed in modo esponenziale. Le aziende o accettano di entrare in simbiosi e in sintonia positiva con questi flussi – per esempio vedendo il cambiamento climatico come una straordinaria opportunità, più che come un fastidioso costo – , affrontando trasformazioni profonde ed irreversibili, o innovano o muoiono”

Conclusioni

In astratto, un’azienda può pure provare ad immaginare i business del futuro ignorando l’elemento digitale e mettendo da parte l’ambizione a perseguire obiettivi più nobili, (alla ricerca della sintesi perfetta fra valore economico, sociale, ambientale). Tuttavia, nell’epoca trasformativa che viviamo, di fronte alle grandi sfide menzionate, sarà solo un’illusione.

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