Il Ministro per lo Sviluppo economico Stefano Patuanelli ha firmato il decreto attuativo del Piano Transizione 4.0. Il Piano rappresenta un importante passo in avanti sul terreno delle iniziative già intraprese nel quadro della cosiddetta Industria 4.0. Peraltro, il Piano va a integrarsi con un insieme di misure e interventi già assunti dal MISE a favore delle imprese, dai voucher per gli innovation manager alla Nuova Sabatini, dalla Digital Transformation ai Contratti di sviluppo, dallo stanziamento di 100 milioni per l’IPCEI sulle batterie agli interventi a sostegno dei progetti di R&S nell’ambito della green economy (si veda la Tabella 1, Fonte: Ministero per lo Sviluppo economico), che a loro volta dovrebbero trovare in Transizione 4.0 una cornice ideale di riferimento nei termini di una strategia di politica economica e industriale finalizzata all’innovazione, agli investimenti nell’ambito della Green Economy, al design e alla creatività, come principali motori per la ripartenza del Paese.
Il contesto italiano
Il nostro Paese si trova ad affrontare una difficile ricostruzione: fra i pochi Stati europei non ancora definitivamente affrancato dalle conseguenze della Grande recessione (2008-2013), l’Italia è stata duramente colpita dalla pandemia del Covid-19. Il combinato disposto di queste due crisi ci sta restituendo un Paese che nei prossimi anni dovrà affrontare una prova difficile quanto fu quella della rinascita post bellica. Per superare questa prova, così come allora, è necessario prima di tutto disporre di una classe dirigente e di quadri tecnico-scientifici all’altezza della sfida.
L’importanza della formazione
L’incentivazione della formazione del personale sulle nuove tecnologie. Un aspetto che per certi versi fa da presupposto per un’efficace implementazione delle altre misure che in qualunque caso poi devono essere calate nelle per mezzo delle “persone”. Perché soprattutto in un contesto di micro, piccola e media impresa l’innovazione digitale implica anzitutto, come non ci stancheremo mai di ribadire, un cambiamento di ordine culturale e non solo operativo. Bisogna vincere resistenze prima di tutto e nel contempo difficoltà oggettive date dalle piccole dimensioni. E sotto questo profilo, oltre all’investimento nell’ambito delle attività produttive, è necessario ripartire dalla scuola e dall’università dove a fianco delle tante materie deve esserci una costante spinta alla conoscenza digitale, economica e finanziaria che sono basilari qualunque sia il futuro lavorativo dei nostri ragazzi, quella che sarà la futura classe dirigente.
Già oggi, nelle aziende, possiamo sostenere la formazione di un personale attrezzato ad accogliere positivamente l’innovazione digitale con incentivi come quelli previsti dal Piano Transizione 4.0. Ma è nelle aule che i nativi digitali di oggi possono diventare la classe dirigente e i quadri di domani. Per questo motivo, nel momento in cui pensiamo a sostenere la formazione del personale nelle imprese che dovranno essere protagoniste della ripartenza, non possiamo dimenticare il ruolo cruciale delle istituzioni formative. E il fatto che, unici in Europa, scuola e università in Italia siano ancora congelate in un limbo, senza che sia chiaro quando e come potranno riaprire, è un fatto in stridente contraddizione con la volontà di affermare una cultura dell’innovazione.
I pilastri del Piano Transizione 4.0
Tabella 1 (Fonte: Ministero per lo Sviluppo economico, maggio 2020)
I pilastri del Piano, che prevede l’erogazione complessiva di 7 miliardi di euro, sono tre:
- l’incentivazione degli investimenti in beni strumentali, finalizzati alla trasformazione tecnologica e digitale dei processi produttivi;
- l’incentivazione della spesa privata in ricerca, sviluppo e innovazione tecnologica, per favorire la transizione al digitale e incrementare la competitività delle imprese;
- l’incentivazione degli investimenti nella formazione del personale sulle nuove tecnologie, per accrescere il know-how delle imprese in questi ambiti.
Lo strumento del credito di imposta
Lo strumento che si è scelto per promuovere queste politiche è principalmente il credito di imposta, che va a soppiantare i meccanismi di super e iper-ammortamento previsti da Industria 4.0. Una soluzione che rispetto alle valutazioni e alle stime del MISE dovrebbe assicurare un incremento del 40% della platea dei potenziali beneficiari, permettendone la piena fruibilità anche a soggetti senza utili o in regime forfettario. Anche perché fra i limiti riscontrati dallo stesso MISE in sede di implementazione del super e iper-ammortamento vi era il fatto che il 64% delle aziende beneficiare fossero di dimensioni medio-grandi, a fronte del solo 8% delle piccole e micro imprese. Questo elemento di indirizzo alla sola grande impresa lo riscontriamo spesso. Si pensa sempre ai massimi sistemi e alle grandi organizzazioni anche quanto il tessuto produttivo vero di questo Paese e formato da micro e piccole imprese e poco alle cose semplici che sono l’effettivo aiuto di cui abbiamo bisogno. Una stortura che avviene perché spesso si ascoltano sempre le solite voci della rappresentanza e non anche quelle che gli ultimi decenni di innovazione sono emerse. Rappresentanza che spesso incide sulle scelte come giusto che sia.
Il ricorso al credito di imposta tra l’altro, rispetto all’ammortamento, comporta anche una riduzione del tempo di rientro dell’incentivo e una conseguente anticipazione del momento di fruizione del beneficio. Dal meccanismo della deduzione dalla base imponibile che caratterizzava il vecchio super e iper-ammortamento si passa al credito d’imposta, da utilizzare in cinque rate annuali, in compensazione dei propri versamenti fiscali. Il credito di imposta è peraltro fruibile immediatamente per il pagamento dei debiti tributari attraverso il modulo F24. Il ricorso al credito in compensazione è un principio che peraltro avevamo già segnalato nei nostri interventi su queste pagine.
Un cambiamento di impostazione non di poco conto, soprattutto in un momento in cui a causa della pandemia molte imprese si trovano nell’immediato in grave sofferenza economica. Senza dimenticare che la struttura produttiva del nostro paese è prevalentemente incentrata sulle imprese di dimensione medio-piccola, che costituiscono la larga prevalenza delle aziende. E come segnalavamo in un articolo dello scorso anno a proposito dei meccanismi di incentivazione delle start up e del voucher per l’innovation management, una politica economica che intenda incrementare il trasferimento tecnologico in direzione di un industria digitale non può non tener conto, e di conseguenza monitorare, l’impatto dei provvedimenti che adotta rispetto alla loro ricettività da parte di un contesto produttivo peculiarmente di dimensioni medio-piccole, quando non addirittura micro. Anche perché in un contesto siffatto è evidente come si ponga anzitutto il problema di sollecitare proprio imprese di quel tipo a compiere il salto quantico necessario per intraprendere la strada dell’innovazione digitale, strategicamente decisiva per la loro permanenza in un contesto altamente competitivo come quello dell’economia globale.
Gli strumenti per le imprese
Delineare efficaci strumenti generali di politica economica e industriale nell’orizzonte di un’economia sempre più interdipendente a livello internazionale e globalizzata non è cosa facile. E lo ancor di più nel contesto italiano, cioè di un Paese che nel corso del tempo si è abituato a politiche industriali distributive (soldi a pioggia, con gravi danni in termini di indebitamento pubblico) e assistenzialiste. Un aspetto che si è ritrovato anche in molti dei recenti provvedimenti adottati dal governo per tamponare la situazione di emergenza creatasi a seguito dell’emergenza Covid-19. Ma che fortunatamente non si ritrova in Transizione 4.0, dove ambiti e tipologie di intervento vengono chiaramente determinati, in modo tale da indirizzare gli incentivi in maniera mirata sull’investimento in beni strumentali, la ricerca e sviluppo e la formazione del personale.
In particolare, il decreto non si limita a definire i criteri tecnici per la classificazione delle attività di ricerca e sviluppo, di innovazione tecnologica e di design e innovazione estetica ammissibili all’incentivo ma, nell’ambito delle attività di innovazione tecnologica, individua anche degli obiettivi di innovazione digitale 4.0 e di transizione ecologica rilevanti per l’eventuale maggiorazione del credito d’imposta. Inoltre, il decreto chiarisce cosa si debba intendere per un’innovazione tecnologica finalizzata alla trasformazione digitale, contemplando sia soluzioni di integrazione a livello hardware e software dei processi di gestione operativa, così come di pianificazione e simulazione, della produzione sia soluzioni per la generazione di indicatori per la gestione aziendale, per la reportistica e la diagnostica di produzione, nonché per la manutenzione dei macchinari. E sempre nell’ambito delle azioni di innovazione vengono contemplate anche le soluzioni per il controllo remoto dei macchinari e per le prestazioni lavorative dei dipendenti. Così come si considerano anche le soluzioni relative alla digitalizzazione delle interazioni tra i diversi operatori, per favorire la messa a punto di modelli di condivisione delle informazioni all’interno delle filiere produttive. Senza, infine, dimenticare un altro aspetto importante, strettamente legato alla riconversione in smart working favorita in questo periodo dall’emergenzaCovid-19, che è quello della sicurezza dei dati condivisi e scambiati all’interno dei processi di lavoro.
Non vi è dubbio, quindi, che si faccia un lodevole sforzo per riconoscere un insieme di attività strategiche che, da un lato, possono accelerare la transizione al digitale e, dall’altro, sono potenzialmente utili a permettere un’implementazione efficace di quel trasferimento tecnologico avanzato di cui le aziende italiane hanno bisogno. E se proprio si deve riconoscere nel testo un limite, esso riguarda una visione dell’impatto che l’innovazione digitale può produrre sul mondo delle imprese che trascura alcuni aspetti logistici e organizzativi la cui importanza è pari a quella dei processi produttivi strettamente intesi. La possibilità di velocizzare adempimenti e pratiche amministrative, comparto nel quale tra l’altro siamo direttamente impegnati quotidianamente, in quella logica di condivisione delle informazioni alla quale il decreto fa riferimento per quanto concerne le filiere produttive, è certamente un aspetto fondamentale della vita quotidiana di un’azienda. L’investimento in servizi digitalizzati, soprattutto nei rapporti fra mondo produttivo e PA, è infatti destinato ad assumere una rilevanza strategica simile a quella relativa alla catena del valore generata dalla produzione nel determinare il grado di competitività di un’impresa. Siamo i primi soggetti consapevoli e interessati a snellire processi che per noi, pur essendo esperti, diventano sempre più complessi. Serve pertanto “semplificare” e lo dice “un semplificatore”, anche in questo ambito auspichiamo che il decisore sia propenso e disponibile ad ascoltare tutti gli attori.
La distinzione tra le tipologie di investimento
Importante è anche la distinzione che il decreto introduce fra i tre tipi fondamentali di investimenti in ricerca e sviluppo. Affiancando alla abituale ricerca industriale e alle sue applicazioni pratiche, la ricerca fondamentale (o di base), esclusivamente finalizzata all’acquisizione di nuove conoscenze scientifico-tecnologiche, e la ricerca sperimentale, volta all’acquisizione di informazioni e conoscenze tecniche per la realizzazione o il miglioramento di processi e prodotti. Con ciò, si incentivano le imprese a intraprendere attività di ricerca e sviluppo anche a prescindere dal raggiungimento di un risultato effettivo. E gli investimenti rilevano ai fini del credito di imposta anche qualora i risultati di quelle attività siano già stati raggiunti da altri soggetti (sempre che le informazioni sul processo o sul metodo seguito, ovvero sul prodotto realizzato, non facciano parte dello stato delle conoscenze disponibili ex ante). In questo modo, le imprese vengono sollecitate a intraprendere attività di ricerca e sviluppo in maniera diffusa e anche senza finalità immediate, sempre che esse non si limitino a meri aggiustamenti di prodotto o processo. Certo sul punto va rivisto anche l’impianto dal punto di vista fiscale, magari modificando il sistema incrementale dell’investimento che oggi, in molti casi, disincentiva. Abbiamo bisogno che chiunque sia in grado di farlo possa potenziare l’attività di ricerca e sviluppo alle quali tutti gli operatori economici di qualunque settore devono potersi avvicinare.
L’esclusione dal credito di imposta di migliorie marginali è prevista anche per le attività di innovazione tecnologica, per le quali si fa riferimento al Manuale di Oslo, precisando che tali attività finalizzate alla realizzazione o all’introduzione di prodotti o processi nuovi (ovvero significativamente migliorati) nelle caratteristiche tecniche o funzionali, nei componenti, nel materiale, nel software, nella procedura di utilizzo, nella facilità di impiego, nella maggiore flessibilità o in altri elementi concernenti le prestazioni e le funzionalità del prodotto. E con un ulteriore innalzamento del credito di imposta, si incentivano soprattutto interventi mirati alla transizione digitale, con l’indicazione di una gamma specifica di ambiti di intervento, che vanno dal digital service backbone (architetture digitali per l’interconnessione di macchine con software o hardware) alla robotica, dall’analytics e big data allo smart working, dalle attività in remoto di diagnosi, assistenza e manutenzione dei macchinari al blockchain, fino alla cybersecurity.
Ulteriori incentivi vengono collegati alla trasformazione dei processi aziendali nella logica della green economy, del design e della creazione estetica. Per quel che riguarda l’economia circolare, seguendo il dettato della Comunicazione n. 98/2020 della Commissione europea, il credito di imposta viene esteso alla progettazione di prodotti sostenibili e alla realizzazione di catene del valore a ciclo chiuso, e quindi all’introduzione di modelli di business product as a service, così come ai processi di de-assemblaggio e re-manufactoring e all’introduzione di soluzioni tecnologiche per il recupero post-uso e il monitoraggio del ciclo di vita dei prodotti. Per quel che, invece, concerne il design e la creazione estetica l’incentivo viene riconosciuto per la concezione e la realizzazione di nuovi prodotti nei settori abbigliamento, calzaturiero, occhialeria, orafo, mobile, arredo e ceramica, ricomprendendo qualsiasi oggetto industriale o artigianale, compresi il packaging, cioè imballaggi e presentazioni, anche rispetto a simboli grafici e caratteri tipografici.