ricerca e sviluppo

Norme e standard, non solo “burocrazia”: ecco quando spingono l’innovazione



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Come le certificazioni possono stimolare l’innovazione, superando i pregiudizi verso il digitale e creando un ecosistema normativo che supporta la creatività aziendale

Pubblicato il 11 dic 2024

Stefano De Nicolai

Professore ordinario di management dell’innovazione, Università di Pavia Direttore del centro di ricerca ITIR (Institute for Transformative Innovation Research), Università di Pavia



innovazione (1)

Si può “certificare” l’innovazione? Se sì, chi se ne deve occupare? Come le imprese possono far leva sugli strumenti istituzionali per sbloccare innovazione anziché venirne imbrigliate?

La recente pressione a “certificare l’innovazione”

Queste domande sono sempre più attuali alla luce delle recenti novità, come il Decreto Direttoriale  MIMIT del 21.2.2024 – in attuazione del DPCM 15 settembre 2023 –  che crea un albo di enti qualificati per la certificazione ex-ante del credito d’imposta per attività di ricerca e sviluppo, quale strumento per evitare contenziosi ex-post con l’erario. Oppure si pensi alla recente uscita dello Standard ISO 56001, il quale consente la certificazione del sistema aziendale di gestione dell’innovazione.

La differenza tra le aziende che subiranno queste novità e quelle che le valorizzeranno come leva competitiva risiede nell’approccio a queste sfide e nella creazione di partnership strategiche con centri di ricerca, servizi all’innovazione e attori chiave della catena del valore.

Complessità e opportunità dell’innovazione digitale

Il tema è particolarmente interessante in tema di innovazione digitale. Serve il coraggio di ammetterlo senza giri di parole: l’attività di ricerca nel comparto digitale, nonostante il suo potenziale dirompente, non di rado viene percepita da istituzioni e legislatore come una sorta di innovazione di “serie B”, quantomeno in termini relativi rispetto ad alla manifattura avanzata (es. robotica) o in generale le industrie ad alta intensità brevettuale (es. comparto farmacutico, chimica, microelettronica, etc.). Nei documenti ufficiali non v’è differenza fra settori, tutti possono innovare con pari diritti, ma la realtà dei fatti è differente.

Esiste infatti una sorta di pregiudizio verso l’innovazione digitale che deriva dalla difficoltà di quantificare e definire il valore degli sviluppi digitali con gli strumenti normativi tradizionali, ma anche dalla difficoltà di seguire sviluppi davvero frenetici, dove talvolta le discontinuità più rivoluzionarie diventano chiare solo dopo alcuni anni. Tutto è più semplice – sempre in termini relativi – nel caso di innovazioni “tangibili” e formalizzabili, come quelle dei prodotti “fisici”.

Una riprova di quanto appena detto è data dagli sviluppi ed esiti della certificazione della ricerca sopra citata introdotta dal DPCM 15 settembre 2023, la quale serve alle imprese per verificare la leggimità del proprio operato ed evitare che un credito d’imposta su queste attività venga contestato dall’erario. La figura 1 mostra – alla luce dei dati ufficili del Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) – quei settori che più di altri si sono avvalsi di questa opportunità.

Al primo posto, vi è proprio il comparto dello sviluppo software. Il messaggio è evidente: sono le imprese che, più di altre, temono che gli organi di controllo possano mettere in dubbio il reale svolgimento delle loro attività di ricerca e innovazione. Nessuno mette in dubbio che qualche azienda digitale provi a raccontarsi come più innovativa di quanto in realtà non sia. Al tempo stesso, un dato così netto sembra confermare che un pò di pregiudizio sia effettivamente reale.

Figura 1. Attività di ricerca azienda certificata (Dpcm 15.9.2023): distribuzione per settori ATECO

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Fonte: Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT), Settembre 2024.

Nell’innovazione digitale, la “magia creativa” è nella capacità di rispondere in modo dinamico a bisogni latenti degli utenti, arrivando a reimmaginarli talvolta prima ancora che si manifestino ad ampio raggio. Ciò si traduce in nuovi paradigmi tecnoligici, ma anche su nuovi modelli di business basati sui dati, sulla natura intrisecamente modulare del mondo digitale, sulla capacità di creare valore grazie a configurazioni origianali basati su codici sviluppati nell’ecosistema da diversi attori. Queste caratteristiche, meno “brevettabili” e tangibili, portano taluni a sminuire forme di innovazioni che sono dirompenti tanto quanto quelle più “classiche”, che hanno portanto nell’’800 allo sviluppo del sistema brevettuale, per l’appunto incentrato su un concetto di innovazione che è oggi è in qualche misura obsoleto, o meglio non più rappresentativo di ogni forma inventiva contemporanea.

Il risultato è che, a parole, il termine “digitale” è molto diffuso nelle politiche di sviluppo dell’innovazione. Tuttavia, nei fatti, le agevolazioni pubbliche più rilevanti e d’impatto finiscono con il supportare specie la ricerca e sviluppo più “tradizionale” e legata a macchinari e prodotti tangibili. Anche semplicemente per il fatto che in questi ultimi ambiti gli incentivi all’innovazione hanno una manifestazione più chiara e certa.

Ad esempio, il piano Transizione 5.0 è una straordinaria misura di supporto all’innovazione moderna, dove si intrecciano trasformazione digitale e sostenibilità secondo un modello davvero interessante ed intrigante. Tuttavia, l’applicazione è molto chiara per hardware e soluzioni tangibili, mentre è attualmente molto vivo il dibattito su come il software possa portare effettivamente – e in quali casi – benefici a livello di sostenibilità ambientale (es. riduzione di emissioni nocive, o riduzione dei consumi energetici).

Chiunque non capisca che è semplicemente impossibile ambire a gestire le problematiche del cambiamento climatico senza innovazione digitale è, – nel migliore di casi – poco competente in materia o – nei peggiore dei casi – in mala fede. Eppure è un fatto che – rispetto a casi di tecnologie più tangibili – chi fa investimenti in software fatica a capire se può accedere ai vantaggi del piano Transizione 5.0. Da questo punto di vista, c’è molto da fare.

Tutto ciò porta una sorta di “disallineamento latente” tra contesto isituzionale e innovazione di tipo digitale che rischia di impedire la creazione di un ecosistema normativo moderno in grado di supportare efficacemente le peculiarità e la velocità di cambiamento del settore digitale, specie europeo, limitando il potenziale innovativo delle aziende tecnologiche.

Dove le certificazioni e le normative sono di per sé uno straordinario stimolo all’innovazione, non un freno come molti pensano.

Burocrazia o disciplina? Il delicato rapporto fra innovazione, regole e normative

Si usa dire che regole, regolamentazioni, normative e standard / certificazioni creano vincoli all’innovazione: non è del tutto corretto. Può essere vero addirittura il contrario: tali fattori possono stimolare e favorire processi innovativi, a patto che siano sviluppati, interpretati ed applicati come “disciplina” anziché “mera burocrazia”.

Evidentemente, il rischio di un freno all’innovazione è concreto e marcato quando normative, standard e certificazioni si traducono in un insieme di vincoli rigidi e complessi, che sottraggono risorse e creano ostacoli senza aggiungere valore reale.

Questa è “burocrazia”. Situazioni che obbligano imprese e cittadini a dedicare tempo ed energia per soddisfare requisiti ridondanti o per adempiere a procedure amministrative lente e macchinose. In un settore che evolve rapidamente come quello digitale, la burocrazia è particolarmente dannosa, poiché ostacola la capacità delle imprese di rispondere tempestivamente ed evoluzioni di mercato e competitività che si rinnovano a velocità pazzesche. La lentezza nel rilascio di autorizzazioni o le complesse procedure di certificazione possono ritardare il pensiero digitale, frenando la competizione e la creatività di quelle realtà che restano imbrigliate in complessità ed incertezze di una burocrazia della quale si fatica a capire il fine.

Il concetto di disciplina come accezione positiva delle regole

Il concetto di “disciplina” rappresenta invece l’accezione positiva delle regole: è l’insieme di norme e metodologie che guida l’innovazione, offrendo una struttura di riferimento chiara e sicura per lo sviluppo di nuove soluzioni. In ambito digitale, la disciplina può assumere la forma di standard tecnici e regolamenti che promuovono – ad esempio – l’interoperabilità dei dati, o il framework grazie al quale si può fare innovazione combinando API e codici open source sviluppati da diversi attori. In questo modo, standard e regole possono fungere da catalizzatori per l’innovazione, poiché stimolano le aziende a raggiungere livelli qualitativi superiori per conformarsi ai requisiti stabiliti.

Regolamentazioni e standard ben progettati possono creare straordinari spazi di innovazione, più che vincoli. In ambito digitale, l’introduzione di standard comuni favorisce lo sviluppo di tecnologie interoperabili e di sistemi aperti, stimolando la concorrenza tra aziende e consentendo ai consumatori di accedere a una maggiore varietà di soluzioni. Pensiamo agli standard per le connessioni di rete o ai protocolli di comunicazione per l’Internet of Things: grazie a questi, le aziende possono innovare in modo più mirato e creare prodotti compatibili che soddisfano esigenze sempre più avanzate, offrendo maggiore scelta e convenienza agli utenti.

Il nuovo Standard ISO 56001

Lo stesso vale per leggi, benefici fiscali, standard di settore. Questi ultimi sono spesso cruciali per garantire un ambiente di fiducia e sicurezza, elemento imprescindibile per la crescita di nuove tecnologie, nonchè per promuovere una cultura orientata al cambiamento. Ad esempio, il nuovo Standard ISO 56001, il quale consente la certificazione del sistema aziendale di gestione dell’innovazione, potrebbe essere concepito come una sorta di forza isomorfa che porta ad un negativo appiattimento verso una “one-best-way” nel fare innovazione, che ovviamente non esiste. Al contrario, a mio avviso, si tratta di uno straordinario meccanismo che spinge le imprese a interrogarsi se abbiano realmente adottato modelli chiari, condivisi in azienda e ufficiali per promuovere l’innovazione, avviando così un percorso di maturazione in questa direzione.

La disciplina istituzionale crea un terreno stabile e sicuro su cui le imprese possono sviluppare nuove soluzioni senza compromettere valori fondamentali come la sicurezza, l’integrità dei dati e la privacy. Questo ambiente di fiducia è essenziale per il successo delle tecnologie digitali, che richiedono l’adozione da parte di un vasto numero di utenti per esprimere il loro pieno potenziale innovativo.

La distinzione tra disciplina e burocrazia non è solo semantica, ma sostanziale: laddove le regole sono concepite come discipline, esse facilitano l’innovazione, fungendo da orientamento e stimolo per il miglioramento continuo; laddove invece si configurano come burocrazia, rischiano di inibire il progresso e di limitare la competitività delle aziende.

Servono più ricerche scientifiche, in ascolto delle imprese

In questo quadro, le ricerche scientifiche sono meno di quanto non si creda. Fra i contributi più rilevanti, uno studio del 2022 della professoressa Ionescu e colleghi basato su dati raccolti in 29 paesi europei, grazie ad una serie di regressioni lineari multiple, suggerisce che lo stato di diritto e la facilità di avviare un’impresa sono i pilastri del quadro istituzionale che meglio predicono i livelli di adozione della tecnologia digitale aziendale.[1] Oppure, il lavoro del prof. Yang e colleghi pubblicato nel 2023 riporta dati empirici che dimostrano come gli standard, instituzionali e non, siano uno dei principali fattori di stimolo all’innovazione nel comparto digitale.[2]

Questi studi scientifici sono però ancora pochi e parziali. Ne servono di più. Ad esempio, la già citata possibilità di certificare l’attività di ricerca introdotta dal MIMIT è un atto normativo importante che rilancia il settore degli investimenti in Ricerca e Sviluppo poiché crea condizioni chiare e certe ad imprenditori e imprese. Tuttavia, nonostante delle utili linee guida rilasciate dal Ministero stesso e nonostante il golden standard in materia (es. Manuale Frascati), quali siano le condizioni che effettivamente rappresentano casi di innovazione riconoscibile dalle istituzioni è ancora oggetto di grande dibattito, specie nel campo della trasformazione digitale.

L’Osservatorio “SPIRE: Strategic Practices for Innovation & Research Enablers” dell’Università di Pavia

Per questa ragione, presso il nostro Centro di Ricerca ITIR dell’Università di Pavia abbiamo deciso di attivare l’Osservatorio “SPIRE: Strategic Practices for Innovation & Research Enablers”, assieme ai partner LEYTON Italia e GDC Corporate & Tax. Tale osservatorio si focalizzerà sulla raccolta dei dati relativi agli investimenti in Ricerca e Innovazione Tecnologica delle imprese, partendo però da una nuova prospettiva, ovvero quella aziendale, facendolo “assieme alle imprese”. Le informazioni raccolte avranno un duplice scopo: serviranno a redigere certificazioni autorevoli e accurate da un lato, e ad inquadrare l’andamento del processo al fine di evidenziarne gli esiti e, dove opportuno, mettere in luce possibili migliorie, dall’altro lato. L’obiettivo è anche e soprattutto creare maggiore consapevolezza su queste tematiche, sviluppando know-how che sarà condiviso con l’intero ecosistema.

Perchè – ancora una volta – la sfida è sempre e solo la stessa: sviluppare una cultura che sia genuinamente aperta e orientata al cambiamento, tanto fra le istituzioni quanto nelle imprese. Se si ottiene un risultato di questo tipo, norme e standard si trasformano e da vincoli opressivi diventano uno straordinario stimolo all’innovazione, anche e soprattutto nel comparto digitale.

  1. Yang, J., Zhou, L., Qu, Y., Jin, X. and Fang, S., 2023. Mechanism of innovation and standardization driving company competitiveness in the digital economy. Journal of Business Economics and Management24(1), pp.54-73.
  2. Ionescu, A.M., Clipa, A.M., Turnea, E.S., Clipa, C.I., Bedrule-Grigoruță, M.V. and Roth, S., 2022. The impact of innovation framework conditions on corporate digital technology integration: Institutions as facilitators for sustainable digital transformation. Journal of Business Economics and Management23(5), pp.1037-1059.

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