Il 2023 si prospetta un anno complesso per l’Italia, con caro energia, inflazione e incertezza del quadro internazionale a pesare sulla competitività e sulle prospettive di crescita del Sistema Paese. È stato lo stesso Governo Meloni a riconoscerlo, delineando nel quadro tendenziale della versione integrata e aggiornata della NADEF una crescita di appena lo 0,3%, in linea con le previsioni di stagnazione elaborate dell’OCSE (+0,2%). In questo scenario innovazione e digitalizzazione assumono valore ancora più strategico, in quanto fondamentali per affrontare con successo le sfide dettate dall’attuale contesto di crisi.
Una nuova identità digitale per tutti gli italiani nel 2023: i punti chiave
Investimenti in tal senso permettono infatti di ridurre i costi e gli sprechi (energetici, ma non solo), di aumentare la produttività del lavoro e di controllare meglio i rischi grazie a processi più efficienti e all’elaborazione di dati sempre più puntuali. Tutti elementi indispensabili per uscire da un quadro di stagflazione evitando di ripetere gli errori del passato.
Primo fra tutti la strada di comprimere i salari e aumentare la precarizzazione del mondo del lavoro: una scorciatoia che non solo lacera in maniera irreparabile il nostro tessuto sociale ma, sul piano economico, penalizza sul lungo termine la capacità del nostro tessuto produttivo di competere a livello internazionale. Dispiace allora constatare che la Legge di Bilancio 2023 – testo che dovrebbe essere il manifesto economico-programmatico del Governo – dedichi pochissima attenzione e pochissime risorse a questi temi. A risaltare infatti sono soprattutto le cose che mancano, piuttosto che quelle presenti. A partire dai temi portanti, dove salta subito all’occhio l’assenza delle parole digitalizzazione e innovazione.
Legge di bilancio 2023, poca innovazione: lo scenario
Tuttavia, la Legge di Bilancio 2023 sembra rinunciare a esprimere un qualsiasi indirizzo sulle politiche di innovazione e digitalizzazione, delegando di fatto l’intera questione al PNRR. Questo approccio rappresenta però un errore che rischia di costare caro all’Italia, perché non riconosce il valore di innovazione e digitalizzazione come risposta alla stagflazione. Di fronte a un quadro sconvolto rispetto a soli due anni fa, servono misure aggiuntive rispetto a quelle del PNRR dove resta una questione di fondo non risolta e cioè come impiegare i circa 1.2 miliardi di euro risparmiati sulla missione 1.2 per il programma Italia a un Giga. Noi riteniamo sia opportuno impiegarli per sollecitare la domanda di connettività a banda larga. Su questo cosa dice il Governo?
Siamo consapevoli di trovarci a pochi mesi dall’inizio di questa XIX legislatura e vogliamo quindi sperare che non sia questa legge di bilancio la cifra per giudicare il nuovo Governo sui temi dell’innovazione e aprire uno spiraglio di fiducia anche a fronte delle recenti dichiarazioni da parte di esponenti che sembrano aprire lo spiraglio a un cambio di rotta nei prossimi mesi. Il Ministro Adolfo D’Urso ha parlato esplicitamente di una revisione e un rilancio di Transizione 4.0, con un cambio di focus dai beni strumentali interconnessi ai software e servizi cloud che riprende una nostra proposta avanzata nel recente convegno promosso alla Luiss da Anitec-Assinfor dal titolo “Digitale per crescere”.
Anche il Sottosegretario all’innovazione Alessio Butti, in una recente comunicazione alle Commissione I e VIII del Senato, ha delineato un orizzonte di intervento molto più dettagliato e articolato, che speriamo voglia essere la bussola di temi e priorità del governo (e non le infelici esternazioni sulla chiusura di SPID che si è rivelato lo strumento più efficace degli ultimi anni per avvicinare i cittadini ai servizi delle Pubbliche amministrazioni). Se le prossime mosse del Governo dimostreranno la volontà di dare seguito alle proposte di rilancio e di investimenti, allora come opposizione saremo pronti a dare il nostro contributo per dotare il nostro Sistema Paese delle politiche di sviluppo di cui ha bisogno per non vanificare gli ottimi risultati raggiunti negli ultimi due anni.
Il nodo di Transizione 4.0
La prima grande assenza è la revisione delle aliquote del Piano Transizione 4.0. La programmazione originaria prevedeva infatti una riduzione degli incentivi a partire da quest’anno, ma era ampiamente atteso (sia nel mondo industriale sia in quello politico) un intervento per mantenere gli attuali livelli di credito d’imposta. Così non è stato, con la conseguenza che a partire dal prossimo anno risulteranno fortemente ridotti gli incentivi per investimenti in beni strumentali, con penalizzazioni addirittura maggiori per gli investimenti in software. Inoltre, non saranno rinnovati gli incentivi legati a formazione 4.0 e non sarà rifinanziata la Nuova Sabatini. Si tratta di scelte di indirizzo gravi, che rischiano di pesare a lungo sia sulla capacità di innovazione del tessuto produttivo italiano sia sui processi di trasferimento tecnologico.
Politiche industriali per il supporto al Made in Italy
La decisione di istituire un “Fondo per le politiche industriali di sostegno alle filiere produttive del made in Italy” (art. 74 della Legge di Bilancio) non appare sufficiente a compensare questi tagli e non solo per le limitate risorse di cui è dotato questo fondo. Il problema principale di questo nuovo strumento è che va ad aggiungere complessità e sovrapposizioni in un sistema di incentivi che avrebbe invece bisogno di essere semplificato e razionalizzato, dopo anni di stratificazioni di interventi diversi. Inoltre, dalle poche informazioni disponibili, sembra di capire che le risorse di questo fondo siano rivolte a una platea minore di aziende rispetto a quelle di Transizione 4.0 ma con un focus meno definito sugli interventi finanziabili, quando invece sarebbe preferibile un approccio diametralmente opposto.
Fondo innovazione in agricoltura
La Legge di Bilancio istituisce, all’articolo 77, anche un “Fondo per l’innovazione in agricoltura”. In attesa dei decreti attuativi risulta complesso dare una valutazione di questa misura, ma alcune considerazioni preliminari sono già possibili. Da un lato è certamente positivo il riferimento al possibile coinvolgimento di Cassa Depositi e Prestiti e Ismea (l’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare), perché significa riconoscere le peculiarità e le complessità che attraversano il variegato mondo agricolo. D’altro canto, invece, la scelta di dedicare un’attenzione specifica solo all’agricoltura, a scapito indirettamente di altri settori, sembra invece ignorare le dinamiche e le diverse realtà dell’ecosistema dell’innovazione italiano.
Le risorse per la cybersecurity
Un’osservazione simile può essere fatto per quanto riguarda le risorse dedicate all’attuazione della Strategia nazionale di cybersicurezza (art. 154). La misura è certamente lodevole, ma esistente un’esigenza di una visione più integrata che affronti il nodo della cultura e della formazione sui temi della cybersicurezza nell’ambito delle PMI e della cittadinanza diffusa. Risulta inoltre poco chiaro perché non sia stata dedicata attenzione ad altri piani strategici mai adeguatamente valorizzati e finanziati, a partire da quello triennale per l’Intelligenza Artificiale lanciato lo scorso anno.
L’importanza di promuovere le materie STEM
Un’ultima menzione la merita l’articolo 98, dedicato alla promozione delle materie STEM. Se senza dubbio è meritevole la scelta di dedicare espressamente un articolo al tema della formazione, allo stesso non si può non osservare che le misure proposte non sembrano essere in grado di produrre risultati significativi, soprattutto a fronte del già citato taglio della misura Formazione 4.0.
E-commerce e criptovalute
Meno impattanti sul tema dell’innovazione appaiono invece gli articoli dedicati all’e-commerce (art. 37) e alle criptovalute (artt. 31-35), dal momento che si tratta di interventi di natura prettamente fiscale, rivolti nel primo caso a contrastare l’evasione IVA, nel secondo a regolarizzare la materia (anche se di fatto con una sanatoria).