Negli ultimi vent’anni, in Italia, si è osservato un trend crescente degli investimenti immateriali (spese in R&S, software e base dati) e in ICT (hardware informatico e apparecchiature per telecomunicazioni), evidenziando un ritmo di crescita più sostenuto rispetto al totale degli investimenti.
In particolare, nel 2021, dopo la flessione imposta dalla crisi economica generata dalla pandemia, gli investimenti in ICT si sono posizionati su livelli superiori del 27% rispetto al 2008 (+28% per gli investimenti immateriali) a fronte di un gap sul 2008 di oltre il 10% se consideriamo gli investimenti totali.
Manifatturiero, così traina il rilancio dell’Italia: i perché del successo e come migliorare
La dinamica positiva degli investimenti in ICT e immateriali riflette in parte anche il progressivo processo di automazione e digitalizzazione che sta coinvolgendo l’intero sistema economico del nostro Paese. Nonostante questi segnali di crescita però il confronto con i paesi dell’Area Euro evidenzia ancora il ritardo italiano. Nel 2021 il peso degli investimenti immateriali e in ICT sul PIL in Italia è stato pari al 4%, un risultato inferiore ai competitor europei (5,4%), scontando in particolare un divario nella componente degli investimenti immateriali.
Fig.1- L’evoluzione degli investimenti in Italia, confronto tra asset totali, ICT e immateriali (indice 2008=100, valori concatenati 2015) | Fig. 2- Il peso degli investimenti immateriali e ICT sul PIL, confronto Italia e Area Euro (%, 2021) | |
Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Eurostat | Fonte: elaborazioni Intesa Sanpaolo su dati Eurostat |
I numeri del DESI
Un ulteriore indicatore utile per indagare il processo di digitalizzazione di un sistema economico è il Digital Economy and Society Index (DESI) della Commissione Europea che analizza 4 aspetti: il livello di connettività, l’integrazione delle tecnologie digitali nei processi, la diffusione di servizi pubblici digitali e la preparazione in termini di competenze digitali. L’Italia, nel 2021, con un valore dell’indice pari a 45,5 si colloca sotto la media europea (50,7) posizionandosi al 20esimo posto tra i 27 stati dell’UE. Nello specifico emerge un ritardo con gli altri paesi europei in termini di connettività e utilizzo dei servizi pubblici digitali, nonostante i miglioramenti osservati negli anni più recenti. Inoltre, rimane ampio il gap in termini di competenze digitali, dove l’Italia evidenzia un ritardo significativo, collocandosi in 25esima posizione. È invece nella voce relativa all’integrazione delle tecnologie digitali, che riguarda lo scambio di informazioni elettroniche, l’utilizzo di big data e intelligenza artificiale, così come la diffusione dei servizi in cloud e dei canali di vendita on-line, che l’Italia mostra performance migliori della media europea.
Fig.3 Indice DESI 2021 per dimensione: confronto Italia e Unione Europea (27) |
Fonte: Indice di digitalizzazione dell’economia e della società (DESI) 2021 – Commissione Europea |
Lo studio Intesa Sanpaolo
Il buon grado di sviluppo delle tecnologie digitali nei processi produttivi delle imprese italiane è confermato anche da un recente studio di Intesa Sanpaolo[1], che ha approfondito il tema della digitalizzazione, nell’ambito dell’industria manifatturiera, comparando le performance delle imprese italiane, tedesche, francesi e spagnole.
L’indicatore di e-business, quello cioè che tiene conto dell’integrazione dei processi produttivi e della diffusione del paradigma 4.0, evidenzia il miglior posizionamento italiano rispetto agli altri paesi europei. Analizzando più nel dettaglio le voci che compongono l’indicatore si può osservare come tra le imprese manifatturiere italiane ci sia una maggiore diffusione rispetto al dato medio europeo della fatturazione elettronica (per effetto anche dell’obbligo di legge a partire dal 1 gennaio 2019), di servizi di cloud computing ad alto valore aggiunto, di utilizzo di robot industriali e di servizio, di imprese che utilizzano IoT (dispositivi o sistemi interconnessi che possono essere monitorati o controllati a distanza tramite Internet), di utilizzo di intelligenza artificiale (anche se in quest’ultimo caso si tratta di fenomeni ancora molto circoscritti).
Nell’ambito più strettamente connesso ai processi produttivi, e allo sviluppo ed utilizzo delle tecnologie 4.0, l’Italia evidenzia dunque un risultato migliore di Germania, Francia, Spagna e UE 27. Anche al netto dell’indicazione relativa alla fatturazione elettronica, la performance italiana risulta superiore alla media UE. La fotografia che emerge da questo indicatore vede il sistema produttivo pronto a cogliere tutti gli aspetti più innovativi legati a Industria 4.0. Risultato che in parte potrebbe essere spiegato anche dal sistema incentivante sviluppato negli ultimi anni (Industria 4.0 e poi Transizione 4.0) che sta supportando il processo di trasformazione del sistema produttivo italiano.
La situazione del manifatturiero in Italia
Concentrandoci solo sull’Italia e sulle imprese manifatturiere che hanno già adottato soluzioni IoT, si può indagare più nel dettaglio in quali ambiti le tecnologie 4.0 siano state introdotte. Gli ambiti prevalenti, in cui si osserva una maggiore diffusione di soluzioni smart in chiave 4.0, sono tre: efficientamento energetico, processi produttivi e relazione con il cliente. Più di un terzo delle imprese ha infatti introdotto soluzioni per ottimizzare il consumo di energia, utilizzando contatori, lampade o termostati intelligenti, il 31% utilizza sensori per monitorare e automatizzare i processi produttivi e la logistica, mentre il 28% utilizza sensori/telecamere per migliorare il servizio con i clienti. Solo il 15% utilizza invece sensori per monitorare il movimento di veicolo o prodotti.
Il ruolo delle start up
In un contesto fortemente innovativo, come quello della transizione digitale, il ruolo delle start-up appare fondamentale, e programmi come Up2Stars rappresentano importanti occasioni per stimolare il potenziale di innovazione del Paese e nel quadro della transizione digitale.
I dati relativi alle start-up innovative iscritte all’apposito Registro presso la Camera di Commercio[2], confermano l’importanza delle nuove imprese innovative nei settori maggiormente coinvolti nella fornitura di prodotti e servizi destinati alla digitalizzazione. Nell’ultima analisi pubblicata dal Ministero dello Sviluppo Economico[3], al 1 Ottobre 2021, circa 5.300 imprese, quasi il 38% del totale, sono attive nel settore della produzione di software, il settore che risulta, di gran lunga, il più rappresentato nelle 14.000 start-up innovative italiane. Se a queste si aggiungono le start-up innovative attive nella produzione di beni elettronici (328), di macchinari (429) e i fornitori di servizi di telecomunicazioni (1.242), si arriva a fotografare una realtà di oltre 7.300 soggetti altamente innovativi che hanno iniziato la loro attività negli ultimi anni: più della metà delle start-up innovative italiane opere pertanto nei settori core della digitalizzazione.
Si tratta di uno straordinario bacino di nuove idee e nuove soluzioni che costituiscono un patrimonio fondamentale in questi settori altamente innovativi: circa un terzo delle nuove società di capitali, ovvero quelle costituite negli ultimi 5 anni, è iscritto al Registro delle start-up innovative, quota che sale al 45% per le società di software, nettamente superiore a quanto si riscontra per il complesso dell’economia italiana (3,7%).
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Note
- Fonte: Intesa Sanpaolo e Prometeia, Analisi dei settori industriali, maggio 2021. ↑
- Si tratta del Registro introdotto con la Legge 221/2012 che introduce benefici fiscali e amministrativi per le nuove imprese innovative. ↑
- Unioncamere – MISE – InfoCamere “Cruscotto di Indicatori Statistici – Dati Nazionali – 3° Trimestre 2021” ↑