La situazione del mondo delle imprese rispetto al digitale, fotografata dall’ultimo rapporto ISTAT “Cittadini, Imprese e ICT”, evidenzia una sofferenza sempre più significativa delle PMI rispetto all’utilizzo del digitale, non solo perché queste partono da una situazione di divario significativo rispetto alle grandi aziende e alle PMI europee, ma anche perché nell’evoluzione tecnologica in atto ha sempre meno senso distinguere il livello di maturità digitale dall’efficacia complessiva sul mercato.
In altri termini, poiché il digitale è sempre più condizione necessaria per le attività e il business d’impresa, il ritardo digitale misura la capacità prospettica di successo e di sopravvivenza.
E quindi, se come afferma il rapporto Istat secondo l’indicatore del livello di digitalizzazione (Digital intensity indicator, indicatore composito di Eurostat basato su 12 indicatori di digitalizzazione delle imprese), elevati livelli (“Alti” o “Molto alti) sono presenti solo nel 12,2% delle imprese da 10 a 49 addetti e il 29% delle imprese tra 100 e 249 addetti, allora vuol dire che meno di un terzo delle PMI è oggi in grado di guardare con fiducia ai prossimi anni. Secondo questo indicatore, l’86,1% delle imprese con almeno 10 addetti si colloca ad un livello ‘basso’ o ‘molto basso’ di adozione dell’ICT (82,0% per l’Ue28), non essendo coinvolte in più di 6 attività tra quelle considerate. Una posizione leggermente peggiore di quella di Spagna e Francia, ma naturalmente, e in modo preoccupante, una situazione condivisa nell’Europa centro-meridionale.
Sono da rilevare dei miglioramenti dell’ultimo anno relativi alle PMI, come nell’area eCommerce per la quota di piccole e medie imprese che vendono online almeno per l’1% dei ricavi totali (da 7,9% a 9,8%) e per la quota di fatturato online delle PMI (da 5,8% a 7,5% del fatturato totale delle imprese della stessa dimensione). Nonostante questi miglioramenti, però, nel confronto con gli altri paesi europei, che comunque registrano una situazione di difficoltà, il divario rimane significativo.
Un dato da approfondire è anche quello che si rileva nel rapporto 2018 del Mise sull’uso delle procedure digitali semplificate per le startup innovative: nel 2018 sono state costituite online 953 startup innovative, contro le 896 del 2017, per un incremento del 6,4% su base annua. Tra le imprese innovative create nell’ultimo trimestre, oltre 4 su 10 hanno optato per la nuova modalità (42,8%, in leggera crescita rispetto al 40,0% dell’intero 2018 e al 39% del 2017). In sostanza, negli ultimi due anni è rimasta invariata la percentuale di startup innovative che utilizza la nuova modalità digitale.
Che fare?
Innovazione delle PMI e PMI innovative
Innanzitutto, è consigliabile non trattare di PMI in modo generalizzato. Bisogna analizzare i diversi settori in cui operano le PMI per identificare specifici percorsi di intervento. Una prima macro-divisione è tra le PMI innovative e le altre PMI.
La necessità evidente è di spingere, allo stesso tempo, su entrambi i fronti:
le PMI e le startup che operano nel campo dell’innovazione digitale, che possono essere apripista per progetti di avanguardia nei settori tecnologici che si identificano come strategici: intelligenza artificiale e blockchain senz’altro (dove già si lavora per la definizione di una strategia nazionale), ma tutta l’area di integrazione dell’IoT, dalla sensoristica ai big data, dovrebbe naturalmente essere considerata e sostenuta allo stesso modo, anche per l’enorme impatto che ha su tutti i settori industriali. Queste imprese hanno bisogno di facilitazioni nelle interazioni con gli altri partner pubblici e privati e soprattutto rispetto alle condizioni-paese necessarie per attrarre gli investitori;
le PMI che devono innovarsi profondamente per poter rafforzare la propria capacità di essere sul mercato, valorizzando le proprie caratteristiche specifiche anche attraverso il digitale, dalla vendita online alla trasformazione del prodotto/servizio grazie alla tecnologia. Queste imprese hanno bisogno prima di tutto di formazione, di supporto e di accompagnamento verso nuovi percorsi di crescita, considerando prima di tutto l’aggregazione con altre PMI per superare con la rete l’ostacolo prioritario della capacità di investimento.
Il piano Impresa 4.0 e le azioni in corso
Questi primi mesi del 2019 sono caratterizzati dalla nascita formale dei competence center nazionali e dall’avvio delle attività dei “digital innovation hub” regionali previsti dal Piano Impresa 4.0 del Ministero dello Sviluppo Economico. Entrambi fanno parte della strategia messa a punto negli anni scorsi e che la legge di bilancio 2019 ha sostanzialmente confermato, pur con accenti più marcati rispetto alle esigenze delle PMI.
Il Piano Impresa 4.0 (ex Industria 4.0) si propone infatti di dare una risposta alle diverse esigenze di innovazione prevedendo anche nella legge di bilancio 2019 sia degli interventi di sistema sia degli interventi di sostegno specifici:
tra i primi sono sicuramente da annoverare i centri di competenza specialistici, che dovrebbero essere attivi già nel primo semestre del 2019, e i digital innovation hub, pensati a livello regionale, con una capillarità modesta ed emanazione esclusiva delle associazioni di categoria, senza quindi quella logica di ecosistema che è necessaria per un intervento di forte impatto;
tra i secondi sono gli incentivi diretti come la “Nuova Sabatini” o il “voucher del manager dell’innovazione”, che scontano però sia il problema della difficoltà di copertura del sostegno, che finisce per beneficiare una percentuale molto ridotta di imprese, sia quello dell’accesso, che richiede comunque nelle imprese la disponibilità di competenze necessarie per partecipare agli avvisi.
Il rischio, in entrambi i tipi di intervento, è di non incidere in modo massivo sul ritardo digitale delle PMI e, allo stesso tempo, di non fornire un’adeguata spinta per lo sviluppo di PMI e startup nei settori di avanguardia tecnologica. Anche il programma Smart&Start dichiara di aver raggiunto dal settembre 2013 circa 900 startup innovative, con una media annua di meno di 200 all’anno (e quindi poco più di un quinto di quelle costituite ogni anno).
Qualche suggerimento
Il contesto è, poi, naturalmente, quello di ritardo digitale sia nella cittadinanza (intendo qui ritardo soprattutto nella “consapevolezza” digitale) sia nella pubblica amministrazione, dove molto si è fatto ma anche molto deve essere ancora realizzato per rendere i servizi facilmente fruibili dai cittadini (anche nel 2018 l’utilizzo dei servizi di eGovernment vede l’Italia molto indietro rispetto agli altri Paesi UE, con il 37,2% di cittadini utilizzatori tra coloro ne hanno esigenza, contro il 64% della media UE).
Da questo punto di vista, la crescita della maturità digitale su entrambi i fronti è la condizione necessaria per innescare un volano virtuoso per l’intero contesto economico.
Sarebbe auspicabile, a mio avviso, spingere ancora di più su alcuni percorsi di intervento, oltre quelli già in corso e ben avviati:
una maggiore focalizzazione di investimenti, anche pubblici, sulle aree che la commissione europea ha indicato come strategici sulla base dell’identificazione di sei catene strategiche di valore;
una revisione del modello attuale di acquisto ICT per le PA, che privilegia le grandi aziende a scapito delle PMI anche eccellenti;
una maggiore capillarità di presìdi di supporto e accompagnamento alle PMI, con modalità che semplifichino l’accesso e che rendano la logica dei “digital innovation hub” o dei “Punti di innovazione digitale” dei centri facilmente raggiungibili, e in grado di essere vicini alle esigenze delle PMI, accompagnandole sia nell’aggregazione in rete sia nella trasformazione digitale, fornendo quelle competenze di innovazione che, per dimensione, molte PMI non sono in grado di acquisire con gli attuali strumenti di agevolazione;
una maggiore responsabilizzazione e un adeguato accompagnamento alle amministrazioni regionali e locali perché siano attori protagonisti nella costruzione degli ecosistemi di innovazione che dovrebbero essere alla base dei presìdi territoriali. E quindi anche con la necessaria acquisizione di personale con adeguate competenze digitali.
Questi punti andrebbero spinti in un quadro complessivo di interventi di costruzione di catene del valore, sapendo che la difficoltà principale è di rendere sinergiche e organiche le strategie dell’infrastruttura della conoscenza, dove un ruolo fondamentale ricoprono sistema educativo e ricerca e sviluppo.