L'analisi

Manifattura 4.0, piano con l’ottimismo: alle aziende mancano competenze e innovazione

I dati Ucimu sul mercato della produzione di macchine utensili indicano una crescita inaspettata nel primo semestre 2021, con fiducia nelle politiche industriali come Transizione 4.0: alcune dinamiche però, come la carenza di competenze e il livello di automazione, vanno affrontate

Pubblicato il 22 Lug 2021

Giacomo Bandini

Competere

industria 4.0

I recenti dati dell’associazione di categoria Ucimu sul mercato della produzione di macchine utensili forniscono un quadro positivo rispetto alla flessione mostrata nel 2020 dove la sospensione delle attività produttive e un rallentamento del commercio globale ha pesato sui bilanci del settore.

La crescita inaspettata del primo semestre del 2021 è alla base della fiducia dei produttori che elogiano le politiche governative Transizione 4.0 con misure come la Nuova Sabatini, quest’ultima recentemente prolungata con il Decreto legge 30 giugno 2021, n. 99.

Tuttavia alcune dinamiche si preannunciano all’orizzonte per l’Italia del PNRR e della stagione delle riforme economiche: l’obsolescenza generale dei macchinari, la carenza di competenze digitali e le conseguenti difficoltà del mercato di assorbire forza lavoro qualificata, la necessità di supportare digitalizzazione e automazione nelle imprese italiane che ancora scontano una certa arretratezza con i competitor internazionali.

I numeri

Per fornire qualche numero, l’indice degli ordini del primo semestre 2021 per le macchine utensili e i robot ha segnato un aumento dell’88,2%. Gli ordini interni sono cresciuti del 238% rispetto al medesimo arco temporale dell’anno precedente, mentre gli ordini esteri hanno registrato un incremento del 57,5% rispetto al primo semestre 2020. In ogni caso questa annata dovrebbe essere all’insegna dell’export date le stime Ucimu che indicano un saldo commerciale superiore addirittura a quello del 2017.

Competence center leva per il rilancio delle imprese: il caso dei bandi di Cim 4.0

Tra gli addetti ai lavori c’è chi parla di vele spiegate verso un futuro roseo della manifattura trainata proprio dalla produzione di macchinari, ma anche da una maggiore fruizione dei medesimi in Italia.

I trend negativi

Non tutti i trend, però, sono positivi. La stessa associazione poco prima di rilasciare la nota positiva sulla ripresa degli ordinativi aveva sottolineato come il parco macchine utensili installate in Italia al 31 dicembre 2019 risultasse piuttosto obsoleto. Con una tendenza negativa rispetto a quanto registrato nella precedente indagine del 2014. L’età media dei macchinari installati nell’industria italiana è di 14 anni e 5 mesi, in crescita di 1 anno e 9 mesi se comparato con i risultati ottenuti nell’ultima indagine. Questo è vero soprattutto per quanto riguarda le installazioni tradizionali.

L’incidenza delle macchine utensili con età superiore ai 20 anni è vicina al 50% del totale installato, contro il 27% del 2014.  I dati positivi, sotto questo profilo, mostrano gli effetti del Piano Industria 4.0 che ha infatti avuto un impatto positivo per quanto riguarda i robot e, in generale, i macchinari automatizzati che crescono negli ultimi cinque anni oltre il 20%. Indubbiamente un successo per la politica pubblica fortemente voluta dal ministro Carlo Calenda.

Il rapporto robot-imprese

Per fornire un ulteriore spunto numerico circa il rapporto robot-imprese, l’Italia è il sesto paese al mondo per adozione di robot industriali. 212 installati ogni 10.000 impiegati nel 2019 in crescita rispetto al 2017 dove la cifra si attestava intorno a 190.  Dal quadro delineato emergono luci e ombre, ma, considerate anche le condizioni di partenza e la pandemia, l’Italia mostra solide basi nella manifattura che dovrebbero essere il perno per la ripresa dopo la crisi.

I fronti critici delle politiche industriali 4.0

Quali sono però le direttrici da seguire?  Il primo, ed è stato spesso sottolineato, rimane quello delle competenze digitali. Senza ribadire la solita storia degli scarsi livelli di formazione ICT (certificati da svariati indicatori nonché dall’ISTAT), va evidenziato come le politiche di Transizione 4.0 hanno sempre latitato sotto questo versante. L’ex ministro Patuanelli ha inserito maggiori incentivi nel pacchetto sotto forma di credito d’imposta, mostrando sensibilità all’argomento. I Competence Center sono aumentati e dovrebbero ampliare il loro raggio d’azione.

Tuttavia, il cambiamento non può provenire solamente da una politica di incentivi, portata avanti da un solo organo governativo. Deve partire in modo coordinato e trasversale al governo e interessare primariamente il ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Quest’ultima in particolare è fondamentale non solamente per l’introduzione di nuovi prodotti e nuovi processi. Bensì per creare capacità intorno a un aspetto fondamentale della crescita economica, ovvero l’innovazione tecnologica. In questo modo si potrebbe innescare anche il circolo virtuoso delle competenze digitali che non sarebbero più trainate unicamente dalla necessità delle imprese di lavoro qualificato e dagli investimenti pubblici. Esse sono il perno di una nazione avanzata come insegnano i casi degli USA, della Cina e anche della Corea del Sud.

Gli obiettivi del PNRR per lo sviluppo

Simili concetti sono applicabili al tema della digitalizzazione delle imprese e dei processi produttivi. Questo è testimoniato proprio dall’adozione di robot e macchinari ad alta automatizzazione che è in crescita negli ultimi anni. Eppure la percezione rimane quella di un’Italia che rimane indietro e in cui il cambiamento tecnologico avviene con tassi inferiori a quelli degli altri paesi avanzati. Il PNRR prevede diverse misure in questo senso e prevede investimenti per 24,7 miliardi di euro per la componente “Digitalizzazione, innovazione e competitività nel sistema produttivo”.

Di sicuro è un buon punto di partenza e viene visto come un importante traguardo dopo anni di scarsi investimenti. Anche in questo caso, però, non può essere visto come l’unica ricetta da adottare. Le riforme “di contorno” sono fondamentali. Perché, se come ha constatato il governo stesso, i problemi della digitalizzazione sono legati a quelli della competitività e di difficoltà culturali e manageriali, allora queste ultime necessitano di ulteriori stimoli, a partire da un ecosistema economico che metta le imprese in condizione di espandersi e di produrre tecnologia con strategie di lungo termine.

Conclusione

In poche parole, è impensabile continuare a costruire politiche a metà o slegate tra di loro. I cambiamenti devono avere una natura organica e quindi essere concatenati. La necessità di accrescere le competenze tecniche e digitali va di pari passo con la crescita dei settori più avanzati tecnologicamente, così come il tasso di adozione tecnologica si accompagna a condizioni strutturali favorevoli che coinvolgono sia il privato sia il pubblico. Si riparta, quindi, dal PNRR purché non rimanga un’isola (grande) in mezzo all’oceano.

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