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Nuovo codice della crisi di impresa, cos’è il piano attestato di risanamento: cosa dice la legge

Il Codice della crisi introduce l’istituto del piano attestato di risanamento, già noto alla Legge fallimentare, che consiste nell’offrire la possibilità di superare lo stato di crisi grazie a un accordo fra creditori: ecco come funziona, perché è utile per le aziende conoscerlo e cosa dicono le leggi al riguardo

Pubblicato il 17 Nov 2022

Marco Sergio Catalano

Avvocato, Studio Irrera

Giustizia digitale

Tra gli strumenti introdotti dal Codice della crisi vi è l’istituto del piano attestato di risanamento[1]. Si tratta di un istituto – già noto alla Legge fallimentare – la cui peculiarità consiste nell’offrire la possibilità di superare lo stato di crisi solo sulla base di un accordo fra creditori, senza passare al vaglio dell’Autorità giudiziaria (salva l’ipotesi di successiva apertura di procedura di liquidazione giudiziale).

Accordo che può avere, concretamente, un contenuto estremamente variegato, comprendendo – ad esempio – rateizzazioni di debiti, pactum de non petendo, rinegoziazioni di crediti, nuovi finanziamenti[2].

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Piani attestati di risanamento, cosa sono

La disciplina del piano di risanamento è oggi contenuta nell’art. 56, Cod. crisi, che indica positivamente presupposti di ammissibilità e requisiti del piano[3].

Il primo comma della norma, in particolare, precisa che la possibilità di ricorrere al piano è riservata all’imprenditore che si trovi in stato di crisi o insolvenza. Senza tornare ulteriormente sulle nozioni di “crisi” ed “insolvenza” di cui all’art. 2, comma 1, lett. a) e b), Cod. crisi[4], occorre soffermarsi brevemente sul requisito soggettivo richiesto dalla norma, ossia il rivestire la qualifica di imprenditore.

Secondo taluni, l’operatività della norma dovrebbe essere limitata limitata agli imprenditori assoggettabili alla procedura di liquidazione giudiziale (i “vecchi” imprenditori fallibili), i quali sono gli unici che in concreto potrebbero beneficiare dell’esenzione da revocatoria offerta dalla norma[5]; secondo altro orientamento, invece, la locuzione ricomprende anche gli imprenditori – come l’imprenditore agricolo e l’imprenditore minore – che ne sono esclusi[6]. Mi pare, peraltro, che il tenore letterale della norma, che non pone limitazioni di sorta, autorizzi l’interpretazione più estensiva, che apre la possibilità di impiego dell’istituto a tutti gli imprenditori, senza alcuna distinzione.

Il contenuto del piano di risanamento

Rispetto alla disciplina previgente, che si limitava esclusivamente a disciplinare gli effetti del piano, l’art. 56, Cod. crisi elenca analiticamente i requisiti di ammissibilità del piano medesimo, il quale innanzitutto deve essere munito di data certa[7], necessaria ai fini del calcolo dei periodi di esenzione da revocatoria. La data certa, peraltro, deve riguardare non solo il piano, ma anche gli atti unilaterali e i contratti che siano stati stipulati in esecuzione del piano stesso, anche al fine di evitare condotte opportunistiche o collusive[8]; il che implica che tanto il piano quanto i relativi atti esecutivi debbano rivestire necessariamente forma scritta[9].

Quanto al profilo del contenuto, la legge impone che il piano indichi quantomeno:

  1. la situazione economico-patrimoniale e finanziaria dell’impresa;
  2. le principali cause della crisi;
  3. le strategie di intervento e i tempi necessari per assicurare il riequilibrio della situazione finanziaria;
  4. l’elenco dei creditori, con l’ammontare dei crediti di cui si propone la rinegoziazione; lo stato delle trattative e l’elenco dei creditori estranei al piano, con l’indicazione delle risorse necessarie per pagare alla scadenza i loro crediti[10];
  5. gli (eventuali) apporti di nuova finanza a sostegno del piano;
  6. i tempi delle azioni da compiersi, che consentano di verificarne la realizzazione, nonché gli strumenti da adottare in caso di scostamento fra gli obiettivi perseguiti e la situazione concretamente in atto;
  7. il piano industriale e i suoi effetti sul piano finanziario.

L’elencazione rappresenta, in sostanza, una sorta di recepimento delle best practice consolidatesi nella redazione dei piani attestati di risanamento già sotto la disciplina della Legge fallimentare[11] che, come precedentemente detto, offriva ampia libertà agli operatori, non fissando alcun requisito minimo di forma per i piani attestati.

Gli strumenti correttivi

L’unico elemento di novità è rappresentato dalla necessità che il piano contempli strumenti correttivi nell’ipotesi di scostamenti fra quanto previsto e i risultati ottenuti in sede di esecuzione. Giacché, nella normalità dei casi, i piani hanno una durata pluriennale – che si attesta normalmente fra i tre e i cinque anni – non è infrequente l’ipotesi che, per eventi esterni (ad es. mutate condizioni di mercato), gli obiettivi prefissati non siano più concretamente realizzabili. Il che esporrebbe l’imprenditore al rischio di compiere atti di esecuzione di un piano privo di possibilità di successo e, conseguentemente, al rischio di vedere assoggettati a revocatoria tali atti.

Stabilendo l’obbligo di prevedere strumenti correttivi per il caso di scostamenti fra previsioni ed esecuzione del piano, il legislatore ha inteso limitare tali rischi, facendo sì che il piano possa adeguarsi ai mutamenti di scenario ragionevolmente preventivabili[12]. Peraltro, ove il piano originario e i meccanismi correttivi interni dovessero divenire definitivamente inattuabili, l’imprenditore dovrebbe proporre un nuovo piano; il che, tuttavia comporta dei dubbi sul permanere dell’esenzione dalla revocatoria per gli atti compiuti in esecuzione del piano divenuto impraticabile, soprattutto nell’ipotesi in cui l’imprenditore non sia in grado di predisporre un piano alternativo a quello non eseguito[13].

Nel testo originario del Codice della crisi – prima delle modifiche operate con il c.d. “Correttivo” (D. Lgs. n. 147/2020), si richiedeva che l’imprenditore depositasse i documenti di cui, ai sensi dell’art. 39, Cod. crisi, è prescritto il deposito per il debitore che chiede di accedere ad una procedura regolatrice della crisi o dell’insolvenza (si tratta di una serie di documenti, fra cui sono compresi gli ultimi tre bilanci, le dichiarazioni IVA e IRAP, le scritture contabili obbligatorie, le dichiarazioni dei redditi). L’esclusione – nel testo definitivo – di tale onere di deposito è stata criticata, in quanto si ritiene che pregiudichi una completa informativa ai creditori[14]. D’altra parte, il fatto che si tratti di una procedura negoziata, che presuppone l’integrale pagamento dei creditori esclusi dalla trattativa, parrebbe porre al riparo dai rischi, giacché – in definitiva – ad essere toccati dalla procedura saranno solo i creditori che avranno negoziato con il debitore, i quali, nel corso delle trattative potranno anche chiedere anche documentazione ulteriore rispetto a quella indicata dal Codice.

Sempre con riferimento al contenuto del piano, non vi è dubbio che esso debba perseguire finalità di recupero e ripresa della continuità aziendale compromessa dallo stato di crisi; è peraltro dibattuto se il piano possa prevedere la continuità solo in forma indiretta (ad esempio, mediante affitto d’azienda), avendo per il resto contenuto liquidatorio[15].

L’attestazione

L’art. 56, III comma, Cod. crisi stabilisce che il piano debba essere munito di attestazione sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità economica del piano, anche sulla base del contenuto e dello stato delle eventuali trattative con i creditori. Prima del c.d. Correttivo, la norma prevedeva altresì un controllo di fattibilità giuridica, intesa come controllo dell’assenza di contrasti con norme imperative[16]. Tale tipologia di controllo è stata soppressa, anche in considerazione del fatto che si tratta di controllo tendenzialmente estraneo al bagaglio professionale dell’attestatore (il quale comunque deve confrontarsi con i legali dell’imprenditore sui profili giuridici del piano).

Il Codice dispone che l’attestazione provenga da parte di un professionista indipendente, la cui definizione si ricava dall’art. 2, comma 1, lett. o), Cod. crisi, secondo il quale è indipendente il professionista, incaricato dal debitore, che possegga simultaneamente i seguenti requisiti:

  • Sia iscritto all’albo dei gestori della crisi e insolvenza, nonché nel registro dei revisori legali
  • possegga i requisiti di cui all’art. 2399 Cod. civ. (fra cui, ad esempio, sono compresi il non essere inabilitato o fallito; o, ancora l’assenza di rapporti di coniugio, parentela o affinità sino al quarto grado con gli amministratori)
  • nell’ultimo quinquennio non abbia avuto, con l’impresa o altre parti interessate, legami di natura personale o professionale (quest’ultima preclusione si estende anche agli eventuali soci dell’associazione professionale di cui l’attestatore faccia parte).

Su richiesta dell’imprenditore, il piano, l’attestazione e gli accordi con i creditori possono essere pubblicati sul Registro delle Imprese. La pubblicazione, da un lato, consente di godere dei benefici di cui all’art. 88, comma 4 ter, T.U.I.R. che esonera dalla tassazione la plusvalenza recata dalla riduzione dei debiti; dall’altro lato, riguardando l’intero complesso dei documenti che costituisce il piano attestato di risanamento, favorisce la trasparenza verso i creditori esclusi dalle trattative. Trasparenza che, peraltro, è rimessa sostanzialmente alla volontà del debitore, poiché la pubblicazione è prevista solo nel caso in cui quest’ultimo la richieda[17].

L’esonero dalla revocatoria e da bancarotta

L’art. 167, III comma, lett. d), Codice della crisi prevede che siano esclusi dalla revocatoria gli atti, i pagamenti effettuati e le garanzie concesse su beni del debitore posti in essere in esecuzione del piano attestato di risanamento e in esso indicati. Il che sembra postulare, ai fini dell’operatività dell’esenzione, una particolare analiticità del piano, al fine di evitare contestazioni in merito alla riconducibilità delle operazioni al piano medesimo.

Diversamente dal regime previgente, che – secondo l’interpretazione prevalente – copriva solo la revocatoria fallimentare, il “nuovo” piano attestato esonera gli atti e i contratti in esecuzione del piano sia dalla revocatoria ordinaria, sia da quella concorsuale.

La prima, disciplinata dagli artt. 2901 ss., riguarda gli atti pregiudizievoli per i creditori, che siano stati compiuti dal debitore con la consapevolezza di arrecare danno alle ragioni creditorie (consapevolezza che deve riguardare anche il terzo acquirente per gli atti a titolo oneroso); essa può essere esercitata dal Curatore, a beneficio dei creditori, entro cinque anni dal compimento dell’atto pregiudizievole.

La, invece, è prevista gli specifici atti indicati dall’art. 166, Cod. crisi e riguarda:

  • Gli atti a titolo gratuito (esclusi i regali d’uso, quelli fatti per adempiere ad un dovere morale o a scopo di pubblica utilità) e i pagamenti anticipati di debiti che sarebbero scaduti a partire dalla data di apertura della liquidazione giudiziale, a condizione che siano stati compiuti nei due anni anteriori o rimborso di finanziamento soci nell’anno anteriore;
  • i seguenti atti a titolo oneroso, per i quali la revocatoria opera nel caso in cui l’altra parte non provi di non essere stata a conoscenza dello stato di insolvenza dell’imprenditore: i) obbligazioni del debitore che sorpassano di oltre un quarto la controprestazione; ii) pagamenti di debiti scaduti effettuati con mezzi di pagamento «non normali» nell’anno antecedente il deposito della domanda da cui è scaturita la liquidazione giudiziale; iii) pegni, anticresi e ipoteche giudiziali o volontarie successive al deposito della domanda a cui ha fatto seguito la liquidazione giudiziale o nell’anno anteriore per debiti preesistenti non scaduti; iv) pegni, anticresi e ipoteche giudiziali o volontarie successive al deposito della domanda a cui ha fatto seguito la liquidazione giudiziale o nei sei mesi anteriori per debiti preesistenti scaduti
  • atti a titolo oneroso, pagamenti di crediti liquidi ed esigibili o quelli costitutivi di prelazione contestualmente creati, se il curatore prova la conoscenza dello stato di insolvenza da parte del terzo e se sono stati compiuti dopo il deposito della domanda a cui ha fatto seguito la liquidazione giudiziale o nei sei mesi anteriori;
  • patrimoni dedicati ad uno specifico affare, cambiali scadute e atti tra coniugi o stabili conviventi, alle specifiche condizioni indicate dall’art. 167, Cod. crisi stesso[18].

Non sono in alcun caso revocabili i pagamenti in termini d’uso per l’esercizio dell’attività; le rimesse su conto corrente, purché non abbiano natura solutoria (ossia non siano state effettuate per ripianare scoperti di conto o, ad esempio, rientrare da fidi bancari, ecc.); i pagamenti per prestazioni di lavoro, anche non subordinato; le vendite di immobili da adibire a «prima casa» o sede di attività.

Quanto non è possibile essere esonerati dalle revocatorie

L’esonero dalle revocatorie sopra indicate non opera nell’ipotesi di dolo o colpa grave dell’attestatore o del debitore, ma solo se il creditore ne era a conoscenza al momento del compimento dell’atto, del pagamento o della costituzione della garanzia[19]. Viene perciò fissata, nel caso di revocatoria proposta contro un atto esecutivo del piano, una consistente limitazione al potere giudiziale di riesaminare il piano e l’attestazione, che prima era riconosciuto in forma particolarmente ampia ed ora potrà riguardare solo il comportamento doloso o colposo del debitore e dell’attestatore, nonché il grado di conoscenza dello stesso da parte del creditore.

La protezione dalla revocatoria cessa altresì di operare nell’ipotesi in cui il piano – nonostante le misure correttive in esso contenute – non possa essere eseguito e porti alla liquidazione giudiziale dell’impresa. In questo caso, in virtù del principio di consecuzione delle procedure, il termine per l’individuazione degli atti revocabili verrà fatto decorrere non dalla data di apertura della procedura di liquidazione giudiziale, bensì dalla data certa di sottoscrizione del piano o dell’atto esecutivo dello stesso che si intende revocare[20].

Oltre che ad esonerare da revocatoria, la predisposizione ed esecuzione di un piano attestato consente di esentare dai reati di bancarotta tutti gli atti e le operazioni compiuti in esecuzione del piano attestato di risanamento. In questo caso, peraltro, non è richiesto che gli atti esecutivi siano indicati nel piano (come previsto per l’esenzione da revocatoria), sicché il sindacato del giudice penale si dovrà limitare al collegamento causale fra l’atto ed il piano, senza verificare che quest’ultimo menzioni espressamente l’operazione contestata.

_

Note

  1. Su cui v., fra gli altri, Pacchi (-Ambrosini), Diritto della crisi e dell’insolvenza, 2ª ed., Bologna 2022, 144 ss.; D’Attorre, Manuale di diritto della crisi e dell’insolvenza, 2ª ed., Torino 2022, 60 ss.; Fauceglia, Il nuovo diritto della crisi e dell’insolvenza, Torino 2022, 67 ss.; Bazzani, Il piano attestato di risanamento, in Aa. Vv., Il Codice della crisi dopo il d.lgs. 17 giugno 2022, n. 83, a cura di Sanzo, Bologna 2022, 176 ss.; Nigro, Vattermoli, Diritto della crisi delle imprese. Le procedure concorsuali, 5ª ed., Bologna 2021, 464 ss.; Santangeli, Il piano attestato di risanamento ex art. 56 D.Lgs. n. 14/2019 a seguito del correttivo, 2020.
  2. Sul contenuto del piano v. altresì, più analiticamente, i Principi per la redazione dei piani di risanamento, pubblicati il 26.5.2022 dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili.
  3. Con ciò marcando la principale differenza rispetto alla disciplina di cui al previgente art. 67, 3° comma, lett. d), L. Fall., che si limitava a disporre l’esonero da revocatoria per gli atti compiuti in esecuzione di un piano di risanamento, omettendo tuttavia qualsivoglia indicazione in merito ai requisiti dello stesso.
  4. Per le quali sia consentito il rinvio a Catalano, Intelligenza artificiale e prevenzione della crisi d’impresa: cosa cambia col nuovo Codice, in questa Rivista, 6.9.2022.
  5. D’attorre, Op. cit., 62; Aiello-Auricchio-Covino-Jeantet, Il piano attestato di risanamento e l’accordo di ristrutturazione dei debiti nel codice della crisi di impresa,  2020
  6. Santangeli, Op. cit., 4; Pacchi, Op. cit., 146; Nigro-Vattermoli, Op. cit., 466; Bazzani, Op. cit., 186.
  7. Si tratta, peraltro, di un requisito che, nel silenzio normativo, si reputava necessario anche ai fini dei piani di risanamento disciplinati dall’art. 67, L. Fall.
  8. Così la Relazione illustrativa al Codice della crisi. Critici con disposizione, Nigro-Vattermoli, Op. cit., 469.
  9. Santangeli, Op. cit., 8
  10. Come osservato da Lamanna-Galletti, Il primo correttivo al codice delle crisi e dell’insolvenza, Milano 2020, 77 s., l’aver espressamente stabilito di precisare quali siano i creditori non aderenti dovrebbe consentire ai creditori coinvolti dal piano di rendersi bene conto del trattamento loro riservato, confrontandolo con quello dell’intero ceto creditorio.
  11. Sul punto v. per tutti Fauceglia, Op. cit., 69 s.
  12. Santangeli, Op. cit., 8 s.; Bazzani, Op. cit., 189 ss.
  13. Cfr. Bazzani, Op. cit., 190 s., il quale rileva come il beneficio dell’esenzione da revocatoria debba venir meno ogniqualvolta il piano subisca modifiche peggiorative sostanziali, tali da superare i meccanismi correttivi eventualmente previsti dal piano e renderlo del tutto insostenibile.
  14. In arg. v. diffusamente Santangeli, Op. cit., 10.
  15. Ritengono che il piano non possa avere contenuto liquidatorio Nigro-Vattermoli, Op. cit., 467. Parzialmente diff. Fauceglia, Op. cit., 68; Bazzani, Op. cit., 187 per i quali il piano non risulterebbe incompatibile con una limitata attività di liquidazione di asset non funzionali.
  16. In arg. v. Bazzani, Op. cit., 192 s. Sulle modalità di esecuzione dell’attestazione, cfr. i Principi di attestazione dei piani di risanamento pubblicati dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili il 16.12.2020.
  17. Sulla pubblicazione del piano v. le osservazioni di Santangeli, Op. cit., 14 s.
  18. Per un primo commento alla disciplina delle revocatorie nel Codice della crisi, v. Burroni-Porcari, La liquidazione giudiziale e il concordato successivo, in Aa. Vv., Il Codice della crisi, cit., 438 ss.; Nigro-Vattermoli, Op. cit., 205 ss.; D’Attore, Op. cit., 249 ss.
  19. Per un ampio commento critico alla disposizione v. Santangeli, Op. cit., 21 ss.
  20. In tal caso, peraltro, sul Curatore graverà l’onere di dar corso alle revocatorie entro i termini di decadenza e prescrizionali previsti dal Codice, che prevede una decadenza triennale dalla data di apertura di liquidazione giudiziale e, comunque, la prescrizione quinquennale dalla data dell’atto (in coerenza con quanto previsto dalla revocatoria ordinaria, che si prescrive in ogni caso entro cinque anni dal compimento dell’atto pregiudizievole).

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