Web 3.0 e contraffazione

Made in Italy e passaporto digitale dei prodotti: come le pmi possono prepararsi al 2030

Le pmi del made in Italy sono chiamate a confrontarsi con il web 3.0: dal 2024 sarà operativo il passaporto digitale dei prodotti. Gli obiettivi europei sul manifatturiero e le previsioni al 2030, cosa prevedono le proposte in discussione su Data Act e Regolamento Macchinari

Pubblicato il 11 Ago 2022

Simona Romiti

Change agent Senior Advisor in Programmi ed ecosistemi europei

transizione 4.0 - fondo Mise IA IoT blockchain

Entro il 2030 le tecnologie abilitanti, tra cui l’intelligenza artificiale, la computer vision e il cloud factory, costituiranno la fonte creativa di nuovi prodotti, nuovi processi di fabbricazione e nuovi modelli di business.

La piccola manifattura italiana, che da sempre ha saputo stimolare l’immaginazione nella ricerca di nuove soluzioni, diventerà l’hosting privilegiato dei nuovi fattori della produzione -dati e informazioni- scoprendo tutta la vulnerabilità degli attuali strumenti di tutela del patrimonio conoscitivo aziendale.

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Gli obiettivi europei al 2030 per il manifatturiero

Il Passaporto digitale dei prodotti ridefinisce gli elementi di creazione del Made in Italy nel design-pensiero, nell’azione-produzione e nella sua internazionalizzazione-socializzazione.

Datificazione e digitalizzazione end-to end porteranno a un aumento del volume e della varietà dei dati di cui trarranno beneficio gli algoritmi di Intelligenza artificiale che, secondo il McKinsey Global Institute, entro il 2030, impatteranno su almeno il 70% delle aziende del globo.

Le PMI diverranno i maggior generatori di Zetabyte e questi origineranno dati manifatturieri. Insieme ai cluster e ai digital innovation hub, l’impresa veloce sarà al centro del design e dell’ingegnerizzazione degli host digitali delle nuove tecnologie, superando modalità e spazi di transizione digitale finora noti, e alternando il proprio ruolo tra attore analogico e agente ospitante di algoritmi riproduttivi.

Questi driver di enveloping degli ambienti della produzione li possiamo riscontrare in molti degli strumenti europei a supporto dell’innovazione delle PMI, appartenenti al pacchetto legislativo sull’attuazione del decennio digitale. Entro il 2030, la Commissione europea ha, infatti, l’ambizione di consentire al 75% delle imprese l’adozione di cloud computing, big data e intelligenza artificiale.

Un obiettivo realistico: la disintermediazione relazionale macchina-software, l’abilità della computer vision ad acquisire i nuovi fattori della produzione, oggi è percepita dalle imprese come via per aumentare la competitività e redditività.

La partnership Made in Europe e il passaporto digitale dei prodotti intelligenti

L’allontanamento dalla manifattura industriale di tipo “tradizionale” verso un nuovo luogo sbilanciato sull’agere, può essere ulteriormente visualizzato se introduciamo in questa analisi due nuovi elementi di valutazione: la partnership Made in Europe, una tipologia di fabbrica del futuro riconoscibile con il nome di EFFRA-Made in Europe (European Factories of the Future Research Association) e il passaporto digitale, portatore di dati, dei prodotti intelligenti, come lo smart-textile, a loro volta generativi di dati e informazioni. Da un lato il player internazionale, dall’altro il contenuto a-territoriale.

Il Passaporto digitale dei prodotti (DPP), la cui piena operatività è prevista a partire dal 2024, risponde alla opportunità, stabilita a livello unionale, di superare l’asimmetria informativa tra consumatore finale, imprese produttive e investitore finale, e alla necessità di fissare i principi per garantire un’equa estrazione di valore basata sulla condivisione dei dati.

Introdotto con la Comunicazione EU 118 del 9 marzo 2021, Bussola digitale, e ribadito con la Comunicazione EU 141 del 30 marzo 2022, Strategia europea per prodotti tessili sostenibili e intelligenti, il passaporto assume già il ruolo di fattore abilitante della circolarità industriale, andando ad alimentare lo spazio dati del Green Deal europeo con i dati del Made in Italy.

Così prescritto, può essere assimilato a un visto digitale all’interno dello spazio Schengen europeo dell’infosfera o anche un prototipo di NFT per i beni di largo consumo, basato su una piattaforma blockchain, evolutiva rispetto alla versione 2.0 di Madaster, il catasto pan-europeo dei materiali.

Oltre all’architettura, rimangono ancora inesplorate il modello di governance dei dati, gli standard semantici e i protocolli di interoperabilità tra tutti gli attori della catena del valore, i modelli di business e le strategie per l’esecuzione di spazi dati.

Questi gap assumono rilevanza strategica nella misura in cui la raccolta, centralizzazione e memorizzazione di dati dentro cloud da trasferirsi su passaporti digitali, crea le condizioni per una condivisione del know-how non opportunamente tutelata.

Cosa prevedono le proposte di Data Act e Regolamento dei Macchinari

Il Data ACT, oggi in fase di proposta, in parte vieta ai provider di macchinari e servizi, con sistemi digitali, di utilizzare le informazioni appartenenti al patrimonio conoscitivo imprenditoriale.

Mentre la proposta di Regolamento sui Macchinari, COM(2021) 202 del 21 aprile 2021, si limita a fissare i rischi per le tecnologie emergenti e ricomprende, tra i macchinari ad alto rischio, i Software con funzioni di sicurezza, compresi i sistemi di intelligenza artificiale e le macchine con sistemi di IA integrati.

Viene quindi garantita la Sicurezza e l’affidabilità del macchinario nella interazione uomo-macchina, che per l’ingegneria meccanica italiana, la più brevettata in Europa, costituisce un ulteriore passo in avanti, ma non viene contemplata riconoscibilità degli elementi distintivi dei prodotti finali e soprattutto la loro fonte.

Dentro questi nuovi host digitali, la tutela della proprietà intellettuale rischia di diventare un esercizio di salvataggio online di quanto memorizzato, piuttosto che un riconoscimento offline della combinazione artistica di elementi individualizzabili come forma, colore e dimensione.

Il Made in Italy, sesto sound più conosciuto nel mercato mondiale terrestre, dovrà farsi strada nell’economia digitalizzata del web 3.0.

In questo spazio virtuale dove già esistono luoghi di arte e cultura, collectibles e market place, strumenti di branding con NFT associati, phishing e scam, versioni digitali di beni materiali di lusso, il genio italiano dovrà ingegnarsi nel contenere il dilagare di classi digitali isomorfi di prodotto, generati dagli algoritmi, privi di elementi “tipicizzanti”, facendo venir meno il presupposto per il riconoscimento di un marchio o la tutela brevettuale.

Inoltre, come accade oggi per le fakenews dei social, è interesse dei sistemi produttivi reali adottare tutte le misure necessarie per evitare che i contenuti conoscitivi dei beni superino quelli dichiarativi nel passaporto digitale dei prodotti.

Conclusioni

Il nuovo RenAIssance non ha ancora assunto la forza storica che fu del Rinascimento italiano, vale a dire la versatilità nel trasformare i simboli della vita operativa in opere d’arte riconoscibili nel tempo e nello spazio.

RenAIssance e nuovo Bauhaus europeo dovrebbero contemplare tutti gli strumenti di tutela del patrimonio intellettuale dell’economia digitalizzata.

In attesa che il Data Act diventi esecutivo e dell’istituzione di nuovo Soggetto pubblico che regolamenti lo scambio di dati, l’esercizio del mito demiurgo è pensare, ragionare e ricercare i fondamentali per trovare nuove forme solide per declinare la tutela del Made In Italy.

È indispensabile, per le imprese, tokenizzare il valore creato da algoritmi riproduttivi associati a cloud periferici o software di servizio, mentre per i domini manifatturieri è indispensabile dotarsi di contratti di condivisione dati o data sharing agreement, ovvero smart contract basati su organizzazioni autonome decentralizzate.

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